Fino agli anni cinquanta il concetto di morte cardio-respiratoria era dominante e la cessazione del battito cardiaco e dell'atto respiratorio erano accettati come criteri universalmente validi, per dichiarare ufficialmente la morte di una Persona.Da allora migliaia di pazienti colpiti da un arresto cardiaco sono stati rianimati ed hanno manifestato un recupero completo. Quindi lo sviluppo delle tecniche di rianimazione, la chirurgia a cuore aperto e l'impiego di sussidi meccanici hanno reso il concetto tradizionale di morte superato. In breve tempo le équipes dei centri di rianimazione hanno imparato ad usare criteri di “non rianimazione”, quando le funzioni respiratorie e circolatorie sono assenti per un tempo sufficientemente lungo da causare la morte cerebrale. L'acquisizione di questi presupposti, ha reso più agevole la sensibilizzazione alla necessità d'identificare come variabile radicalmente critica il cervello e non il cuore.La constatazione da parte di un'apposita commissione medica della condizione di morte cerebrale continua per un determinato periodo di tempo, certifica l'esistenza dei presupposti oggettivi per la donazione degli organi. In parallelo a queste considerazioni, entra in gioco un altro ordine di parametri di tipo soggettivo che riguardano la condizione clinica del potenziale donatore. Qualora si ritenga che un soggetto sia idoneo alla donazione, è necessario che le sue funzioni vitali siano mantenute in modo ottimale affinché sia garantito il buono stato degli organi che si è deciso di prelevare per essere successivamente impiantati.Quello che fa riflettere e merita una certa attenzione è la dimensione etica e morale vissuta dagli operatori nei confronti dell'ideologia del progresso. I medici e gl'infermieri con molti anni di esperienza sono sovente legati culturalmente alla valenza simbolica di alcuni organi. La morte cardiaca dà il senso del passaggio del confine tra la vita e la morte. La respirazione e la circolazione sanguigna artificiali hanno reso possibile lo spostamento di questa frontiera, fino a quando avviene la determinazione del momento della morte clinica. Agli infermieri più giovani il fatto di possedere un'altra cultura, una diversa formazione, più basata sulle evidenze scientifiche (la morte dell'individuo è determinata dalla morte cerebrale), non basta a liberarli dal conflitto etico. Entrano in gioco aspetti personali legati alla religione, alla morale, alle esperienze, alle emozioni che variano da soggetto a soggetto. Quando non c'è un supporto psicologico o una guida, diventa fondamentale seguire i corsi proposti dalla F.I.T.O., la Fondazione per l'Incremento dei Trapianti d'Organi.
Le diverse modalità di approccio e reazione ad un evento simile hanno bisogno di essere coordinate e guidate. La figura del Caposala, il gruppo di lavoro, il medico, ognuno con le proprie competenze, in un rapporto di collaborazione, di integrazione e di buon relazioni interpersonali, sono tutti fattori che aiutano ad affrontare i dubbi e i dilemmi etici, anche se un evento di questo genere non può lasciare certamente indifferenti coloro che, in prima persona, gestiscono le fasi di relazione con le famiglie dei donatori e le successive operazioni di espianto e di trapianto. .”Leader” della situazione è certamente il medico, il quale contatta i familiari e chiede il consenso alla donazione. Suo è il compito di instaurare una relazione efficace, che diventa fondamentale quale aiuto nelle ultime drammatiche ore in cui il parente sta vicino al suo congiunto che “sembra” ancora vivere.
IL CONCETTO DI MORTE CEREBRALE. LA SUA EVOLUZIONE SOTTO IL PROFILO STORICO, MEDICO E GIURIDICO. QUALCHE SINTETICA DEFINIZIONE
Il concetto di morte cerebrale è sorto in Francia nel 1959 insieme alla parola “Coma dèpassè” . [Nel 1959 Mollaret e Goulon pubblicarono la loro famosa descrizione di uno stato “oltre il coma”, una condizione che essi differenziarono dal coma prolungato (coma prolongè); nella letteratura inglese il primo è conosciuto come morte cerebrale e il secondo come stato vegetativo persistente. Le persone in coma depassè non solo hanno perso ogni capacità di rispondere agli stimoli esterni, ma non sono neppure in grado di far fronte al loro ambiente interno. Si tratta sempre di soggetti che hanno subito un danno irreparabile del cervello e, più precisamente, di una struttura alla base di esso detta “tronco cerebrale”.
Attraverso il tronco cerebrale discendono tutte le vie che dal cervello giungono al resto dell'organismo e passano tutte le informazioni che dalla periferia raggiungono il cervello. In tale struttura vi sono inoltre centri delicatissimi che regolano funzioni vitali come la respirazione, la pressione sanguigna, la temperatura corporea etc. Sono quegli stessi sistemi, infine, ad attivare la corteccia cerebrale ed a mantenere il normale stato di coscienza che presiede alle attività fondamentali e ad ogni modo necessarie alla gestione complessiva della vita quotidiana.Il danno irreversibile di questa struttura determina la morte dell'individuo, in quanto si viene a creare una situazione dalla quale non è possibile tornare indietro. Si può far “ripartire” un cuore fermo da alcuni secondi ed è possibile far ventilare nuovamente polmoni precedentemente collassati ma è impossibile, ricorrendo alle tecnologie di cui disponiamo, ripristinare la funzione di una struttura composta da neuroni danneggiati in modo irreversibile.Anche quando si arresta il cuore, peraltro, la morte avviene per l'anossia-ischemia dovuta alla distruzione del tronco encefalico. In questo senso, possiamo affermare che la morte cerebrale, o encefalica, costituisce l'insieme delle condizioni che definiscono la morte dell'individuo.In una minoranza di casi, la cessazione dell'attività cerebrale precede l'arresto cardiaco, mentre la respirazione viene assicurata grazie al ricorso ad ausili meccanici.Questa condizione può verificarsi in persone che hanno subito un danno cerebrale grave (emorragie spontanee o da trauma, lesioni ischemiche, lesioni da arma da fuoco) e che sono assistite in centri di rianimazione. L'intervento di rianimazione costituisce una condizione essenziale in quanto la morte cerebrale con il conseguente arresto respiratorio determina nel giro di pochi minuti anche l'arresto cardiaco. Quindi la situazione di un individuo in stato di morte cerebrale, il cui cuore batte ancora, è una situazione artificiale resa possibile dagli avanzamenti scientifici e tecnologici e non è possibile riscontrarla in natura.
Il definire la morte di un soggetto in base al criterio della cessazione irreversibile di tutte le funzioni encefaliche, è stato accettato anche dalla normativa italiana. Infatti la legge del 29 Dicembre 1993 n. 578, nell'art. 1, sancisce che “la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo”. A confermare ciò è intervenuta anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 414 del 20 /27 Luglio 1995 che ha affermato che “…estinguendosi irreversibilmente ogni funzionalità del tronco cerebrale si determina la disgregazione di quella unitarietà organica che distingue la persona da un insieme di parti anatomiche, ancorché singolarmente vitali”.
Come si vede in queste pur sintetiche note, nel caso del trapianto d'organi si è lavorato con grande attenzione, con fatica e si sono dovuti superare non pochi ostacoli di varia natura, ma il risultato è stato raggiunto ed oggi, nel nostro Paese, la pratica della donazione d'organi non solo avviene normalmente, ma ottiene anche l'assenso generalizzato sia delle istituzioni laiche che di quelle religiose. Credo che, lavorando con lo stesso impegno, si potrebbe costruire una piattaforma altrettanto solida e condivisa per il Testamento biologico, Parlerò di quest'argomento nella prossima nota, che chiude questo breve lavoro dedicato al Living Will.
Giuseppe Pasero
Libertà ed Eguaglianza