Il calcio non mi piace, anzi mi annoia: è un gioco lento. E, poi, i calciatori di fama, per lo più esaltati e narcisisti, quando rilasciano qualche intervista paiono, se va bene, obsoleti (ancor oggi un gradino sopra il fatidico “sono arrivato uno”) e dotati di una cultura alquanto povera o da poveracci. Per di più, risultano loro ignari il ragionamento corretto, le sue implicazioni, la lingua italiana. Getto il “brutto”, al fine di adorare “La finale di calcio dei filosofi” (The Philosophers’ Football Match), e non perché eserciti il mestiere di filosofa, bensì in quanto i quattro Monty Python (tre di loro Ph.D. a Oxford) posseggono un’intelligente e colta ironia.
Stadio olimpico di Monaco, finale dei mondiali: in campo sono i filosofi a giocare a calcio, ma entra pure un reale calciatore, non uno qualunque, bensì Franz Anton Beckenbauer, considerato uno dei più grandi giocatori della storia del calcio.
Ecco il video dei filosofi greci contro filosofi tedeschi: https://www.youtube.com/watch?v=IXe9Vk5xee4
Chi ha approfondito gli studi filosofici o è un buon filosofo di professione (non tutti coloro che si professano filosofi si attestano all’altezza) comprende bene il modo di giocare a calcio di ogni filosofo: lo schema è quello della propria filosofia. Per seguire lo svolgimento della partita occorre possedere pure nozioni calcistiche, ma risultano talmente minimaliste codeste nozioni e lo sport del calcio è talmente diffuso nel nostro paese, che, se non le si conosce di già, si apprendono in un attimo, mentre per “giocare” bene a fare filosofia occorrono anni di studio, argomentazioni, riflessioni, discussioni.
A che serve la filosofia e la fatica che essa comporta? Stando ad Aristotele “la filosofia non serve a nulla, dirai; ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile”. Già, pur con le sue regole, la filosofia, a differenza degli sport agonistici, non è serva: non ubbidisce al alcuno e a nessun comando. Per nulla lo stesso vale per il calcio, a partire dal fatto che il suo primo motore è un’impressionante giro di soldi, e non solo. In tempi ancora di Covid 9, così l’unico sport ora giocato, al fine di portare a termine il campionato, è il calcio. E a settembre/ottobre che accadrà? Si giocherà o si andrà a scuola con le lezioni a distanza che, io, Nicla Vassallo, detesto, e non solo io. Per esempio, lo scorso Maggio, La Stampa pubblicava l’appello, redatto materialmente dal filosofo Umberto Curi, e sostenuto da noti intellettuali, oltre Massimo Cacciari, Alberto Asor Rosa, Maurizio Bettini , Luciano Canfora, Umberto Curi, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, Nadia Fusini, Sergio Givone, Giancarlo Guarino, Giacomo Marramao, Caterina Resta, Pier Aldo Rovatti, Carlo Sini, Nicla Vassallo, Federico Vercellone: Dare superficialmente per assodata l’intercambiabilità fra le due modalità di insegnamento – in presenza o da remoto – vuol dire non aver colto il fondamento culturale e civile della scuola, dimostrandosi immemori di una tradizione che dura da più di due millenni e mezzo e che non può essere allegramente rimpiazzata dai monitor dei computer o dalla distribuzione di tablet…. la scuola non vuol dire meccanico apprendimento di nozioni, non coincide con lo smanettamento di una tastiera, con la sudditanza a motori di ricerca. Vuol dire anzitutto socialità, in senso orizzontale (fra allievi) e verticale (con i docenti), dinamiche di formazione onnilaterale, crescita intellettuale e morale, maturazione di una coscienza civile e politica. Insomma, qualcosa di appena più importante e incisivo di una messa in piega o di un cappuccino”.
Nonostante il suddetto nostro appello, parecchie università, inclusa quella di Genova, ove insegno, Filosofia Teoretica, da professore ordinario, hanno optato per la didattica a distanza, limitandosi per ora al primo semestre; forse inconsapevole, tra l’altro, che con la didattica a distanza lo studente apprende solo il 10% di quanto il professore gli vorrebbe impartire.
Perché studiare in queste condizioni? E, dopo, anche con una laurea triennale in qualche disciplina, si troverà lavoro con una crisi economica di cui non conosciamo ancora la portata?
Insomma, al momento, vi sono perlomeno due Italie: quella di una scuola che non osa, che diligente rispetta ogni norma per contenere il Covid 9, che non si attrezza in modo adeguato per le lezioni in presenza, scuola in cui gli studenti procedono al 10%, e quella dì un calcio libero da restrizioni perché deve portare a termine il campionato, per iniziare il successivo.
Quando da bimba mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, i miei desideri erano molti. E oggi i nostri bimbi e le nostre bimbe cosa possono sognare? Una scuola-non-scuola, scalcinata, che se va bene li condurrà probabilmente a lavori simil-portapizze, se non a lavori in nero, o la pratica di un sport quale è il calcio, dove sì ci sarà anche una grassa ignoranza culturale, ma dove i soldi girano bene e troppi, e, se riesci a giungere in una squadra di serie A o pure B, molto ti è concesso.