La nostra politica estera nel Mediterraneo e il rapporto con la Libia

di Gianluca Sadun Bordoni

Mentre sfuma il clamore per le provocazioni del Colonnello Gheddafi e si capitalizzano gli indubbi vantaggi che la cooperazione con la Libia produce per il nostro paese, si può tentare una prima riflessione, più distaccata, che riguardi il complesso della nostra politica estera nel Mediterraneo e il rapporto con la Libia.
Comparativamente, le distanze nel centro-destra sono minori, in politica estera, rispetto ad altri ambiti. Occorre riconoscere al governo e alla nostra diplomazia di aver in generale operato avendo sempre chiaro l’interesse nazionale. Non mi pare giusto qui confondersi con le critiche dell’opposizione, che mirano a ridicolizzare la nostra politica estera. E ciò al di là di certi comportamenti discutibili di Berlusconi (“la diplomazia del cucù”, la chiama lui stesso) o dell’acquiescenza mostrata nei confronti dell’imprevedibile Gheddafi (che all’Onu, un anno fa, non si comportò molto meglio).
Per quanto riguarda il Mediterraneo, per noi così importante, non si può negare che siano stati raggiunti alcuni risultati di rilievo: non è facile essere accolti con pari entusiasmo a Gerusalemme e a Tripoli. Il convinto sostegno offerto ad Israele rappresenta una grande novità nella politica estera italiana. Bisogna poi dar atto al governo di aver mantenuto salde alcune scelte strategiche, ad esempio l’apertura nei confronti dell’adesione della Turchia all’Unione Europea (qui la Lega ha esercitato influenza minore che altrove).
Si può solo osservare che l’Italia (ma questo non riguarda solo l’attuale governo) investe sempre in misura maggiore nei rapporti bilaterali, che più facilmente portano risultati concreti, che non nell’azione a carattere ‘regionale’, che richiede tempi più lunghi. Nel Mediterraneo, l’iniziativa in senso regionale è sempre stata più spagnola e francese che italiana: non a caso, il primo esperimento di partenariato euro-mediterraneo porta il nome di ‘Processo di Barcellona’, dalla città in cui fu lanciato nel 1995, su forte iniziativa spagnola; il rilancio del partenariato, che ha preso il nome di Unione per il Mediterraneo, è stato pensato e voluto dal Presidente Sarkozy, che lo tenne a battesimo a Parigi nel luglio 2008. In questa politica regionale dell’Europa nei confronti del Mediterraneo l’Italia ha sempre giocato un ruolo marginale, anche se può addurre a parziale consolazione che i successi di tale politica sono stati piuttosto scarsi. Ciò non toglie che si tratti della politica mediterranea dell’Unione Europea e che l’Italia avrebbe tutti i titoli (e gli interessi) per giocarvi un ruolo da protagonista. Ci si può augurare che il Ministro Frattini, volato a Tripoli per il vertice dei paesi del Mediterraneo Occidentale, riesca a definire un profilo più incisivo per l’Italia, almeno in questo ‘forum’ sub-regionale.
All’interno del mondo arabo, uno dei paesi che più tenacemente ha avversato questa politica europea è stata la Libia. E qui torniamo dunque a Gheddafi. La Libia non aderì al Processo di Barcellona e si è fieramente opposta, più recentemente, al progetto di Sarkozy. Prima del vertice parigino del 13 luglio 2008, Gheddafi convocò un incontro a Tripoli (il 10 giugno), cui parteciparono il Presidente algerino, quello siriano, quello mauritano e il Premier del Marocco, per boicottare l’iniziativa francese, considerata ancora troppo ‘eurocentrica’. Mentre si apprestava a firmare il Trattato di amicizia italo-libico, di cui abbiamo appena festeggiato i due anni, Gheddafi si opponeva dunque duramente alla politica mediterranea europea. E’ alla luce di questo atteggiamento che va esaminata la ‘visione’ del Mediterraneo sciorinata durante la sua visita a Roma dal leader libico, che vorrebbe espellere dal Mare Nostrum l’alleato americano e tenere sotto ricatto l’Europa, minacciando di lasciarla seppellire dalla marea nera dell’immigrazione. Qui la condiscendenza mostrata nei confronti di Gheddafi è ben più problematica di quella ostentata nei confronti dei ridicoli inviti alla conversione delle hostess.
Non sfugge qui la differenza rispetto all’atteggiamento del Presidente Fini, in occasione della precedente visita di Gheddafi a Roma, nel luglio del 2009. A causa dell’ingiustificato ritardo del Colonnello, si ricorderà, Fini annullò allora l’incontro. Il testo dell’intervento che avrebbe dovuto tenere fu però consegnato alla stampa e in esso Fini replicava con durezza all’antiamericanismo del Colonnello: “Le democrazie, a partire da quella americana, possono sbagliare, ma certo non possono essere paragonate ai terroristi”. E in relazione al processo di pace israelo-palestinese: “Voglio sottolineare al Leader Gheddafi che proprio lo sviluppo dell’Unione per il Mediterraneo – di cui Israele e l’Autorità palestinese fanno parte a pari titolo – può favorire la conquista della pace in Medio Oriente e che l’adesione della Libia rafforzerebbe una simile possibilità”.
Peccato che il Colonnello non abbia potuto ascoltare queste parole allora, e che nessuno, nel governo italiano, abbia sentito l’esigenza di opporre l’altro giorno concetti analoghi all’aggressiva, anti-americana, ma in realtà anche anti-europea, visione del Mediterraneo propalata da Gheddafi. L’utilità della cooperazione italo-libica non ne sarebbe stata messa in discussione, e l’Italia avrebbe mostrato di essere un partner capace di esigere rispetto politico da tutti gli interlocutori.

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