La mia ipotesi di politica economica diventerà  un cardine sul quale puntare la ripresa

ONOREVOLI COLLEGHI, Si tratta di una presa di coscienza. Di aver preso atto che ormai la politica economica di un paese alla luce della globalizzazione deve essere il risultato di scelte condivise tra maggioranza ed opposizione.

Il periodo storico che l’Italia, insieme a tutto il mondo sta attraversando, vede finire, almeno per questa fase, il tempo delle ideologie politiche in forte contrapposizione tra loro.

Le logiche attuali, nella morsa di una economia globalizzata, impongono ormai una evoluzione intellettuale e politica che permetta di affrontare con il vigore e la strategia necessarie, sia la crisi economica attuale, sia quelle future che si ripresenteranno ciclicamente.

La linea economica dunque di una Nazione che sino a pochi decenni orsono caratterizzava il posizionamento politico in Parlamento delle compagini facenti parte, oggi, acquista un significato davvero privo di tendenze di settore e di connotazioni politiche. La politica economica mondiale non può permettersi più di essere di parte, di destra o di sinistra, liberista o socialista, per il pubblico o per il privato. Essa rappresenta ormai un passaggio cruciale ed obbligatorio che induce i governi di tutto il mondo a parlare di organigrammi che non possono prescindere dai destini degli altri. Le problematiche che affliggono il sistema sono comuni. Affondano le loro giustificazioni nei rapporti di forza economici mutati soprattutto per merito di quei paesi cosiddetti emergenti che pongono all’attenzione degli amministratori governativi problemi comuni: il mercato, la moneta, le banche, il commercio, la ricerca, la famiglia, il lavoro.

A fronte di una economia che in qualche modo prospetta solo sé stessa dichiarandosi fondamentale a decidere sui destini della salute nazionale ed internazionale dei conti, le nazioni continuano a ritenere il piano economico nazionale come l’aspetto caratterizzante di governi di destra o di sinistra.

Questo è un errore gravissimo. Appare invece evidente che il concetto di economia globalizzata che attualmente prevale, si sia smarcato e prescinde da contrassegni politici che invece hanno caratterizzato tutto il dopoguerra. Attualmente, e potrebbe sembrare questo un paradosso, le differenze di storia e di cultura tra i partiti che caratterizzano quelle che un tempo venivano stigmatizzate più facilmente come ideologie, sono essenzialmente altrettanto necessarie ma specificatamente filosofiche non più o solo economiche. I problemi economici che affliggono la globalizzazione, hanno caratteristiche universali da un punto di vista tecnico. Ciò che non è universale è il posizionamento ed il trattamento sull’opera dell’uomo in quanto tale ed in quanto propulsore della ricchezza. Infatti, la differenza del concetto di diritto, di diritti umani: lavoro-retribuzione, assistenza e previdenza modifica ed altera i rapporti di forza tra concorrenti del mercato condizionando i concetti stessi di mercato e di concorrenza.

Gli obiettivi prestabiliti che un piano economico di un paese si accinge a voler raggiungere, non sono tantissimi ma sono assolutamente irrinunciabili, qualsiasi sia il governo di turno: contenimento della spesa pubblica, pagamento dei debiti, qualità ed investimenti nella produzione, sanità, ricerca ed Università.

Nessuno di questi parametri e molti altri ancora a questi connessi in una serie di ramificazioni collegate, può avere oggi una connotazione di destra oppure di sinistra riconoscendosi ormai ufficialmente il contributo sia del pubblico sia del privato. Per il passato ciò determinava la contrapposizione partitica ideologica caratterizzando la politica economica di sinistra se tendeva a statalizzare, di destra se invece tendeva a privatizzare. Non è più così ormai da tempo riconoscendo all’uno ed all’altro aspetto stessa rilevanza politica ed economica. Oggi, in Italia, si parla piuttosto di interessi privati a danno di quelli pubblici ma non per una questione spiccatamente politica e neppure ideologica ma per latrocinio che a mezzo d’un atto pubblico si “sciacqua” dalle impurità ripresentandosi, agli occhi della cittadinanza, lecito ed accettabile.

Siamo abituati, nel nostro paese, ad ascoltare la relazione del nuovo ministro dell’Economia e delle Finanze che subentra agli avversari politici dopo l’appuntamento elettorale, con una certa angoscia. Si è sempre verificato che quella relazione si prospettasse come una sequela di guai e di buchi, di debiti e disastri economici insomma lasciati in eredità dalla amministrazione precedente. Siamo purtroppo abituati a sentire che il disastro lasciato dalla amministrazione politicamente contrapposta pretenderà anni e sacrifici per poter essere sanata e che i cittadini sono sempre chiamati ad ulteriori restrizioni.

Ciò non può essere più accettabile né tantomeno giustificato. Oggi l’economia è globalizzata e la “cassa” è comune, per i paesi dell’Unione è così, ragion per cui non è lecito procrastinare oltre questo spettacolo indecente di deresponsabilizzazione reciproca dei governi che si succedono alla guida del paese. Le colpe dei deficit e di una politica economica fallimentare sono sempre da attribuirsi agli altri.

Tutto ciò brevemente premesso, in quanto l’argomento esige uno studio approfondito ed un dibattito parlamentare costruttivo, si può, ed a questo punto si deve, decidere che la politica economica del paese da presentare al vaglio della globalizzazione, sia studiata e presentata al paese quale frutto della collaborazione di due ministri rappresentativi delle forze politiche bipolari. Con la diretta compromissione del ministro della compagine che ha perso le elezioni, si induce a responsabilizzare anche l’opposizione delle scelte strategiche di breve e di lungo periodo che il paese si troverà costretto ad affrontare. In caso di disaccordo insanabile tra due, il Parlamento sarà chiamato a gestire quella crisi con il voto, magari, dopo una “quarantena” di approfondimenti e di studi ulteriori da parte dei due ministri per scongiurare l’empasse. Si eviterà, di contro, quella deresponsabilizzazione dei conti del paese e lo scaricabarile sistematico quando l’un ministro di destra subentra nella gestione appena lasciata da quello di sinistra e viceversa.

Insomma, la politica economica di una compagine partitica, non può e non deve essere l’indicatore, e di fatto proprio non lo è, che connota il posizionamento alle Camere. Oggi, il sistema non lo accetta più, né riconosce al metodo quelle caratteristiche che un tempo, molto tempo fa, delineavano oggettivamente di quale tendenza politica ideologica si facesse parte al solo disquisire di economia.

Nel dibattito politico-filosofico che è in atto nel paese dove studiosi e politici si chiedono sul significato di essere di destra o di sinistra, appare immediatamente forzata la spiegazione di chi accampa fatti contrapponendo l’operaio all’imprenditore, il servo al padrone, il capitale alla statalizzazione.

On. Antonio Razzi
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