UNITA’ NAZIONALE

Giovedì ho avuto occasione di tenere l'orazione ufficiale del IV Novembre a Verbania e nel mio intervento ho proposto una riflessione ad una data di 92 anni fa, iniziando con il ricordare i nomi dei 13 militari italiani morti quest'anno in missione all'estero e proseguendo: “Se la data del IV Novembre ha un senso, credo lo sia innanzitutto per ricordare queste persone, italiani cui è stato chiesto di compiere azioni difficili e hanno coscientemente affrontato il rischio…e non sono tornati. Giuste le loro missioni? Condivisibili gli obbiettivi delle nostre presenze in missioni di pace all’estero? E’ il dibattito di ogni giorno… D'altronde queste missioni si sono moltiplicate negli anni e alcune sono ormai dimenticate per gran parte dell’opinione pubblica. Tutti pensiamo oggi all’Afghanistan, ma non dobbiamo dimenticare che in questo decennio quei 73 caduti delle forze italiane hanno permesso il ritorno della pace in Kossovo, in Bosnia, in Libano, al confine tra Eritrea ed Etiopia, nel sud del Sahara, alla frontiera tra Israele e la striscia di Gaza, in Somalia, a Timor Est…Missioni in cui l’Italia era presente e si è fatta onore, guadagnando rispetto e grandi consensi internazionali.

Quando qualche nostro soldato viene ucciso tutti ci interroghiamo sul futuro dell’Afghanistan o dell’Iraq ed è legittimo domandarsi se le nazioni occidentali abbiano una strategia di uscita e soluzione dei conflitti, ma non dobbiamo dimenticare che – nel loro complesso – le missioni di pace italiane all’estero hanno effettivamente permesso la soluzione o per lo meno il congelamento di molti conflitti. Missioni per una volontà di pace, anche se il IV Novembre per anni ha significato la celebrazione di una guerra, di una pace sanguinosa, soprattutto di una vittoria. Chi è della mia generazione o più anziano ricorda ancora i propri nonni che avevano fatto la guerra sul Piave quando nel 1968, per il 50° anniversario della vittoria, erano diventati “Cavalieri di Vittorio Veneto”. Un diplomino, una gratifica “una tantum” di 60.000 lire (che erano poche già allora) ed una medaglietta consegnata con anni di ritardo, quando molti dei reduci erano ormai deceduti. Ricordo ancora quel novembre del 1968 quando le nostre zone erano sconvolte dall’alluvione e ricordo l’orgoglio di mio nonno Felice, pescatore di questo lago e caporalmaggiore nel genio pontieri, Felice – di nome e di fatto – nel sentirsi chiamare “cavaliere”.

Quelle persone già allora ormai anziane erano testimoni ancora viventi di una nazione che era andata formandosi lentamente, tra molti contrasti, ma che man mano si era data una lingua che prima era solo patrimonio di una elite, si erano dati una storia, avevano costruito nelle trincee una esperienza comune, una ..”Unità nazionale”. Ha senso oggi festeggiarla? Sicuramente appaiono lontani i tempi di una guerra contro nazioni a noi vicine e che oggi sono parte di una comune patria europea, così come credo nessuno voglia una nuova divisione nel nostro paese, ma piuttosto un miglior funzionamento dei servizi e una autentica autonomia su molte questioni che non ha più senso restino gestite in maniera accentrata e centralista. Ma l’unità nazionale assume oggi una entità, un valore, un modo di pensare che non è più – io credo – di carattere territoriale ma di condivisione civile. Unità oggi è cercare di affrontare insieme- e con più volontà di farlo – la crisi economica che attraversiamo, le difficoltà nel lavoro, i drammatici dubbi che hanno i nostri giovani, l’ affievolirsi del senso del dovere e di veri valori di riferimento. Unità nazionale è capire che una società sta in piedi solo se vi sono veramente diritti e doveri condivisi, se c’è rispetto reciproco, solidarietà, impegno serio per la difesa dell’indipendenza e della libertà.

Il sacrificio dei caduti che ricordiamo oggi è un monito, un ricordo, un confronto tra le nostre povertà e i nostri limiti e la generosità di chi ha sofferto per darci la possibilità di scegliere, di crescere, di essere un paese unito.Pochi di quelli che sono morti sul Carso, sul Piave o sul Monte Grappa erano degli eroi. Credo fossero persone come noi, chiamate per dovere a rischiare la vita in una guerra non voluta e spesso subita, ma nella quale – per la prima volta – nella storia del nostro paese genti di regioni diverse si conoscevano, si confrontavano, soffrivano insieme ed inconsciamente si fondevano in una nazione. La prima guerra mondiale è stato un carnaio dove a soffrire sono stati prima di tutto i contadini che rappresentavano la gran parte delle truppe, ma anche tanti ragazzi che, lasciata l’università, per la prima volta li comandavano e insieme con loro – piano piano – davano una struttura e un senso unitario al nostro paese. Una rivoluzione sociale che contò molto negli avvenimenti che portarono pochi anni dopo alla dittatura, ma che più tardi formò anche l’humus su cui crebbe il riscatto nazionale e – dopo la seconda guerra mondiale – il rilancio economico della nostra nazione portandola ad essere una tra le prime del mondo. Oggi, 92 anni Vittorio Veneto, la nostra società mostra dubbi, tristezze, divisioni. Non tutto però è negativo: tanti, tantissimi italiani ed italiane, ogni giorno, nel pubblico e nel privato, nel volontariato e nell’impegno politico o nel crescere la propria famiglia, fanno il loro dovere. Sono italiane e italiani forse lontani dalla cronaca, non fanno notizia eppure lavorano, si impegnano, danno forza a una comunità.

Se è nelle difficoltà che si celebra lo spirito di un popolo, è questo è un momento particolare, dove occorre una forte volontà di tornare ciascuno a prenderci le nostre responsabilità pubbliche e private. Solo così avrà senso ritrovarsi oggi a meditare – almeno per un attimo – sui sacrifici dei nostri nonni e dei nostri padri, in pace e in guerra, anche oggi, tra la polvere dell’Afghanistan. Vogliamo, dobbiamo essere un paese che torni ad avere il coraggio del confronto, della forza di risollevarsi, di non vivere da “imboscati” ma di accettare il rischio della prima linea. Certo, non più una prima linea di trincee, ma nell’impegno per il rafforzarsi del senso di appartenenza, di unità, di solidarietà. Questo può essere oggi il significato del IV Novembre senza retorica, senza odio, senza contrapposizioni. Un IV novembre che sia festa davvero di unità nazionale.”

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