Economia a senso unico

di Antonio Di Giovanni

A quanto pare, la crisi greca e lo spauracchio del default economico europeo ha riportato tutti con i piedi per terra: o così sembra. Sì, perché se i piedi sono in terra, la testa di chi dovrebbe prendere decisioni importanti sembra ancora volteggiare tra le nuvole. Insomma, l’età dell’oro è finita, le vacche grasse somigliano sempre più alle Gau – mata indiane e le parole “tagli” o “sacrifici” messe al bando dai politici di turno, ora vengono rispolverate in tutta fretta. Quindi, mano alle forbici. Solo che tutto ciò arriva proprio dopo le case a sbafo dei potenti, i lavoretti di edilizia per così dire “agevolata”, appalti e appaltucci non sempre candidi e una diffusissima corruzione di politici e politicanti. Bene, questa manovra “s’ha da fare” come direbbe qualcuno. Il clima, però, è pessimo. Ma tranquilli: ci sono gli statali, la panacea di tutti i mali, il solito tipo di approccio, classico di tutti i Governi, che però stavolta non crediamo funzionerà. Il cittadino, il lavoratore, pubblico o privato, capisce e si adegua. Ma non questa volta, non adesso. Se di sacrifici si parla, si cominci allora proprio dalla politica, che di certo, negli ultimi tempi, non ha dato un bell’esempio di sé. Invece di chiudere i centri di spesa giustificati solo da logiche politiche, ecco che i cervelloni del risparmio e gli economisti dell’ultima ora tirano fuori dal cassetto le solite parole: taglio alle pensioni, blocco dei rinnovi contrattuali, blocco delle liquidazioni agli statali e così via. Ma sì! Nel frattempo, manteniamo le indennità di politici e parlamentari, benefit per trasporti a varie categorie, enti statali – regionali – provinciali e comunali inutili, auto blu, inviati Rai superpagati, baroni universitari e gran commis di Stato. Inoltre, continuiamo a spendere 70 mila euro l’anno per le macchinette del caffé e degli snack per deputati e senatori, 23.600 euro per rimettere a posto gli orologi del parlamento, 400 mila euro per le agendine e i gadget ai parlamentari, 131 mila euro per affitti in cui lavorano o hanno sede i rappresentanti dei parlamentari, 300 mila euro per corsi di lingua, 1 milione e 810 mila euro di rimborso spese di trasporto ai soli senatori, 2 milioni e 800 mila euro per spese di rappresentanza, 4 milioni e 500 mila euro per stampare proposte di legge che, nella maggior parte dei casi, restano lettera morta, 5 milioni di euro per la “bouvette”, il ristorante interno dei parlamentari e, per finire, 7 milioni di euro per le ‘auto blu’. Costi esorbitanti, incomprensibili, senza pari nel resto del mondo. Soltanto per rimanere in Europa, la Germania, la Francia, la Spagna e la Gran Bretagna spendono tutte insieme quello che eroga la sola Italia per deputati e senatori. Direi che ce ne è abbastanza per coprire un’intera finanziaria senza toccare le tasche di un solo cittadino e senza mortificare i lavoratori, privati o pubblici che siano. Lo stesso ministro dell’Economia ha precisato, con una citazione latina, “Pauca sed bene confusa sophismata”, che sulla manovra per il prossimo biennio finora sono circolate solo “voci confuse e confusionarie” , che nessuna decisione è stata presa e che le decisioni che verranno prese saranno comunicate nelle forme appropriate. Di confusi, però, in questo momento vediamo solo i nostri politici. Anzi, più che confusi ci appaiono come dei miopi incapaci di vedere al di là del proprio naso. Quindi, basta a tagli alla scuola, alla sanità, agli statali e alle pensioni, che si guardi ora anche da un’altra parte e si emerga da una visione a senso unico del debito pubblico. Speriamo che quanto è successo in Grecia sia motivo di riflessione per chi ha i poteri e ha a cuore il noso Paese e faccia in modo che il nosto debito pubblico non diventi una eredità pesante e amara per le generazioni future. Anche al fine di non indurle a emulare i propri padri: un po’ imprudenti, un po’ dissennati e spendaccioni, nonché inconcludenti.

(articolo tratto dal web magazine www.periodicoitaliano.it)

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