A cena con Schifani? Io non ci sto

di Sonia Alfano, da soniaalfano.it

Come anticipato ieri, il presidente dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro ha presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia Angelino Alfano per chiedere il motivo della presenza del Procuratore Capo di Palermo Francesco Messineo alla cena di sabato scorso a cui erano presenti lo stesso Ministro, il Presidente del Senato Renato Schifani (a quanto pare indagato dalla Procura diretta da Messineo per concorso esterno in associazione mafiosa), il Prefetto ed il Questore di Palermo, il Presidente della Corte d’Appello ed il Presidente del Tribunale di Palermo.

Un cocktail istituzionale di altissimo livello. Un’occasione conviviale che ho definito senza remore “cena degli orrori”. Già, perchè io come Antonio Di Pietro ritengo inopportuno che il procuratore capo sieda allo stesso tavolo dell’indagato per mafia, qualunque sia l’argomento del loro colloquiare. Lo ritengo inopportuno perchè così si abbattono le necessarie barriere e si svilisce il ruolo del magistrato, a maggior ragione durante una cena: è inaccettabile.

Al procuratore Messineo, che non si è giustificato ma ha solo precisato che si trattava di una semplice occasione “mondana”, verrebbe da chiedere se ha mai visto Antonio Ingroia o Antonino Di Matteo (giusto per citare due esempi) partecipare a cene mondane con i loro indagati. A Palermo la vita del magistrato onesto è per forza di cose una vita sacrificata, solitaria. I magistrati ‘evitano’ di partecipare a cene mondane proprio per aggirare il rischio di ritrovarsi a tavola con personaggi discutibili che possano minare la credibilità della procura o delle inchieste. Addirittura, spesso, i magistrati si limitano nel costruire amicizie per paura di incappare in gravi errori di valutazione. Insomma, una vita “bunkerata”.

Messineo, invece, pare essere certo di aver fatto la cosa giusta. Io ritengo che questa sua condotta sia un rischio, non solo per le indagini portate avanti dalla procura tra mille difficoltà e impedimenti, ma anche per la sicurezza dei suoi sostituti, che, dopo essere stati colpiti dalle parole del neo-attore teatrale Giuseppe Ayala sull’eccessiva spesa per le scorte, adesso dall’esterno vengono anche visti come ‘abbandonati dal proprio capo’.

Questa mattina poi, sfogliando il Fatto Quotidiano, ho potuto scorgere le non-dichiarazioni di due parlamentari: Luigi Zanda (Partito Democratico) e Fabio Granata (Futuro e Libertà per l’Italia). Il primo si è limitato a dire che non è necessario un suo commento sulla vicenda perchè ‘stiamo parlando di una cena ufficiale’, smentendo di fatto il procuratore Messineo, che aveva invece parlato di ‘occasione mondana’, e lasciando ad altri l’onere di chiedere chiarezza. Il secondo, invece, ritiene eccessive le mie preoccupazioni (sono l’unico esponente politico, insieme a Di Pietro, ad aver stigmatizzato l’accaduto), precisando che Messineo e Schifani sono entrambi palermitani e facendo un piccolo accenno, piuttosto banale a mio avviso, al rischio che i due abbiano potuto parlare delle indagini in corso.

Insomma sia Zanda che Granata preferiscono non esporsi, e con stile castigato rispondono a mezze parole evitando di assumersi la responsabilità politica di condannare condotte ambigue. Granata, dicevo, giustifica il tutto facendo riferimento alle origini palermitane dei due protagonisti principali della vicenda. Se questo è il metro di giudizio da utilizzare, allora avremmo potuto giustificare Messineo anche se fosse andato a cena, paradossalmente, con Bernardo Provenzano: pure lui è palermitano. E poi Granata, che ultimamente pare abbia riscoperto i valori della democrazia e della questione morale, dimentica le parole di Paolo Borsellino:

“L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato quindi quel politico è un uomo onesto. E no, questo discorso non va perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire, beh, ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però siccome dalle indagini sono emersi altri fatti del genere altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica”.

Se Paolo Borsellino è un martire nella cui onestà e integrità morale crediamo tutti tanto da difenderla a spada tratta ad ogni occasione, come si può dimenticare un discorso così preciso e denso di significato?

Questa vicenda non può passare sotto silenzio, va chiarita e alla svelta. Perchè c’è un Paese che aspetta giustizia da troppo tempo, un Paese che soffre, che vuole riscattarsi, che deve essere risarcito per il troppo sangue versato. E ora non si può tollerare che nessuno chieda conto dell’accaduto. Non un’agenzia stampa, non una replica, non una ripresa dai valorosi Corriere e Repubblica che forse non digeriscono il buco giornalistico. Va davvero tutto bene per tutti? Per me no, e con gentilezza pongo ancora la mia domanda al Procuratore Messineo: non ritiene che la sua partecipazione al simposio sia stata inopportuna? Non ritiene di dovere fornire un’adeguata spiegazione ai sostituti che alle cene mondane preferiscono le misere e vetuste stanze del Tribunale di Palermo?

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