Lunedì 11 gennaio si è tenuto a Roma il Convegno “Immigrazione e identità nazionale. Verso un modello italiano”, organizzato dalla Fondazione Nuova Italia.
Alfredo Mantovano, sottosegretario del ministero dell’Interno, ha esordito citando l’Enciclica “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI che definisce l’immigrazione come “sfida drammatica” che non tollera soluzioni sbrigative. Il migrante va trattato come persona.
Gli immigrati sono una minoranza (oggi il 10% in Europa: 50 milioni su 500 milioni). Ma sono in aumento. Gli immigrati regolari in Italia sono passati da 548.193 del 1990 a 1.388.153 nel 2000, a 4.500.000 (stima) nel 2009. Il 75% sono extra comunitari. In 19 anni gli immigrati sono aumentati di 10 volte. Con questi ritmi, gli immigrati regolari in Italia saranno 12 milioni nel 2030 e 20 milioni nel 2050. E’ possibile la loro reale integrazione? L’etica impone di accogliere il maggior numero possibile di immigrati come contributo contro fame e sottosviluppo. Spesso gli immigrati accettano retribuzioni miserrime. O lavorano in nero. Vedi Rosarno, con paghe di 8 (otto!) euro al giorno. Il 70% degli immigrati europei cerca di mettere da parte i risparmi, imparare un mestiere o migliorare la sua professionalità per poi tornarsene nel Paese di origine. A costoro non serve la cittadinanza. Né la chiederanno. Gli emigranti italiani dei secoli scorsi andavano in Paesi con contesti sociali, culturali e religiosi non opposti a quelli italiani. Potevano portare in processione la Madonna. Molto diversa la situazione per miglia di musulmani che pregano Allah davanti al Duomo di Milano, magari inserendo nelle preghiere invettive contro gli USA ed Israele. Difficilmente la cultura italiana assimilerà l’islam su argomenti fondamentali. Esempi: rapporti fra uomo e donna, fra religione e politica, tra fede e ragione.
In ogni caso, dobbiamo mantenere intatta la nostra la nostra identità.
Flavio Tosi, sindaco (leghista) di Verona. A Verona, su 265.000 abitanti, il 13% sono stranieri, di cui il 75% extra comunitari. Nel 2009 si sono avuti 5.000 arrivi e 3.000 partenze. Dei nuovi nati (2.000/anno), un terzo sono stranieri. La direttiva Gelmini (massimo 30% della popolazione scolastica) a Verona è già attuata su richiesta dei cittadini. Per Tosi, quello della cittadinanza è l’ultimo problema degli immigrati. I bisogni primari sono lavoro ed alloggio.
Carlo Panella, giornalista e saggista lamenta l’assenza di statistiche sui flussi degli immigrati. Esempio: i 3.000 andati via da Verona nel 2009, dove sono finiti? Nessuno se ne occupa. La maggioranza degli immigrati non vuole integrarsi. Il 69% aspira a tornare in Patria. Solo il 31% vuole stabilirsi in Italia. Lo rileva un sondaggio Makno commissionato dall’allora ministro degli Interni Giuliano Amato, certamente non leghista. Il 50% degli immigrati intervistati viene da paesi europei con sviluppo economico frenato dall’occupazione sovietica (vedi Romania e Polonia, ora paesi Ue), ma con ottime potenzialità future in Patria. I dati coincidono con la dinamica dell’immigrazione in Germania – simile, se non identica – a quella italiana. La Germania dal 1952 al 2007 (55 anni) ha avuto 36,5 milioni di ingressi contro 26,5 ritorni in patria dopo 17 anni (media). Si stima che in Italia entrino 558.000 immigrati all’anno e ne escano 448.000. Insomma, l’immigrato desidera tornare in Patria. Questi dati capovolgono le ipotesi su cui si lavora il Italia: la sinistra e la Chiesa (compresa la benemerita Caritas) da sempre ipotizzano una società multietnica. Panella osserva che ora purtroppo anche qualcuno del PdL ragioni come se tutti gli immigrati volessero stabilirsi definitivamente in Italia. Nel 2008, soltanto lo 0,8% degli immigrati ha chiesto la cittadinanza per residenza, mentre lo 0,65% lo ha chiesto per matrimonio; tali cifre si invertono se si considerano le domande ammesse: 65% per matrimonio, 35% per residenza. Panella conclude auspicando che governo e parlamento indaghino sullo stato dell’immigrazione in Italia.
Giuseppe Sacco, ordinario di Relazioni e Sistemi Economici Internazionali sostiene che gli immigrati (specialmente se di cultura islamica) raramente portano con sé la famiglia nel timore che moglie e figli scoprano una cultura più evoluta e disobbediscano. Alcune tragedie insegnano (ndr). Inoltre, poveri sono venuti e poveri restano in Italia. Tornando in Patria dopo 10/20 anni, vivranno bene. Molti vogliono mantenere la loro cultura. E vanno rispettati. Comunque.
Federica Guidi, presidente Confindustria giovani che l’immigrazione è necessaria ma raramente definitiva. Ciò valorizza il sistema Italia ed apre nuovi mercati per il “made in Italy”.
Sergio Chiamparino, presidente Anci e sindaco (Pd) di Torino conferma quanto già detto dal sindaco di Verona Tosi, compresa la opportunità della proposta Gelmini (30%). Gli immigrati vanno accettati, ma essi debbono rispettare la nostra identità nazionale, anche quando si manifesta con un presepe. Le regole vanno rispettate. Reciprocamente. Infine, le amministrazioni locali debbono evitare la ghettizzazione, portando Via Artom (appunto a Torino) come esempio del recente passato. Purtroppo Chiamparino non dice che a Torino c’è una ghettizzazione alla rovescia. Vedi Porta Palazzo e Via San Salvario. Parlo da cittadino di Ostia Lido che ha vissuto per 35 anni a Torino.
Luigi Negri, vescovo della diocesi San Marino-Montefeltro invoca l’identità nazionale come cultura di popolo, non necessariamente religiosa, priva di ideologie. L’identità deve essere forte. Solo allora può essere accogliente. Come esempio di identità forte cita quanto accaduto durante la Prima Guerra Mondiale: le truppe italiane ed austriache celebrarono insieme le funzioni della Pasqua, data la comune fede cristiana.
Isabella Bertolini (PdL), relatrice alla Camera della legge sulla cittadinanza, afferma che la sinistra vuole accorciare i tempi della cittadinanza per favorire l’integrazione dell’immigrato (o per scopi elettorali? Ndr). Conseguenza: si avranno molti immigrati con i diritti degli italiani ma lontani dalla identità italiana. Il centro destra vuole invece che il cittadino che intende restare il Italia maturi la sua libera scelta e richieda la cittadinanza come scelta di appartenenza.
Gianni Alemanno, presidente della Fondazione Nuova Italia e sindaco di Roma ha concluso il convegno auspicando una appartenenza naturale e non funzionale, libera e non condizionata. Come esempio, racconta un fatto. Un ragazzo di origine albanese ed islamica, nato e cresciuto in Italia, fu percorso da ragazzi italiani. Incontrandolo in ospedale, quel ragazzo lamentò che i giornali italiani lo definissero “albanese”, mentre lui si sentiva italiano. Il padre del ragazzo, presente, mostrò di non gradire le sue parole. Alemanno invoca libertà sia di diventare italiani che di rimanere libanesi, rumeni o tunisini. In ogni caso, va evitata ogni emarginazione.
Osservazione conclusiva. Ormai i tempi brevi e gli automatismi per concedere la cittadinanza italiana agli immigrati sembrano tramontati. Lo sostengono anche personalità vicine a Gianfranco Fini. Almeno per affinità di partito.
Giuseppe Orsini