di Sante Ambrosi
Dopo l’esito felice del G8 a L’Aquila sono stati espressi da molte parti giudizi altamente positivi, sia per i contenuti, sia per l’organizzazione. Non voglio contestare tali giudizi, soprattutto se pensiamo alle precedenti sedute che hanno prodotto ben poco sul piano pratico. Questa volta pare che qualcosa di buono e di concreto sia maturato. Speriamo, e ci auguriamo, che le promesse trovino una adeguata attuazione.
Ciò che non convince è la grandiosa parata che ha accompagnato tale avvenimento. Un lettore del “Corriere della Sera” scriveva a Sergio Romano tutto il suo fastidio in questi termini:
” In questi giorni si sono potute ammirare le first ladies a colazione al Quirinale, a pranzo in bellissimi Hotel della capitale oppure mentre visitavano le rovine nelle zone terremotate con al seguito sempre un poderoso servizio di scorta, di forze dell’ordine, di autorità, di giornalisti e tanti altri ancora”.
Nella sua risposta Sergio Romano condivide il disagio del lettore e spiega come dal primo vertice del 1975, che si è tenuto nel castello di Rambuiillet, che fu un evento riservato e discreto, si è passati progressivamente ai vertici attuali, sempre più fastosi e ingombranti.
Ciò che turba il comune cittadino, se ben riflette, non sono tanto le misure di sicurezza rese necessarie nel tempo del terrorismo imperante, ma lo sfoggio di “lussuosi festeggiamenti”, come sottolinea Romano, la ostentazione di regali sempre più costosi ai membri e a tutto il seguito. E chi paga tutto questo?
Ma non si tratta soltanto dei soldi inutilmente sprecati per far colpo sull’opinione dei partecipanti e sull’opinione in generale. Si tratta del senso della misura e del pudore che ormai sembrano del tutto fuggiti dalla faccia della terra.
Il grande Ariosto, nella sua opera L’Orlando Furioso, a un certo punto narra che l’Arcangelo Michele venne sulla terra in cerca del silenzio. Lo cerca in ogni luogo e non lo trova. Lo cerca nelle Abbazie e neppure lì, nel luogo dove più naturalmente si dovrebbe trovare, lo trova. Disperato lo va a cercare all’Inferno e lo trova. Ma, nota il grande autore, quello non è il silenzio buono, ma il silenzio della paura. Questo per dire che una società senza il silenzio è una società destinata al declino.
Noi possiamo parafrasare dicendo che una società che ha perso il senso della misura e della sobrietà è una società in profondo declino.
E questo diventa ancora più grave se collochiamo un tale comportamento nel contesto della crisi che stiamo attraversando e nel contesto dei problemi della fame che uccide milioni di persone nel mondo, e di cui lo stesso vertice dice di essere preoccupato. Parlare della fame nel mondo attraverso una simile ostentazione di lusso e di sprechi inutili è la più evidente contraddizione. Ed è ciò che più fa male.