Per la rete consolare in Svizzera è tempo di ristrutturazione

Quando Enrico Letta (Pd) dava al suo ultimo libro il titolo «Costruire una cattedrale. Perché l’Italia deve tornare a pensare in grande», aveva sicuramente presenti anche tanti suoi compagni di partito bloccati da una pregiudiziale opposizione al governo e incapaci di guardare oltre. Non so se tra questi ci fosse anche l’on. Garavini (Pd), che a me sembra un classico esempio di chi, per partito preso, dice sistematicamente «no». Mi riferisco ad alcuni suoi interventi recenti (ripresi da alcune agenzie di stampa) a proposito del piano del governo per razionalizzare la rete consolare ed in particolare al suo ultimo intervento di Berna all’Intercomites Svizzera.
Che la Garavini si compiaccia di osservare la contrarietà dell’Intercomites al piano governativo di ridisegnare anche in Svizzera la rete consolare non è una notizia. Basterebbe chiedersi da chi è costituito questo organismo assolutamente sconosciuto alla collettività. Non è nemmeno una notizia che l’Intercomites esprima «una denuncia chiara della comunità italiana contro il piano di smantellare la rete consolare». In realtà è solo l’ennesima prova di arroganza e presunzione di alcuni personaggi di rappresentare e interpretare l’opinione dell’intera comunità italiana, un antico vizio, consolidatosi soprattutto negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, per cui chiunque avesse una qualche funzione, in ambito associazionistico, si sentiva autorizzato a parlare in nome del popolo emigrato.
L’on. Garavini dovrebbe stare attenta tuttavia a non scambiare l’insoddisfazione di pochi con una sorta di protesta collettiva, addirittura «a livello europeo» e non limitata alle sole circoscrizioni minacciate di chiusura. Crede davvero che gli italiani in Europa si preoccupino di com’è e come sarà organizzata la rete consolare italiana? Per quanto concerne la Svizzera, francamente non ho notizia né di grandi manifestazioni di protesta né di mobilitazioni di massa.
Il problema della rete consolare italiana in Svizzera è oggetto di discussioni da decenni, ma non è mai stato affrontato radicalmente. Per mancanza di convinzione e del sostegno necessario nessuna grande riforma è andata in porto. Questo governo sembra ora deciso a trovare una soluzione, anche se non dovesse incontrare l’unanimità dei consensi. Gli si possono muovere certo molti rimproveri, primo fra tutti di non coinvolgere gli esperti del settore e i diretti interessati tramite i loro rappresentanti ufficiali, come pure di non tenere in gran conto le voci discordanti, ma non certo di restare indifferente e inattivo.
Se è deplorevole che il governo sembri ignorare l’utilità del dialogo aperto e finalizzato a ricercare soluzioni eque e accettabili, dispiace che come la Garavini molti altri scambino la volontà di agire del governo con una sorta di «disinteresse e disprezzo nei confronti della collettività italiana all’estero». Dispiace soprattutto la disinformazione che si sta facendo al riguardo. Si confonde, ad esempio, la chiusura di una sede con l’azzeramento dei servizi, si scambia una proposta di razionalizzazione con una sorta di «piano di macellazione», un tentativo di riordino e riduzione di costi è visto da taluni come «uno smantellamento ed un degrado inarrestabili della rete diplomatica e consolare», addirittura «un affronto alla dignità della comunità italiana all’estero». Mi fermo qui, perché tanta superficialità non merita altro spazio.
Più delle polemiche inutili (per altro già sentite in occasione della trasformazione del consolato di Berna in cancelleria consolare) servirebbe una discussione appropriata e realistica, ma ho l’impressione che in molti non la vogliano per lasciare le cose come sono. Invece di entrare nel merito, per esaminare senza pregiudizi i pro e i contro della riforma, si preferisce rimandare al mittente l’intero pacchetto e reagire con slogan e frasi insulse, pur sapendo che in questa maniera i problemi invece di trovare una soluzione soddisfacente, che non dev’essere necessariamente la migliore, rischiano di aggravarsi.
Per la rete consolare in Svizzera sembra venuto il tempo di una ristrutturazione. Non è infatti possibile che essa continui ad essere (quasi) la stessa di un’epoca ormai lontana, in cui l’immigrazione era massiccia, a carattere soprattutto stagionale, e richiedeva molti visti e documenti. Oggi questa realtà migratoria non esiste più, con buona pace di chi sembra far finta di non accorgersene, e le distanze si possono superare più facilmente che in passato grazie all’accresciuta mobilità e alla telematica.
Sotto questo profilo non mi sembra una proposta indifendibile l’unificazione dei consolati di Ginevra e Losanna, che hanno insieme un bacino di utenza teorica di circa 100.000 connazionali, ossia meno degli italiani del Consolato di Zurigo. Capisco che per le persone maggiormente toccate dal provvedimento affrontare una distanza più lunga possa rappresentare un problema, ma questo non significa, come mi è capitato di leggere, che con un tale accorpamento «59.201 emigrati di Losanna dovranno farsi da 60 a 100 km per recarsi a Ginevra». In realtà, a doversi spostare, sarebbe comunque sempre una minima parte degli utenti potenziali e solo saltuariamente. Non si possono confondere gli utenti potenziali dei consolati con gli utenti effettivi. Per rendersene conto basterebbe che ogni lettore si domandasse quante volte ha dovuto recarsi al consolato negli ultimi 5 anni. Quindi si eviti per piacere la demagogia.
Va da sé che qualunque ristrutturazione di questa portata va adeguatamente preparata e possibilmente concordata, ma dovrebbe risultare evidente, soprattutto a chi ha la responsabilità della rappresentanza ufficiale, che l’opposizione non si fa soltanto dicendo «no» ma anche migliorando le proposte esistenti o proponendone altre ritenute migliori e sostenibili.
Giovanni Longu

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