La guerra non è un valore della Costituzione

Autore Sonia Alfano

Oggi è il giorno dei funerali dei quattro alpini uccisi sabato scorso in un attacco talebano in Afghanistan. L’ennesimo sacrificio di vite umane ha riaperto la discussione sulla presenza dei nostri militari in quel martoriato Paese, per una missione di pace che si è via via trasformata in una vera e propria guerra.
Eppure “L'Italia – recita l’Articolo 11 della Costituzione – ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
Il nostro Paese può partecipare esclusivamente a missioni internazionali di pace, missioni nelle quali è centrale il valore di aiuto alle popolazioni e di ricostruzione e stabilizzazione a seguito di conflitti. Eppure secondo il Ministro La Russa e tutto l’emiciclo parlamentare (ad esclusione dell’Italia dei Valori) non importa se la presenza del nostro contingente in Afghanistan abbia assunto i contorni di una vera e propria guerra con attività offensive fortemente marcate. Non importa se nell’ultimo mese cinque nostri ragazzi abbiano perso la vita, 34 dall’inizio della missione nel 2004. Non importa se 6 italiani su 10 siano contrari alla missione in Afghanistan. Dobbiamo restare, non si discute. Anzi, confortato dai vari Rutelli, Bersani, Casini, il Ministro La Russa si appresta a mandare più armi, più militari, ad armare i tornado per i bombardamenti. Così, secondo loro, potremo stanare i talebani ed esportare la democrazia in Afghanistan; i civili che verranno massacrati nel sonno saranno inseriti nel capitolo di spese denominato “costi della democrazia”. I cadaveri dei nostri ragazzi, giovani, giovanissimi, quelli li metteremo al capitolo “spese per scelte incostituzionali del Parlamento”, e nel giro di poco, con un falso in bilancio, tutto sarà cancellato.
Nessuno, per ipocrisia mista a interessi politici ed economici, ha il coraggio di dire che la guerra è uno strumento che non funziona. Lo dimostrano i dati di fatto. Siamo giunti quasi al decennale dell’inizio della guerra in Afghanistan, i talebani e i signori della guerra spadroneggiano ancora in buona parte del territorio e, soprattutto, hanno il consenso della popolazione: all’inizio del conflitto erano odiati e detestati da larga parte di essa. La produzione di oppio non è diminuita e le elezioni finora svolte hanno avuto ben poco di democratico, con brogli evidenti in quasi tutto il paese. Di questo si sono resi conto anche gli USA che, insieme a Karzai, hanno deciso di trattare con i talebani: basterebbe solo questo fatto a certificare la morte del progetto di guerra, di pace o di qualsiasi altro fantomatico aggettivo usato per ammorbidire una realtà fatta di sangue, morti, e bandiere sulle bare.
La politica della forza, come sempre accade, non porta alcun frutto se non quello di acuire l’odio, di dividere le persone, di seminare morte. E di far realizzare grossi profitti a multinazionali e affaristi.
Penso che l’Italia dei Valori, e la maggioranza degli italiani, abbiano un’altra idea dell’impegno internazionale dei nostri ragazzi, che non è certo quello di andare a stanare i talebani in mezzo all’Afghanistan, né tantomeno procedere a bombardamenti a tappeto. Un’idea fatta di solidarietà, di cooperazione, di formazione, di sostegno. Un’idea che non si rispecchia nell’attuale atteggiamento del Governo e del Parlamento (ad eccezione di Italia dei Valori) che ha rifinanziato ad agosto le missioni, destinando per la seconda parte del 2010 ben 365 milioni di euro per il mantenimento del contingente ISAF in Afghanistan e solamente 18,7 milioni di euro per iniziative di cooperazione, assistenza e ricostruzione. Una sproporzione palese che testimonia ulteriormente l’atteggiamento anticostituzionale che l’Italia ha assunto a livello internazionale.
Come ci ricorda Gino Strada “ci sono tanti modi per intervenire. Il dramma di oggi è che di fronte a qualsiasi problema si pensa solo ed esclusivamente in termini di «che risposta militare diamo», cioè «quanti uomini mandiamo, dove, chi li comanda». Il problema di per sé non lo si affronta mai”. Forse è arrivato il momento che l’Italia decida di affrontare il problema con la testa, con il cuore, lasciando a casa i fucili.

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