Idv e questione morale, Flores d’Arcais: “Di Pietro porta l’Idv al suicidio”

Idv e questione morale, Flores d’Arcais: “Di Pietro porta l’Idv al suicidio”

C’è del marcio in Danimarca (l’Italia dei valori regione per regione)di Alessandro Calvi, da Il Riformista, 24 dicembre 2010

Paolo Flores d’Arcais, allora, c’è o no una questione morale nell’Italia dei Valori?
Sì. E a differenza di voi del Riformista guardo alla cosa con grande preoccupazione perché la crisi dell’Italia dei Valori indebolisce quel che resta della democrazia nel nostro Paese.

E di chi è la responsabilità di questa crisi?
La responsabilità è sempre di chi ha più peso, quindi nell’Idv è di Antonio Di Pietro.

Ma si può condividere o è soltanto sua?
Sua.

Flores d’Arcais, filosofo e direttore di MicroMega, si riferisce al manifesto “L’Idv e la questione morale”, firmato da Luigi De Magistris, Sonia Alfano e Giulio Cavalli. Si tratta di nomi di peso, slegati dalla “vecchia politica” e che rappresentano l’ala più movimentista del partito. Citando Enrico Berlinguer, i tre partono dal caso Scilipoti-Razzi e chiedono «una brusca virata». «Abbiamo un patrimonio da cui ripartire – scrivono – ed è quella “base” pensante e operativa, che non ha timore di difendere a spada tratta il suo leader Di Pietro ma nemmeno di rivolgersi direttamente a lui per chiedere giustizia e legalità all’interno del partito “locale”».

Quando nasce la crisi dell’Idv?
Nasce con il successo alle europee. Raddoppia i voti perché inserisce candidature di grande valore simbolico, De Magistris e Alfano in primo luogo, che aprono ai movimenti della società civile. A quel punto Di Pietro ha solo due strade: consentire che i nuovi elettori possano fare irruzione anche nel partito in quanto militanti, o illudersi di continuare ad accrescere la messe elettorale mantenendo gruppi dirigenti locali spesso di provenienza Udeur e comunque adusi alla transumanza politica e del tutto estranei alle lotte radicali della società civile, fatte salve le solite eccezioni.

E lui ha scelto la seconda strada.
Lo dimostra in primo luogo l’ultimo congresso dell’Idv, un’autentica parodia di democrazia. I “tradimenti” sono solo l’ovvia conseguenza di un partito il cui ceto politico locale, per benedizione e volontà di Di Pietro, è ancora largamente mastelliano.

La transumanza è terminata o invece il rubinetto potrebbe riaprirsi?
Dati i personaggi, potrebbe aprirsi ancora, in qualsiasi momento.

Ritiene che vi sia un problema soltanto di calsse dirigente o anche di scelte e di linea politica?
C’è problema di struttura del partito, non di linea politica. Il tanto deprecato giustizialismo di Di Pietro è invece l’unica forza di questo partito (semmai è quello che manca al Pd). Questo comporta però uno scarto ormai diventato abisso fra una linea politica sacrosanta di opposizione frontale al regime e una conduzione del partito a livello nazionale e locale che la contraddice radicalmente.

Cosa dovrebbe fare allora Di Pietro?
Quello che avrebbe dovuto fare dopo le elezioni europee con il congresso: un grande big bang che rifondasse l’Idv con i movimenti derla società civile.

È questo che chiede quel manifesto?
Sì. Mi domando però se ormai non sia già troppo tardi.

Siamo di fronte a una rottura?
La risposta di Orlando, Donadi e Pedica – che, fatte le debite proporzioni, ricorda alla lettera l’atteggiamento del Pci nei confronti dei dissidenti del manifesto – fa pensare che Di Pietro voglia andare al suicidio. Senza gli elettori conquistati dalle candidature di movimento tornerebbe verso un innocuo 3 o 4 per cento.

Lei era stato il primo a porre certe questioni.
Errare humanum, perseverare diabolicum.

Con un Idv che si avvia al suicidio e il Pd che è qullo che è, che scenario si apre?
Quello di un regime in decomposizione che punta ormai a misure fasciste per sopravviere. E di una opposizione vera che ormai esiste solo nel paese e nelle sue lotte, quelle dei metalmeccanici Fiom come due mesi fa, e quelle degli studenti in questi giorni.

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