La Riforma Gelmini non riforma

Autore Antonio Palagiano

Il provvedimento che ridisciplina la governance degli atenei, lo stato giuridico ed il reclutamento del personale, e delega il Governo ad adottare incentivi per la qualità del sistema universitario, approvato ieri dalla Camera dei deputati, è inutile poiché vuoto di contenuti. Sotto la falsa promessa di una riforma si nasconde, in realtà, una leggina di facciata che non rinnova, anzi peggiora un settore, quello dell’università italiana, che sta già affrontando un momento difficilissimo perché vittima di tagli sproporzionati e ingiustificati.
Valorizzare il merito, era la parola d’ordine con la quale la Gelmini aveva mosso i suoi primi passi nel formulare la riforma universitaria che avrebbe portato il suo nome. E come si fa a non essere d’accordo con un obiettivo del genere? Eppure, nei fatti e nei contenuti, nulla è stato fatto: solo parole, ripensamenti e imbarazzanti dietrofront su un provvedimento che non è stato sostenuto dal ministro dell’economia Tremonti. L’Università italiana è ultima in Europa: nel nostro Paese il rapporto tra il numero degli studenti e quello dei docenti è di 21 a uno, contro il 16 a uno della media europea. L’Italia investe solo l’1% del Pil nazionale nella ricerca, a differenza di Francia e Germania, che ne investono il triplo. La nostra classe docente è la più vecchia d’Europa, con il 54% dei professori di ruolo che supera i 50 anni di età, contro il 29% della Germania e il 30% del Regno Unito. Da questi dati si comprende che un rinnovamento dell’università era più che necessario, ma richiedeva un atto di coraggio e responsabilità che questo Governo non ha avuto.
Una vera riforma, avrebbe dovuto avere come principio ispiratore e come primo obiettivo la selezione trasparente e imparziale del personale docente, per garantire il futuro dell’università e dare speranza ai più meritevoli. Inoltre, avrebbe dovuto lottare contro le baronie universitarie che da anni perpetuano un familismo, un nepotismo e un amantismo – mi sia consentito il neologismo- in grado di soffocare le aspettative dei nostri ragazzi e dei nostri figli; una lobby di anzianotti seduti comodamente sul proprio trono da decenni, invalutati e invalutabili, praticamente intoccabili che condizionano – come vediamo da questo testo di legge – perfino le decisioni dei Governi.
Infine, ma non certo per importanza, una vera riforma universitaria avrebbe dovuto investire nella ricerca. Ed invece nulla di tutto ciò è stato fatto dal ministro dell’Istruzione. Questa pseudoriforma mantiene le cosiddette responsabilità locali e cioè i concorsi, le valutazioni dei candidati, nelle varie sedi universitarie, introducendo soltanto l’abilitazione nazionale, che è cosa diversa da quella graduatoria unica nazionale che avremmo tanto auspicato e dalla quale tutti gli atenei avrebbero dovuto necessariamente attingere per colmare i posti resisi vacanti. È stata, di fatto, soppressa la comparazione dei candidati, come avviene nel resto del mondo. Sono stati cancellati – poiché al momento manca la copertura finanziaria – i concorsi per professori associati, gli scatti di anzianità per i ricercatori, le borse di studio e i finanziamenti per gli alloggi destinati agli studenti meno abbienti.
Il ministro Gelmini è un “ministro azzoppato”, come ha detto il presidente Di Pietro, poiché ha messo il futuro degli atenei nelle mani del Ministro dell’economia, che di fatto ha commissariato l’Istruzione, oltre alla Sanità. Si è attribuita una riforma epocale, ma non è intervenuta neanche sulle modifiche più elementari, quelle a costo zero, come la messa in quiescenza dei professori universitari che avremmo auspicato all’età di 65 anni. Invece, rimarrà intatto il vetusto sistema gerontocratico dei settantenni che soffocherà l’inserimento dei giovani talenti, costretti a fuggire all’estero. Il Ministro dell’Istruzione, dopo il suo assordante stalking mediatico, ha partorito un provvedimento malformato.
Noi dell’Italia dei Valori riteniamo che i ricercatori più qualificati, per i quali lo stato ha investito fior di quattrini, che sono i veri nostri ambasciatori della cultura, che danno lustro al nostro Paese all’estero, debbano almeno avere il giusto e meritato riconoscimento del lavoro svolto. Non chiediamo per loro alcun privilegio, ma soltanto giustizia.

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