“Ganzer aiutava i narcos”, le motivazioni della sentenza

prima pagina di Matteo Zola

Guardie e ladri in combutta allo scopo «di realizzare clamorosi arresti e sequestri di droga». E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza che condannò, nel luglio scorso, il generale dei Ros, Giampaolo Ganzer, a quattordici anni di reclusione, e che sono state rese note nella giornata di ieri. Motivazioni che inchiodano Ganzer alle sue responsabilità, cioè aver favorito i narcotrafficanti a causa della sua «legittima aspirazione ad ottenere speciali risultati nella lotta al crimine». Anche a costo che «l’appartenenza ad un corpo speciale facesse credere di potere agire con metodo di lavoro speciale». Secondo i giudici, dunque, Ganzer ha messo in piedi un sistema per il quale prima favoriva i trafficanti di droga, aiutandoli nei loro affari, per poi arrestarli con spettacolari interventi, buoni per i media e per le speranze di rapida carriera coltivate dallo stesso generale.

Lo spiegano bene le motivazioni della sentenza emessa dai giudici di Milano, Luigi Caiazzo, Chiara Nobili e Paola Pendino, i quali non imputano a Ganzer generiche responsabilità, ma specifici indicatori di consapevolezza e partecipazione alla creazione all’estero di importazioni di droga organizzate apposta per essere poi scoperte e stroncate da spettacolari blitz. E in Ganzer individuano l’unico referente, poiché «a lui continuamente si rapportava e comunicava tutti gli sviluppi».

Ecco come un generale dell’antidroga si trovava a favorire i narcos, per poi arrestarli, certo, ma nel frattempo questi continuavano i loro traffici favoriti dall’operato del Ros. Traffici che significano tonnellate di droga che venivano smerciate in Italia in tutta sicurezza. Si legge infatti nella sentenza come ai narcos «sono stati fatti ottenere i necessari visti, evitando il prescritto controllo della Direzione centrale antidroga; è stato permesso di importare in tutta sicurezza qualsiasi partita di droga». E ancora, Ganzer: «ordinava espressamete ai funzionari della Dogana di astenersi da qualsiasi controllo» mentre ai narcos «sono stati indicati gli acquirenti ed è stato fornito ogni genere di assistenza in Italia, pagando loro l’albergo, scortandoli negli spostamenti, fornendoli di cellulari sicuri».

Un «metodo» ritenuto dai giudici doppiamente «inaccettabile»: nella forma perché «gli arrestati sono stati indotti a commettere il reato da quelle che dovrebbero essere ed agire come forze dell’ordine e impedire che si commettano reati», e nella sostanza «perché il traffico di droga non solo non è stato combattuto, ma addirittura incoraggiato e favorito».

Si arriva così alla fine del primo atto di un processo lungo e difficile, ben centosettanta udienze che hanno costellato cinque anni di processo, dopo un’indagine partita dalla Dda di Brescia nel settembre 1997. Insieme a Ganzer sono state condannate altre tredici persone, in riferimento a singoli episodi delittuosi commessi nel corso di alcune importanti operazioni antidroga compiute «sotto copertura» dal Ros: “Cobra” del 1994 e “Cedro 1″ del 1995, in cui i giudici hanno riscontrato le pesanti irregolarità. La sentenza emessa dai giudici di Milano, che solo in parte hanno accolto le richieste del Pm Luisa Zanetti che aveva chiesto 27 anni per Ganzer, è particolarmente importante dato che riguarda un militare stimato e di lungo corso, a capo di una delle più qualificate strutture anticrimine presenti in Italia.

Anche la vicenda giudiziara è stata complessa: inziata a Brescia, poi trasferita a Milano a causa della presenza tra gli indagati del magistrato Mario Conte (che sarà processato a parte), quindi a Bologna e infine riassegnata dalla Cassazione al capoluogo lombardo.

Al momento Ganzer è ancora al vertice del Ros. «Attendo ordini, ma non mi dimetto» avrebbe detto a coloro che gli chiedevano quali mosse intendeva intraprendere alla luce della sentenza di primo grado. Nel corso di u­na delle ultime udienze Ganzer aveva ribadito: «Questo è il mio metodo di lavoro, un metodo corretto». La sentenza di condanna ai danni di Ganzer è stata fin da subito controversa, per almeno due ordini di ragioni. Il primo è rappresentato dalle molteplici testimonianze che descrivono il generale Ganzer come un onesto servitore dello Stato, colpevole di avere utilizzato metodi di indagine eccessivamente aggressivi e spregiudicati ma non di aver messo in piedi un sistema per truffare lo Stato. In secondo luogo perché, contrariamente a quanto chiesto dai pubblici ministeri, la sentenza di condanna ai danni di Ganzer riguarda alcuni episodi di traffico internazionale di stupefacenti. I giudici, infatti, non hanno riconosciuto il reato di associazione a delinquere.

Sulla linea sottile che separa legale e illegale, lì ha camminato Ganzer, condannato a quattordici anni di reclusione dai giudici. Una vicenda che certo riserverà altre puntate.

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