Granata, i lupi, i gattopardi e l’articolo 49 della Costituzione

di Antonio Buonfiglio

In questi ultimi giorni si parla molto della necessità di regole, sia pure a corrente alternata a secondo dei casi, da applicare all’interno del Pdl. C’è chi vuole un partito del ‘900 e chi del 2000, chi lo vorrebbe leggero e chi pesante, ci sono poi quelli che lo preferiscono liquido e altri lo vogliono solido.
La discussione ci pare però fuorviata dal fatto che, al di là delle opinioni personali, di chi lo vorrebbe sistemare ad agosto o a marzo, il dato unico ed incontrovertibile è che la natura dei partiti politici è indisponibile alla semplice volontà delle parti, in quanto al di là dell’inattuazione dell’articolo 49 della Costituzione, i partiti svolgono comunque un ruolo istituzionale, costituzionalmente garantito, che ne limita la modificabilità a semplice piacimento.
In un momento di cosi bassa di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni in generale e della politica in particolare, dunque, sarebbe una buona cosa – prima di discettare sugli aggettivi – riportare i partiti all’interno del perimetro costituzionale attuando l’articolo 49.
Le ragioni storiche e politiche, infatti, che militavano per la scelta dell’inattuazione dell’articolo 49 ora invece ci dovrebbero spingere a porre regole valide per tutti i partiti, in quanto unico mezzo a disposizione dei cittadini.
Aprire un dibattito serio, nel luogo più opportuno, il Parlamento, sarebbe il miglior modo per risolvere il conflitto. Al di là, infatti, dell’attuale natura giuridica, non vi è dubbio che i partiti essendo l’unico strumento per concorrere alla vita politica della Nazione e ricevendo per questo una pubblica contribuzione devono essere necessariamente aperti, permettere al loro interno il libero dispiegarsi del dibattito e devono essere soprattutto contendibili, non solo a livello locale, da chiunque ne abbia voglia seguendo regole pre-costituite.
Regole che, per tornare alla cronaca di questi giorni, debbono essere innanzitutto previste in uno statuto ed in applicazione di questo, il quale, è il caso di ricordarlo, oltre a rispettare l’articolo 49 deve rispettare l’intera Costituzione.
A legislazione vigente infatti, anche le pretese sanzioni nei confronti dei “dissenzienti”, cozzerebbero con il principio che tutela la libertà di espressione dei singoli parlamentari. Forse solo oggi capiamo fino in fondo la reale portata e utilità del sacrosanto principio del divieto di mandato imperativo sancito nella nostra Costituzione, di fronte al quale ogni centralismo, democratico o carismatico che sia, deve necessariamente cedere il passo.
E del resto, da un punto di vista prettamente politico sarebbe imbarazzante spiegare ai dirigenti, agli iscritti, agli elettori ed alla generalità dei cittadini l’esistenza di un codice interno (c’è?) che punisce chi esprime una qualsiasi opinione, sia pure fosse sgangherata, mentre non prevede nulla per comportamenti penalmente rilevanti.
Perciò un invito, archiviamo con il caldo i bollenti spiriti e alla riapertura del Parlamento affrontiamo seriamente una discussione, quella sull’organizzazione dei partiti che, non riguarda pochi intimi, correnti o cricche ma la possibilità per l’universalità dei cittadini di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

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