Ognuno in cuor suo, vedendo che in tanti stanno lavorando per noi, comincia a pensare al Si salvi chi può. Qualcuno, da tempo ci pensa e lavora per sè e per loro.Qualcuno aveva incontrato Dio, che vendeva limonata sulla spiaggia di Rio, e l’ha riconosciuto per le risate.
Le autorità americane per evitare una catastrofe ambientale nelle coste meridionale del Messico, dove c’è una piattaforma in mare e 5.000 barili di petrolio al giorno che la British Petroleum gestiva. Petrolio lucente, che ormai ha raggiunto dimensioni gigantesche (pari a due volte la superficie del Belgio) coinvolgono decine di navi ed aerei. Dopo che i robottini sottomarini non sono riusciti ad applicare una valvola per turare le brecce sottomarine, la Bp e la Guardia costiera hanno deciso di appiccare un “rogo controllato” per bruciare il greggio. Per il fragile ecosistema locale, sarebbe un disastro.
Barack Obama e il Cancelliere Angela Merkel, si trovano d’accordo nel chiedere alla Grecia “azioni decise” e l’intervento “in tempi tempestivi” del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Euopea: il governo greco si rifiuta di prevedere nuovi tagli salariali nel 2011 e 2012, dopo quelli già decisi per il 2010 per i dipendenti pubblici, il congelamento delle pensioni di tutti i lavoratori, pubblici e privati. Ulteriori tagli per Atene rischierebbero davvero di scatenare la rivolta sociale, visto il clima già abbastanza infuocato che ha portato nelle ultime settimane a una raffica di scioperi e manifestazioni senza precedenti negli ultimi decenni.
Claudio Albertani ci riferisce di un Massacro ad Oaxaca: “Ieri 27 aprile, un gruppo di paramilitari del gruppo armato Unión de Bienestar Social de la Región Triqui, UBISORT, hanno aggredito una carovana di osservatori dei diritti umani che si dirigeva alla comunità di San Juan Copala, comune di Santiago Juxtlahuaca, nella Sierra Mixteca, circa 150 kilometri a nordovest della città di Oaxaca. La UBISORT è affine al Partido Revolucionario Institucional, PRI, che governa questo stato situato 500 kilometri a sud di Città del Messico. L’aggressione è avvenuta presso la località LA SABANA, a circa un kilometro e mezzo da San Juan Copala. Vi sono almeno due morti ed un numero imprecisato di feriti e di desaparecidos.”
Tra una falla e l’altra, Federico Mastrogiovanni con il fotoreporter Fabio Cuttica, cavalcano la Bestia.
Todo mondo è amor…Buona lettura. Il cammino è appena iniziato.
Doriana Goracci
diario da Tapachula. cavalcando la Bestia
Insomma mi piomba a casa dalla Colombia uno dei cavalieri con cui ho condiviso la vacanza ad Haiti. È Cutie, alias Fabio Cuttica, fotografo che il mondo ci invidia.
Mi dice, oh, senti, ma che ne pensi se ce ne andiamo in giro per questo famoso Messico a raccontare le storie degli sfigati? Dico, ma te pare? Certo Cutie, stamo qui apposta. Dunque mi arriva a casa con tutte le sue mirabolanti macchine fotografiche.
Tempo due giorni siamo in volo verso Tapachula, amena città del Chiapas al confine con il Guatemala. Questo posto è famoso perché da qui partiva il treno della morte. Conosciuto anche come la bestia, il treno trasporta merci e migranti centroamericani. Prima partiva proprio da Tapachula, ma dopo l’uragano Stan, la stazione di partenza si è spostata a 250 km da qui, in una ridente località dal simpatico nome di Arriaga.
Tapachula ci accoglie col suo clima torrido. Noi siamo due giovani reporter intenzionati a indagare a fondo il tema della migrazione, scavando nei meandri della realtà. Prima tappa, il centro di accoglienza per migranti, la versione messicana dei CPT. Premesso che trattasi di carcere a tutti gli effetti, benché il responsabile della comunicazione si inalberi in definizioni molto più politicamente corrette, ad una prima occhiata non sembra poi così male. A dire la verità sembra molto meglio della scuola dove andavo alle medie. Un posto pulito, dove la gente mangia bene, si rilassa due o tre giorni, e accetta il fatto che verrà rimpatriata. Dico, è tutto molto triste, ma siete mai passati per un CPT?
Soddisfatti della gita ci lanciamo per le strade del sud del Chiapas insieme al Gruppo Beta. Essi sono dei baldi giovini che hanno il compito di assistere i migranti in cammino, dando loro acqua, tonno, crackers, informazioni legali. Sono funzionari migratori, ma non di quelli che ti rimpatriano. Diciamo che con la loro divisa arancione trasmettono una relativa sicurezza. In genere i migranti si fidano di loro, ma comunque ti rimane un po’ la sensazione che questi famosi Beta non è che facciano poi tutta sta differenza. Per carità, gli vogliamo bene, però diciamo che non sono proprio sti eroi.
Cutie scatta le sue foto. Io prendo appunti.
Accompagnati dai Beta ci appostiamo lungo i binari abbandonati della ferrovia. Gli amabili arancioni ci assicurano che con un po’ di pazienza riusciremo a beccare qualche migrante che ha appena passato la frontiera e che si dirige a piedi ad Arriaga. E fin da questo momento inizia a formicolarmi una sensazione ancora non ben definita, che si articolerà in seguito: e cioè che “i migranti” siano un po’ come della cacciagione, delle prede da spolpare un po’ da tutti.
Li aspettiamo, appostati lungo la linea, come si aspettano le anatre migratorie. Pronti a fare fuoco. Dopo il primo incontro con “i migranti” però capirò che non è esattamente così. Che l’altra parte di questa caccia, l’altra faccia, è che loro vedono in noi un megafono. Una possibilità di farsi sentire, di far ascoltare le loro storie, di far sapere cosa devono subire. Dunque cade l’annosa questione morale e si fa spazio il senso di responsabilità.
E dunque le storie. Il primo ad attraversare il ponte ferroviario rosso in cui ci siamo appostati è un ragazzo. È piuttosto una diva. Arriva sgambettando sudato gridando “llega la reina del sur” (arriva la regina del sud). Si chiama José, è hondureño e ha 30 anni. Vuole attraversare la frontiera “andare a fare scalpore nei locali di Los Angeles”.
José ha già fatto questo viaggio. Più di una volta. E finora gli ha detto bene, se si considera l’essere derubati un prezzo equo da pagare per realizzare il sogno americano. “Poi quando ho bisogno di tornare a casa, come ora, per vedere mia madre malata, mi consegno alle autorità, e mi faccio deportare in Honduras, così non devo pagarmi il viaggio di ritorno”.
Il gruppetto è composto di otto persone. Non tutte “esuberanti” come José. Tra loro c’è un paio di ragazze. Di loro nel cammino si perderanno le tracce. Alcuni degli altri invece li incontreremo di nuovo, nelle tappe successive.
I Beta consegnano le loro scatolette di tonno, l’acqua, danno blandi consigli. José si avvicina “lo so che nel cammino c’è un sacco di brutta gente. Ma non vi preoccupate. Se qualcuno vuole violentarci mi sono preparato, ho portato venti scatole di preservativi! se devono proprio farlo almeno che sia sesso protetto!!”
Io sono allibito dalla leggerezza e la determinazione di questa gente. Sanno perfettamente che la loro è un’impresa suicida. O nel migliore dei casi terrificante. E nonostante questo, nonostante la miseria che vivono nei loro paesi, affrontano questa odissea con uno spirito sereno, facendo dell’ironia sulla loro condizione.
Lasciamo il gruppo a riposare sulle rotaie abbandonate. Il loro saluto sono risate argentine. La vita è sorella della morte e non c’è motivo di appesantire qualcosa che già di per sé è difficile.
Il cammino è appena iniziato