Pomigliano: un dramma alla luce del giorno

Nessun accordo unitario, si va al referendum. Bindi: “Non possiamo rassegnarci alla rottura sindacale e non possiamo augurarci la chiusura di Pomigliano. Tra chi pretende una firma, costi quel che costi, chi si affretta a darla comunque e chi la nega ci si può adoperare perché tutti facciano responsabilmente la propria parte con un supplemento di confronto”

Alla fine non c'è stato un accordo che ha soddisfatto tutti. Le condizioni dettate dalla Fiat per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco sono state firmate da Fim, Fismic, Uilm e Ugl. La Fiom ha confermato il suo no. Martedì 22 giugno i lavoratori saranno chiamati a decidere sulla firma dell'accordo in un referendum promosso dai sindacati dei metalmeccanici.

Motivando il No della Fiom, Enzo Masini, responsabile del settore auto, ha dichiarato che “i lavoratori di Pomigliano sono messi in una condizione di ricatto tra la chiusura dello stabilimento e l'accettazione di condizioni di lavoro in deroga alle leggi e ai contratti”. Nonostante la Fiat abbia fatto aggiunte nel testo dell'accordo – istituzione di una commissione paritetica di raffreddamento sulle sanzioni – per Masini i punti del testo “non sono assolutamente cambiati. Il testo è lo stesso e la minaccia di licenziare i singoli lavoratori non è cambiata, c'è tutta. È stata solo istituita una commissione paritetica. Il negoziato non è stato paritario”.

«Non credo che nessuno, nemmeno la Fiat o Sacconi, possa pensare che un diritto costituzionale sia aggirabile da un accordo. Non abbocchiamo all’amo di chi ce la racconta così. Sacconi dice che vede un grande orizzonte fatto di deroghe ad ogni livello. Se lo sogna. La Costituzione non è derogabile. È una partita delicatissima. Mi rifiuto di pensare che giunti a questo punto non si possa arrivare ad un accordo. C’è un fatto oggettivo: siamo di fronte al primo caso in Europa di rientro della produzione esternalizzata. Ci vuole buona volontà, fantasia. Bisogna sentire la voce dei lavoratori. In ogni caso Pomigliano non sarà un modello». Questo è stato il commento di Pier Luigi Bersani sul caso Pomigliano, rilasciato in un'intervista a L'Unità.

Per il presidente Rosy Bindi “sulla vicenda dello stabilimento Fiat di Pomigliano si sta consumando uno dei passaggi più difficili della nostra democrazia economica. La Fiat con Marchionne ha mandato ai sindacati e ai lavoratori un messaggio esplicito e brutale: “Se volete salvare lo stabilimento bisogna derogare ad alcuni diritti”. Ma in questi due anni di crisi economica mondiale quante altre multinazionali hanno chiuso la sede italiana e trasferito altrove la produzione? In silenzio, lontano dai riflettori dell’opinione pubblica, hanno scelta la strada di negare i diritti: qui da noi il diritto al lavoro, altrove i diritti dei lavoratori. Stavolta questo dramma si consuma alla luce
del sole”.

“Il Pd, che ha messo al centro della propria identità politica la questione del lavoro e ne ha fatto uno dei temi qualificanti dell’ultima Assemblea nazionale, non può non interrogarsi su quello che sta avvenendo. Non si tratta di schierarsi con questa o quella parte ma di riflettere sul ruolo della politica e di un grande partito popolare e nazionale” ha continuato la Bindi.

“Non possiamo rassegnarci alla rottura sindacale e non possiamo augurarci la chiusura di Pomigliano. Tra chi pretende una firma, costi quel che costi, chi si affretta a darla comunque e chi la nega ci si può adoperare perché tutti facciano responsabilmente la propria parte con un supplemento di confronto. E’ davvero utopico pensare che la globalizzazione aumenti i diritti e le opportunità delle persone anziché diminuirli? E come si fa a parlare di nuovo modello di sviluppo e di crescita immaginando un diritto al lavoro sganciato dai diritti dei lavoratori? Il governo non è stato all’altezza della sfida. Anzi si ha l’impressione che abbia delegato ai vertici della Fiat il compito di ridisegnare le relazioni industriali e sindacali. Senza muovere un dito e senza una politica industriale, dice infatti, che l’accordo “farà scuola”. Ma c’è da essere preoccupati degli insegnamenti che Tremonti ne vorrebbe ricavare. Sappia, comunque, che la Costituzione non si può sospendere e resta, per quanto ci riguarda, una linea invalicabile”.

Per Cesare Damiano, capogruppo del Pd nella commissione Lavoro di Montecitorio, “purtroppo a Pomigliano d’Arco siamo di fronte ad un accordo separato. Abbiamo sperato fino all’ultimo che non accadesse perché ci rendiamo conto che ora si apre una nuova dolorosa ferita che non aiuterà la gestione di una situazione produttiva complessa. Non abbiamo mai avuto dubbi sulla necessità di uno scambio tra aumento dell’utilizzo degli impianti e delle produttività del lavoro da una parte e occupazione e non delocalizzazione produttiva dall’altra. Le nostre perplessità riguardano i capitoli relativi all’assenteismo e al diritto di sciopero. Sul primo punto siamo convinti che vadano combattuti gli abusi ma che non sia giusto punire i lavoratori realmente malati. Per quanto riguarda lo sciopero, che può essere sanzionato, si corre il rischio di mettere in discussione un diritto costituzionale. Tutto questo avrebbe meritato un’ulteriore fase di chiarimento e di approfondimento su temi controversi, con l’obiettivo di aprire uno spazio di convergenza unitaria. Adesso è importante che si tenga il referendum tra i lavoratori”..

“Con maggior senso di responsabilità da parte di tutti si sarebbe potuta aggiungere una piena condivisione delle condizioni per realizzare il piano Fiat a Pomigliano”. Lo hanno dichiarato Stefano Fassina, responsabile Lavoro della segreteria del Partito Democratico, ed Enzo Amendola, segretario regionale PD Campania.

“Si sarebbero potuti cogliere gli obiettivi condivisibili di riduzione dell’assenteismo e di garanzia degli impegni sottoscritti, senza rischiare sconfinamenti sul terreno dei diritti costituzionali. Ora ci auguriamo che prevalga il sì al referendum, parta l’investimento e si eliminino i rischi sui diritti”.

A.Dra

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