Il diritto "personalissimo" di scelta sul proprio corpo e sulla propria vita

Ogni persona, attenendosi solo alla propria “libera” ed “ineliminabile” coscienza, può e deve poter rivendicare il proprio insostituibile ed insindacabile diritto:
1- alla vita (e, sottinteso, alla morte)
2- alla libertà
3- e alla autodeterminazione.
Ogni persona, in piena coscienza e atonomia, ha il diritto di dichiarare inaccettabile ogni trattamento terapeutico e sanitario finalizzato, senza concrete speranze di guarigione, all'esclusivo mantenimento della stessa in uno stato d'incoscienza e di non relazione col mondo esterno, in quanto:
a) contrario alla propria concezione della vita (perciò non degno di essere vissuto e sperimentato)
b) irrispettoso della propria dignità
c) e lesivo della propria inviolabile sfera personale.
Lo stato, l'ordinamento giuridico, i giudici, i medici, “i familiari” del paziente, non possono, contro il volere dell'assistito, in presenza di un suo manifesto dissenso (che non può che essere espresso precedentemente, per chi si trova in stato d'incoscienza) imporre al soggetto:
1- qualsiasi trattamento terapeutico esclusivamente finalizzato a posporre la morte sotto l'angolo visuale biologico, mantenendo, contro la volontà del sottoscritto, lo stesso in vita in uno stato comatoso o in uno stato vegetativo permanente (SVP)
2- qualsiasi trattamento sanitario rivolto al mantenimento della persona in uno stato esistenziale non più naturale ma innaturale, mantenuto esclusivamente col ricorso improprio alla scienza medica al fine di prolungare la vita biologica oltre la vita senziente
3- qualsiasi trattamento medico rivolto al mantenimento del paziente in uno stato di assenza piena di attività psichica e di assenza di partecipazione all'ambiente circostante, in ogni circostanza in cui questo stato, indipendentemente dalla cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo, dovesse protrarsi:
a) per più di un tempo ragionevole (assumendo tale stato le tendenziali caratteristiche dell'irreversibilità)
b) e senza concrete speranze di recupero (senza concrete garanzie di un miglioramento del quadro coscienzioso),
4- qualsiasi forma di alimentazione e/o idratazione artificiale e/o forzosa, sul presupposto che tale presidio medico costituisca:
a) un trattamento invasivo della integrità psicofisica della persona,
b) contrario alla dignità umana
c) e non praticabile contro la volontà del paziente stesso in presenza di un suo manifesto dissenso, basato sul giudizio di inaccettabilità della condizione in sé di incapacità di alimentarsi autonomamente e di contemporanea impossibilità di manifestare il proprio pensiero (a parole o per iscritto)

Il filo che lega insieme le diverse argomentazioni di tale discorso può essere così dipanato:
1- l'idea che qualcuno possa decidere per un altro se la vita vale la pena di essere vissuta è inaccettabile:
il rispetto per la vita deve essere incondizionatamente riconosciuto e tutelato, ma esso stesso ricomprende indiscindibilmente il pari rispetto per la dignità umana e per l'autodeterminazione della persona.
In una parola: la libertà di disporre della propria vita, nei limiti in cui non si incida su quella degli altri, è un punto su cui non è possibile negoziare!
2- la prosecuzione della vita ad ogni costo è un atto degradante e contrario alla dignità umana.
Da ciò solo sarebbe ricavabile il diritto di ogni soggetto a rifiutare ogni trattamento terapeutico finalizzato al mantenimento in vita del corpo da un punto di vista biologico, senza alcuna speranza di miglioramento dello stato senziente.

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