A Mosca un altro giornalista massacrato

Oleg Kashin trent’anni, professione reporter, contrattualizzato dal periodico Kommersant, è stato aggredito nella notte dell’8 novembre, sotto casa sua, nei pressi del centro di Mosca. Lo scopo dell’aggressione non era quello della rapina e questo è facilmente deducibile dal fatto che i pochi valori (portafogli e cellulare) che Kashin aveva con sé gli sono rimasti addosso. L’intento dell’aggressione si trova nelle ferite che il corpo del giornalista ha riportato: mandibola fratturata, cranio lesionato, gambe e braccia spezzate. Un particolare è significativo. Le dita della mano destra, con la quale Kashin svolge il suo lavoro, sono state oggetto preciso dell’accanimento violento.
Gli aggressori erano in due e uno di questi era dotato di un tubo metallico, nascosto dietro a un mazzo di fiori. Le immagini riprese dalle telecamere dei palazzi mostrano la violenza: uno dei due uomini blocca i movimenti del giornalista, l’altro abbandona i fiori per infierire col maglio.
Kashin si trova ora in ospedale, in coma farmacologico, e in condizioni preoccupanti.
Secondo il direttore del periodico, Mikhailin, per il quale Kashin lavora l’aggressione è dovuta all’attività professionale della vittima: Kashin frequenta e scrive sui movimenti di opposizione e di difesa dei diritti umani. Dalla redazione del periodico, per volontà del direttore, è partita ora un’inchiesta personale in merito alla vicenda.

In Russia gli episodi di censura violenta non sono più novità. Come non nuove risultano le parole, relative all’aggressione, del presidente Medvedev, “i criminali devono essere puniti”. Medvedev ha richiesto al procuratore generale e al ministro dell’Interno “un controllo speciale sull’inchiesta”.

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