di Antonio Di Giovanni
Ormai la somiglianza tra i Partiti sul piano delle scelte diventa quasi un fatto inevitabile, anche perché, per risolvere i problemi del Paese, non ci sono molte opzioni da percorrere. I concetti di destra e sinistra una volta avevano un senso. Oggi, non è più così: i politici, al di là della retorica dei programmi, fanno più o meno le stesse cose. E persino i linguaggi si sono avvicinati, tanto da essere a volte difficilmente distinguibili. Se si analizza la questione sul piano dei princìpi, destra e sinistra rappresentano due posizioni politiche diverse e contrastanti della società desiderata, ma dal punto di vista fattuale si osserva che quello che i Partiti dei due schieramenti fanno quando sono al Governo, o addirittura dichiarano di voler fare quando sono all’opposizione, si mescola continuamente. Dunque, i cittadini elettori si annoiano e si irritano. A ragion veduta. Ciò a cui spesso assistiamo sono alleanze fatte di numeri a discapito dei programmi, alcune parti del Governo che assumono condotte di sostegno a favore degli oppositori e viceversa. Quindi, se apparentemente o dal punto di vista concettuale esiste o vogliono convincerci che esista una netta differenza tra il programma di destra e quello di sinistra, viene da chiedersi per quale motivo tale differenza non emerga altrettanto nettamente sul piano delle pratiche effettive dei Partiti. Nanni Moretti ha avuto il merito di sollevare la questione in una nota scena del suo film ‘Aprile’: “Ma perché i Partiti di sinistra non fanno o almeno non dicono qualcosa di sinistra”? L’attuale somiglianza tra le forze politiche sul piano dei contenuti esiste, a dispetto degli attuali continui contrasti tra le parti. E non è dovuta a un’attenuazione del conflitto tra i princìpi, né all’esaurimento della materia del contendere, ma più semplicemente a una incapacità progettuale troppo lontana dalle reali esigenze del Paese e, piuttosto, troppo vicina a certe esigenze personali. Ormai l’ideologia, allo stato dei fatti, conta poco: destra e sinistra dovrebbero promuovere azioni e creare istituzioni che consentano a tutti i cittadini di sviluppare liberamente le proprie facoltà, favorendo una reale eguaglianza di opportunità facendo leva su possibili vantaggi o svantaggi connessi a cause naturali o alla ‘fortuna’. Risposte che non portino merito o demerito, ma che rendano ogni cittadino attivo nelle deliberazioni politiche della propria comunità, anche attraverso un incessante stimolo alla partecipazione democratica. Nessuno sembra realmente opporsi con coraggio e fermezza contro le disuguaglianze e le ingiustizie, né i Partiti di sinistra, né quelli di destra, che appaiono sempre esitanti e cauti, legittimando entrambi l’impressione comune che, alla fine, i due distinti pensieri ideologici non facciano la differenza. Appare quindi evidente che il comportamento dei Partiti, rispetto all’ideologia, subisca una caratterizzazione connessa più al piano delle variabili macroeconomiche e distributive nell’era della globalizzazione, che non alla spinta teorica propria. Questo lo si può capire bene rivolgendo lo sguardo al passato e oltre i confini italiani, guardando, per esempio, i piccoli Paesi nordici e consociativi, che hanno esiti economici migliori degli altri e, soprattutto, gli Stati di nuova democrazia. Le cause legate alle grandi fasi dei regimi economico-politici internazionali durante i trent’anni dell’età dell’oro e dalla fine della guerra, sino alla chiusura degli anni ’70 del secolo scorso, denotavano come fosse facile ed elettoralmente pagante fare “cose di sinistra”. Tant’è che le facevano anche Governi conservatori, non solo i socialdemocratici. Nei trent’anni successivi, durante il regime neoliberale e globalizzato, la situazione si rovesciò e anche le forze politiche progressiste furono costrette a fare “cose di destra”. Oggi, invece, i Partiti dispongono di margini di manovra ristretti per assecondare i propri orientamenti tradizionali e i propri elettori. Pertanto, non fanno più né cose di sinistra, né cose di destra. “Destra” e “sinistra” sono oggi parole ‘vuote’, paraventi ideologici senza spessore, pretesti per celare un puro gioco di potere da parte di esponenti e personaggi meschini che portano avanti semplicemente se stessi. Ma non solo: in quei due grandi sistemi culturali, quello progressista e quello conservatore, si riassume l’intera storia della democrazia contemporanea, dalla quale apprendiamo che il contrasto tra i princìpi non riesce a trasformarsi in una reale opposizione di scelte politiche da parte dei Partiti. Tutto questo crea profondi disagi per tutti, sia per i lavoratori esposti alla concorrenza internazionale, sia per i cittadini che ormai non sanno più a chi credere. Il nostro sembra ormai un Paese che si trova a combattere da solo, nel contesto delle regole che oggi prevalgono, senza alcun genere di risposte.(Laici.it)