ROMANIA MON AMOUR

Italia e Romania, simili per lingua, vicine per affari, lontane per diffidenza. Com’è cambiato l’imprenditore italiano

In provincia di Treviso, nel benestante e operoso Nord-Est, c’è un paesino che conta meno di cinque mila anime. Mansuè, questo il suo nome, è conosciuto anche come la “piccola Bucarest”, per via dei seicento romeni che vi risiedono, su un totale di poco meno di ottocento immigrati. “Qui c’è molto lavoro” ha dichiarato recentemente il sindaco, Giuseppe Vizzotto, che fa capo a un’amministrazione sostenuta dalla Lega Nord. “In trenta anni, da quando i primi mobilifici iniziarono a impiegare immigrati romeni – ha aggiunto Vizzotto – abbiamo registrato solo qualche piccolo fastidio, ubraichi o ladri di biciclette”.
Timosoara, uno dei centri più grandi e più forti dell’economia romena, è a sua volta chiamata “la piccola Padova”. Abitata da diecimila italiani, le 2300 aziende presenti sul territorio, e un capitale sociale complessivo da 180 milioni di euro, fanno del nostro Paese il primo investitore straniero nel distretto. Italia e Romania per certi versi si specchiano l’una nell’altra.
Simili per le lingue, discese entrambe dal latino volgare, vicine per l’economia. Nel 2006, lo scambio commerciale tra i due Paesi ammontava a più di dieci miliardi. Il nostro export verso la patria di Mircea Eliade è pari a quello con Russia e Cina. Al registro del commercio romeno sono iscritte 23 mila società italiane, 14 mila della quali attive sul territorio. Un partenariato importante. “Siamo il quinto Paese per presenza di investitori stranieri”, ha ricordato il ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani, volato a Bucarest il 6 novembre per preparare il vertice romano fra Prodi e il primo ministro Calin Popescu Tariceanu, necessario per fissare linee di politica comune all’indomani dell’uccisione di Giovanna Reggiani.
Lo stesso Tariceanu aveva parlato di un “clima anti-italiano” in Romania, per le reazioni a “dichiarazioni avventate” di uomini politici. Il ministro Bersani, che ha Bucarest ha incontrato anche il responsabile del dicastero economico Varujan Vosganian, ha ribadito che si deve “collaborare, lavorare insieme”, oltre a “abbassare i toni”.

“Non sempre le notizie pubblicate sui giornali e riportate dai media hanno fedelmente descritto la realtà dei fatti e dei rapporti tra Romania e Italia” commenta Pasquale Silvestro, responsabile italiano di un importante studio legale con sede a Bucarest dal 2000. “Ma l’incontro tra l’ambasciatore italiano in Romania Mancini con il ministro degli Esteri Vosganian in occasione della visita di Bersani, incontro a cui ha partecipato la comunita’ italiana presente a Bucarest (e non solo), è stato all’impronta della collaborazione e della distensione”.
Proviamo a capire il perché di tutti questi imprenditori in Romania. “Bucarest attira investimenti, realtà imprenditoriali internazionali, e dunque non solo italiane, ma anche greche, spagnole, tedesche” spiega il responsabile. “Oggi la Romania è meta di investimenti da parte di inglesi, americani, israeliani. Le imprese italiane stanno investendo nei settori più diversi, dagli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili al real estate. Rispetto al passato, la qualità degli investimenti è oggi caratterizzata da una progettualità maggiore, che ricade e arricchisce il territorio, e non solo da parte delle grandi imprese, ma anche di quelle piccole e medie”. Ma gli operai romeni vengono pagati di meno? “E’ da escludere un presunto sfruttamento della manodopera. Certamente i salari sono piu’ bassi rispetto a quelli di nazioni come l’Italia, la Francia ed altri Paesi ma il tutto va rapportato anche alla realtà economica-sociale della Romania. Ora poi che la Romania è entrata nella Ue, la normativa nazionale comincia a risentire degli obblighi comunitari che le derivano da tale appartenenza, anche nella tutela dei lavoratori, sia sul profilo della qualità che della sicurezza.”. Un’altra ragione della delocalizzazione ci deve essere. “La tassazione. Qui è del 16%, fissa. In Italia a volte è del 50%. Ma anche una minore concorrenza”.
Lo studio legale per il quale Pasquale lavora sta seguendo un importante progetto di collaborazione tra alcune municipalità italiane e romene, per facilitare il reinserimento sul mercato di lavoro originario di immigrati in Italia che desiderano tornare nel Paese d’origine. “Progetti di cooperazione come questa ce ne sono tanti” commenta Pasquale “ma ora si sente il bisogno di rafforzarli”. “Voglio sottolineare – aggiunge – che non credo che ci sia un problema dei romeni in Italia o degli Italiani in Romania. Credo che, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, un maggiore controllo del territorio da parte delle autorità preposte, insieme a una effettiva applicazione delle sanzioni e delle pene previste dal nostro ordinamento giuridico, darebbe maggiore sicurezza ai cittadini. I campi rom in Italia non esistono da un giorno, né pongono una questione irrisolvibile”.

Facile a dirsi, difficile a farsi. Almeno da noi, italiani, gente ospitale ma fino a un certo punto. Alina, romena residente in Italia da anni, con un lavoro a tempo indeterminato e una buona busta paga in tasca, ci ha raccontato della difficoltà di trovare un affitto regolare a Roma. Quando le rispondiamo che è difficile per tutti, lei ci conferma quello che conoscevamo già, raccontato da oneste polacche e albanesi. “Quando dico che mi chiamo Alina, già si insospettiscono. Quando poi dico che sono romena, mi salutano. Niente casa per una romena”. E i tuoi connazionali come hanno reagito a questi ultimi fatti di cronaca? “Mi hanno chiamati i miei genitori, un po’ spaventati. A Natale volevo tornare a casa, ma lascio che le acqua si calmino un po’”. Perché? “I controlli più grandi sono alla frontiera romena, non a quella italiana. I rom certo non passano per i gate degli aeroporti, ma a noi ci fanno sempre moltissime domande, e, ti assicuro, non si fidano mai”.

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