La “purezza” del suono

L’uomo vive in stretto contatto con fenomeni sonori che avvolgono il suo universo sensoriale ed è fortemente stimolato a manipolarli e trasformarli in veicoli di espressione e di elaborazione artistico-concettuali.
I suoni rappresentano qualcosa di intangibile, che non possiamo toccare, sentire, gustare, vedere o annusare. Gli oggetti, in quanto tali, non emettono suoni, infatti è possibile per assurdo separare l’elemento sonoro dalla causa che l’ha generato, senza che ciò provochi conseguenze per l’ascoltatore. E’ nota la leggenda che Pitagora tenesse le sue lezioni nascosto dietro ad un paravento, al fine di stimolare i suoi discepoli a prestare attenzione esclusivamente al suono delle parole, senza essere distratti dall’elemento visivo. Da qui deriva la definizione dei Pitagorici come Akousmatikoi(n acusmatici), cioè coloro che desiderano sentire ed ascoltare.
Schaeffer, ricercatore francese, grande assertore della “musica concreta” sostiene nel suo libro Traité des objets musicaux (Trattato degli oggetti musicali) che quando ascoltiamo abbiamo la tendenza a separare il suono dalla fonte di produzione e lo trattiamo come un elemento che esiste in sé in quanto tale. La polifonia vocale del XV-XVI o le forme sinfoniche dell’Ottocento sono un ottimo esempio in tal senso, come le grandi orchestre di sala che molto spesso vengono posizionate in maniera da essere nascoste all’occhio dello spettatore per consentirgli di immergersi completamente nel pathos della rappresentazione artistica. Però, anche nei casi in cui lo sguardo umano riesca ad invadere lo spazio riservato ai musicisti, non è sempre facile distinguere la coralità operistica dei singoli suoni che compongono il tutto.
Il fenomeno sonoro è assolutamente autonomo, è recepito in sé anche quando risulta possibile associarlo alla sua causa. L’uomo tende a scomporre e a ricomporre il suono, anche inconsciamente, secondo la propria capacità recettiva e attraverso l’ausilio della memoria, in pieno stile cognitivista. Scomponiamo in sostanza l’evento sonoro per immagazzinarlo più facilmente nei nostri schemi cognitivi e ciò accade senza dover tenere per forza conto dell’elemento visivo.
Oggi la spazializzaione del suono con mezzi informatici, ma soprattutto tecnologici e l’amplificazione stereofonica che ne consegue incide fortemente sulla proiezione e qualità dell’ascolto da parte dell’ascoltatore, ma non muta la percezione del suono in sé.
Gli uomini vivono nello spazio, questo ci circonda con la luminosità della luce e con l’oscurità delle sue ombre, attorniato da oggetti, colori e figure che dipingono il mondo e conferiscono senso ad esso. Gli oggetti ci avvolgono e sono a nostra disposizione, possiamo toccarli, guardarli, sono una parte rilevante del nostro mondo. Invece non possiamo sostenere di far parte del mondo dei suoni, questi ci giungono da ogni direzione, non appartengono a noi e non esiste un modo di raggiungerli e possederli. Possono solo essere catturati dai nostri schemi percettivi e conservati nella nostra memoria e rievocati attraverso i ricordi.
L’ascolto può divenire un’esperienza rivelatrice, ricca di immaginazione, sentimento, impulso, riflessione ed è proprio per questo motivo che la musica non ha veri e propri limiti di forma, di genere, di etnia, di classe sociale

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