Continua il dialogo con Giovanni Lubrano

A PARLAR MALE DI GARIBALDI SI FA MALE PERO’…
UN GRANDE COMBATTENTE UN PESSIMO AMMINISTRATORE

LUBRANO – Prima di tornare a parlare del Risorgimento, posso fare una dichiarazione?

CANZANO – Prego.

LUBRANO – Oggi 18 dicembre 2007, ci sono stati altri cinque morti sul lavoro. Ormai è strage continua. Del problema deliberatamente non si parla. Tacciano le sinistre e, in particolare, le anime perse del fu PSI che dovrebbero almeno avere il pudore di indignarsi come faccio io, perché fu un importante dirigente socialista, Giacomo Brodolini che, nel 1969, poche ore prima di morire, come ministro del lavoro, riuscì a far approvare lo statuto dei diritti del lavoratore.
L’unica voce che si sia levata oggi per protestare contro questo incivile massacro è quella, per altro molto isolata, di Emanuele Macaluso. Il quale però, da buon comunista, perde il pelo ma non il vizio di ignorare quanto fu decisiva la spinta socialista e riformista del primo, vero e unico centro sinistra.
Come non ricordare infatti come i comunisti del tempo abbiano fatto di tutto per mettersi di traverso al PSI di Nenni e De Martino?
Essi preferiscono al solito privilegiare la linea togliattiana del ‘tanto peggio tanto meglio’.
Moratoria per la pena di morte e caso Speciale, sono state oggi le consuete droghe soporifere con cui disinformare, con la complicità pesantissima della grande stampa, l’opinione pubblica della cara patria Italia sulle tragedie del lavoro.

CANZANO – Torniamo a Garibaldi: fu solo ispirata dal patriottismo la spedizione dei Mille?

LUBRANO – Per dirla con Indro Montanelli, Garibaldi fu un ‘onesto pasticcione’ nel senso che per sé non tenne niente eppperò si circondò di una serie di personaggi che, tramite le sue dittature in Sicilia e a Napoli, ne combinarono di cotte e di crude. Non parlo naturalmente di quanti tra i Mille, e furono la stragrande maggiornanza, combatterono e morirono per una causa che ritenevano giusta. Mi riferisco ai trafficanti senza scrupoli che si infiltrarono nel movimento per pensare esclusivamente ai propri loschi affari, col denaro del Regno delle Due Sicilie.
Fu in quel periodo tra l’altro, ma è elemento molto rilevante, che il nascente stato unitario si accordò, sul piano interno, con le mafie in Sicilia grazie ai cosiddetti ‘baroni’ e a Napoli, tramite il ministro di polizia Liborio Romano con i camorristi cui fu delegato l’ordine pubblico dopo la partenza di Francesco II il 6 settembre 1860.
Un patto scellerato che, a parer mio, dura nei fatti, ancora oggi. Un accordo istituzionalizzato cui, del resto, ricorsero anche gli americani nel 1943 con gli accordi tra l’Amministrazione Roosevelt e Salvatore Lucanica detto ‘Lucky Luciano’ prima, durante e dopo lo sbarco in Sicilia. Fecero dunque scuola nel mondo i ‘trattati’ con i mafiosi dell’epopea dei Mille.
Garibaldi, temprato dagli anni di lotta in Sud America, fu un ottimo capo guerrigliero, un abile comandante sempre presente nei momenti più drammatici della lotta – lo riconoscono pure gli storici di parte borbonica – una persona, che ‘sentiva’ la battaglia come forse nessuno altro, non privo di visioni strategiche come quanto si trovò sul Volturno. Ma, impareggiabile sul terreno su cui si sentiva più a suo agio, quello degli attacchi rapidi, fu purtroppo un amministratore cui le ‘faccende’ di governo sfuggivano di mano. Eppure, quel bel campione di ‘galantomismo’ che fu Vittorio Emanuele II di Savoia, che Garibaldi avrebbe dovuto sommergere di onori e ricche prebende, visto il favore che gli aveva fatto portandogli in dote il ricchissimo Regno delle Due Sicilie, lo trattò a calci nel fondoschiena.
Garibaldi non era ancora salito a bordo della nave che da Napoli lo avrebbe riportato a Caprera, alba del 9 novembre 1860, che il ‘galantuomo’ scriveva a Cavour, naturalmente in francese perché quel ‘galantuomo’ manco sapeva l’italiano, la seguente lettera riportata da Mack Smith nel suo ‘Garibaldi’: “Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene, siatene certo, questo personaggio non è affatto docile, né così onesto come si dipinge e come voi stesso intendete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua (il 19 settembre i garibaldini furono sconfitti a Capua, due giorni dopo a Chiazzo, ndr) e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il denaro dell’erario, è da attribuirs i interamente a lui (secondo Vittorio Emanuele Garibaldi avrebbe dunque prelevato e dilapidato i soldi prima che ci mettesse le mani il regale predone, una questione di tempi: il nizzardo avrebbe così derubato il savoiardo, ndr.) che si è circondato di canaglie ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa.”
“Tutto sommato – osserverà più di un secolo dopo Indro Montanelli – la grettezza di Vittorio Emanuele II, il livoro di Cavour e la meschinità di Farini avevano reso a Garibaldi un enorme favore.” Al confronto di tali ometti egli sembrava, senza esserlo, un gigante.

BIOGRAFIA
Giovanni Lubrano di Scorpaniello (si firma Giovanni Lubrano) è giornalista professionista e storico. Laureato in Scienze Politiche (Università di Roma Luglio 1970) oltre alle centinaia di articoli-inchieste per l’AVANTI!, è stato capo redattore della Rivista Finsider e direttore di “Aciaio”, il mensile della federacciai aderente a Confindustria. Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 ha diretto, quale direttore responsabile, l’agenzia di stampa della corrente del PSI facente capo a Francesco De Martino. In tale corrente, “Riscossa e Unità Socialista” fu eletto membro di Comitato centrale dei Congressi Socialisti di Genova del 1972, Roma nel 1976 e Torino nel 1978. Nella seconda metà degli anni ’80 ha lavorato nell’ufficio stampa di Rino Formica, al ministero del Lavoro (87-89) e poi in quello delle finanze (89-92). Da tempo si occupa di Storia patria, politica e militare, non disdegnando qualche escursione in politica estera. Da segnalare i suoi articoli su Giacomo Matteotti e Bruno Buozzi pubblicati su l’Opinione; la serie di articoli (a puntate) sui mezzi di assalto della Marina da guerra ne secondo conflitto mondiale, l’articolo pubblicato quest’anno da il ‘Roma’; l’intera pagina, a sua firma, pubblicata dal quotidiano napoletano il 6 agosto 2005, in occasione del 60° anniversario del lancio della prima bomba atomica U.S.A. nella città giapponese di Hiroshima. E’ in corso la pubblicazione nella stessa testata partenopea (sono usciti i primi due articoli) sul modo in cui la D.C. si ‘liberò’ nel 1978, prima di Aldo Moro e poi di Giovanni Leone. Collabora con i siti internet nell’VAAR’ e di ‘NOGOD’; nel primo a giorni dovrebbe uscire una serie di interventi dedicati al 20 dicembre 1870. E’ Autore di diverse recensioni di libri. E’ commentat ore della Repubblica dal 2 giugno 2003.

giovanna.canzano@email.it

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