Perché l’UDC ritiene di dover dare un contributo di riflessione alla Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

Cari amici, inviamo il contributo dell'UDC per il Centenario delle settimane sociali dei Cattolici Italiani.

Cordialmente,
Segreteria Senatore Marconi.

Buttiglione: Le ragioni del contributo Udc alla Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

Quest’anno si celebra il centenario delle Settimane Sociali dei cattolici italiani. Davanti alle enormi tensioni sociali causate dalla industrializzazione e dallo sconvolgimento delle forme tradizionali di vita e di lavoro, i cattolici italiani si domandarono quali fossero le loro responsabilità e cosa dovessero fare per dare il loro contributo a salvare, e fare crescere, la comunità nazionale allora minacciata da una lotta di classe e da una guerra sociale che avrebbero potuto condurla alla rovina. Fin dalle prime Settimane Sociali è chiaro che i cattolici italiani vedevano una connessione forte fra la crisi sociale e la crisi culturale e morale del Paese.
La presenza della Chiesa nella società era sotto attacco ed i Cattolici volevano unire la difesa dei loro valori con la proposta di vie nuove per risolvere i problemi del Paese. Vedevano nel tradimento dei valori una delle cause, anzi la causa principale, anche delle difficoltà sociali e politiche. Li guidava idealmente l’enciclica Rerum Novarum, che aveva offerto una visione generale dei problemi e delle sfide dei tempi nuovi.
Le Settimane Sociali sono dunque legate alla dottrina sociale cristiana, alla sua enunciazione ed ai suoi sviluppi. La dottrina, dal canto suo, è legata alla pratica concreta dei cristiani nella società. I documenti del Magistero riflettono ed accompagnano la pratica concreta di un grande movimento sociale, il Movimento Cattolico, che si sforza di comprendere i problemi del suo tempo alla luce del Vangelo e di intervenire in essi con spirito di carità cristiana. Si tratta di un grande movimento per la liberazione della persona umana, per l’affermazione della dignità trascendente di ogni singola persona umana.
A cento anni dalla Rerum Novarum Giovanni Paolo II ha provveduto ad una grande revisione ed aggiornamento della dottrina sociale cristiana, dopo una fase storica in cui da alcuni ne era stata messa in dubbio la necessità e la attualità. Come le Settimane Sociali di allora si collocano all’interno dell’orizzonte tracciato dalla Rerum Novarum, così le nuove Settimane Sociali si collocano nell’orizzonte aperto dalla enciclica Centesimus Annus.
A questo incontro dei cattolici italiani l’UDC vuole dare il suo saluto ed il suo contributo. Il nostro non è un partito confessionale. Molti dei nostri militanti e dei nostri elettori sono credenti, ma molti anche sono non credenti; dei credenti molti sono cattolici, ma molti sono ebrei o cristiani di altre confessioni. Perché, dunque, dare un nostro contributo di riflessione per le Settimane Sociali dei cattolici? La ragione è già contenuta in qualche modo in ciò che già abbiamo detto.
I cattolici italiani offrono un contributo per tutta la società. Essi mettono in gioco la loro esperienza umana illuminata dalla fede e vogliono confrontarla con quella di tutti. Essi non chiedono uno spazio privato, particolare, proprio dei cattolici ma vogliono dare il loro contributo per l’affronto dei problemi di tutto il paese. Essi affermano un legame fra la Chiesa italiana e la Nazione italiana. È un legame che affonda le sue radici nella storia: nei secoli dell’Alto Medio Evo il battesimo ha riconciliato fra loro i Germani ed i Latini ed ha consentito attraverso la mescolanza del sangue e la sintesi delle culture la nascita della Nazione. Da allora l’identità della Nazione si è costituita sulla solida base dei valori cristiani. Certo, tale identità è sempre stata aperta anche ad altri contributi, a partire da quello dell’ebraismo.
Del resto è nella natura del cristianesimo l’essere includente e non escludente: ogni uomo è chiamato ad incontrare la salvezza per un suo percorso individuale ed ogni uomo attraverso tale percorso arricchisce anche la nostra comprensione della verità dell’uomo. Due sono dunque le ragioni che ci inducono a formulare questo contributo: 1. a quella fonte della esperienza e della dottrina sociale cristiana abbiamo attinto anche noi; 2. prendiamo sul serio la rivendicazione di laicità che il documento preparatorio della Settimana Sociale esprime: i cattolici italiani vogliono dire una parola sull’uomo e sulla società e noi, da politici, con quella parola ci vogliamo e ci dobbiamo confrontare.
Il metodo della presenza dei cristiani nella società
In una prima fase i cattolici italiani dopo il compimento della unità nazionale hanno opposto alle cose nuove generate dal cambiamento storico un vagheggiamento delle cose passate e l’opposizione di un loro modello assolutamente alternativo di società. E’ la fase della intransigenza.
E’ con il papa Leone XIII che si profila gradualmente un nuovo approccio. Le convinzioni dei cristiani devono essere formulate non nella forma del vagheggiamento di un ordine passato ormai definitivamente scomparso, ma come proposte che devono entrare nella discussione politica attuale ed hanno l’ambizione di dare forma al futuro. Evidentemente in una società democratica e pluralista sarà necessario anche venire ad accomodamenti e compromessi con altre visioni della realtà. Si intravede qui l’effetto del pensiero del più grande filosofo cattolico dell’Ottocento, Antonio Rosmini.
Rosmini aveva insegnato che i diritti hanno una essenza ed una modalità di realizzazione. I valori fondamentali non cambiano nel tempo, ma il modo in cui essi si incarnano in istituzioni sociali è inevitabilmente diverso in contesti diversi. Il diritto naturale di partecipare ai processi di decisione politica si realizza secondo modalità diverse in una società alfabetizzata ed in una società analfabeta, in una società religiosamente omogenea e in una società pluralista. Alla ricerca di un modello di perfezione che non cambia, si sostituisce la ricerca del modello adeguato ad assicurare il miglior governo possibile di una società data, con i suoi pregi ed i suoi difetti e con il suo inevitabile carico di imperfezione.
La critica del perfettismo, cioè della convinzione che sia possibile realizzare la città ideale in questo mondo, mette in guardia contro le utopie laiche, ma anche contro la tentazione di idealizzare un modello assoluto di Stato cristiano.
Su questa base si verrà sviluppando nel tempo una cultura della mediazione. I valori vanno mediati e devono accettare anche i compromessi necessari per realizzare le alleanze utili a governare la società. I valori cristiani non possono essere imposti con la forza, perché la fede cristiana ci dice che la verità ha la funzione esistenziale di diventare forma della libertà di ogni uomo. Le cose oggettivamente giuste imposte contro la libertà divengono sbagliate. La libertà è il metodo della lotta per la verità.
Nel corso di questa evoluzione, nella tensione fra cultura della intransigenza e cultura della mediazione, nasce e si sviluppa l’idea di democrazia cristiana. Originariamente non è tanto la denominazione di un partito quanto una visione della democrazia e del ruolo dei cristiani al suo interno.
Per alcuni la democrazia è buona per essenza. Bisogna superare le diffidenze dei cattolici verso la democrazia, derivate semplicemente da equivoci e sfavorevoli circostanze storiche. Il partito democratico cristiano ha la missione di conciliare i cattolici con la democrazia e, una volta realizzato questo compito, deve sciogliersi nel generale movimento democratico del tempo. Antonio Gramsci ha espresso questo visione in modo esemplare: compiuta la sua funzione storica la democrazia cristiana deve incontrarsi con i comunisti, che sono la forma evoluta del movimento democratico, e fondersi con essi.
Per altri la democrazia è esposta continuamente al rischio di cadere vittima del relativismo etico, di perdere il riferimento ai valori e di scivolare prima nella corruzione e nella delegittimazione delle istituzioni e, poi, nella tirannia. E’ questo il destino della democrazia greca, descritto da Platone nella Repubblica, ma sarà poi il destino della democrazia italiana davanti all’avvento del fascismo e della democrazia di Weimar in Germania davanti al nazismo. Se il relativismo etico trionfa, in nome di che cosa le classi dirigenti rinunceranno a usare il potere pubblico per fini privati o a fare violenza, quando potessero farlo con impunità? Ed in nome di cosa si potrà scegliere fra interessi diversi concorrenti? E perché mai le corporazioni più potenti dovrebbero accettare di rinunciare ai loro privilegi? In questa prospettiva, democrazia cristiana indica una democrazia che mantiene un forte riferimento ai valori. Compito dei cristiani è difendere la democrazia contro il rischio della corruzione, della violenza, della perdita del riferimento ai valori, della prevalenza del relativismo etico ed infine dello scivolamento nella tirannia. Il Concilio Ecumenico Vaticano II segna in un certo senso l’affermazione definitiva della cultura della mediazione e la fine dell’intransigentismo.
Subito dopo il Concilio, anche per influsso dei movimenti antiautoritari iniziati nel ‘68, inizia il tentativo di trasformare il risultato del Concilio, criticato come un compromesso insufficiente. Alcuni chiedono un nuovo Concilio Ecumenico Vaticano III, altri fanno appello ad un supposto “spirito del Concilio” che viene opposto alla sua lettera. Uno dei temi della polemica che allora si sviluppa riguarda proprio il tema della presenza dei cattolici nella società e la giusta visione della cultura della mediazione.
Per mediare è necessario avere delle convinzioni forti, un patrimonio di valori originari, che vengono successivamente mediati. C’è un elemento o un nocciolo di intransigenza che permane nella cultura della mediazione e senza il quale la mediazione diventa impossibile o diventa sinonimo di resa. Gli interpreti del supposto “spirito” del Concilio chiedono una mediazione senza il nocciolo di valori essenziali che anche nella mediazione vanno comunque difesi. In quella prospettiva il cristianesimo si riduce ad una dimensione meramente privata e nella sfera pubblica la presenza dei cristiani deve sciogliersi all’interno di una democrazia indifferenziata. In questa prospettiva non ha ragione d’essere la dottrina sociale cristiana e quindi nemmeno le Settimane Sociali dei cattolici italiani. Esse infatti vengono interrotte, nel periodo in cui quel dibattito è più vivo e la confusione su questi argomenti più forte, per circa venti anni.
E’ noto come questo fraintendimento della vera natura della cultura della mediazione e questa crisi sia stata causa di grande dolore per Paolo VI ed abbia rattristato gli ultimi anni del suo pontificato. Erano, quelli, gli anni in cui il marxismo dominava non solo metà della umanità ma anche la cultura della Europa continentale e la neutralizzazione della presenza pubblica dei cattolici mirava anche a rendere possibile la loro confluenza nel movimento comunista mondiale. Era inoltre diffusa la convinzione che in una società secolarizzata la religione come fenomeno sociale fosse destinata a scomparire o almeno a rifugiarsi nel privato.
Il pontificato di Giovanni Paolo II realizza una fondamentale chiarificazione che si può riassumere nel motto: “torniamo al Concilio”, torniamo al Concilio quale in effetti è stato e non come è stato arbitrariamente deformato dalle interpretazioni successive. Il Concilio non realizza una rottura assoluta nella storia della Chiesa, tale da implicare una specie di condanna di tutta la fase precedente della storia del cristianesimo. Il rinnovamento si inserisce in una fondamentale continuità del messaggio cristiano.
Nel giugno 1979 Giovanni Paolo II si reca in Polonia e la sua presenza provoca una impressionante testimonianza di fede dell’intero popolo polacco. Nell’agosto del 1980 Lech Walesa scavalca i cancelli dei cantieri di Danzica e fonda il Sindacato Interaziendale indipendente Solidarnosc, attorno al quale si stringono tutti i lavoratori polacchi in una domanda di giustizia e di libertà davanti al regime comunista. Il punto di riferimento di Solidarnosc è la dottrina sociale cristiana che un certo progressismo postconciliare considerava superata. Il suo avversario è il comunismo, nel quale quel medesimo progressismo riponeva la sua speranza di futuro. La religione in generale, e la dottrina sociale cristiana in particolare, rientrano in campo come potenti fattori di storia proprio mentre il comunismo scompare. Nell’arco di pochi anni, crollano in America Latina le dittature militari di sicurezza nazionale davanti ad un movimento per i diritti umani guidato idealmente dalla Chiesa Cattolica; nell’Europa centrorientale crolla il comunismo davanti alla resistenza non violenta dei popoli, che ha nella visione cristiana dell’uomo testimoniata efficacemente da Giovanni Paolo II il proprio punto di riferimento fondamentale.
Nel 1981, il Papa scrive l’enciclica Laborem Exercens, che nasce dalla riflessione sulla esperienza di Solidarnosc e sarà essenziale punto di riferimento degli sviluppi successivi non solo in Polonia. Nel 1987 verrà pubblicata la enciclica Sollicitudo Rei Socialis, che una analoga funzione di riferimento avrà in America Latina. Nel 1989 cade il muro di Berlino e con esso il comunismo. Nel 1990 riprende il ciclo delle Settimane Sociali dei Cattolici italiani. Nel 1991 uscirà la enciclica Centesimus Annus, che conclude questo ciclo storico e ne apre uno nuovo offrendo una lettura fino ad ora insuperata dei problemi e delle sfide propri della epoca della globalizzazione.
La dottrina sociale cristiana torna ad imporsi per una evidente esigenza oggettiva dei tempi. L’enciclica Centesimus Annus ammoniva che con la fine del comunismo non finisce la ricerca umana di giustizia e non viene meno la necessità di una dottrina sociale cristiana. Per di più il comunismo non è ancora caduto e già comincia a delinearsi per i cristiani un nuovo avversario storico. Si tratta del relativismo etico che vuole una democrazia senza valori. Il relativismo etico assume però una forma nuova ed inedita. I progressi delle scienze biologiche offrono all’uomo inedite capacità di manipolare sé stesso. Diventa possibile generare bambini in provetta, eliminare bambini “difettosi” già nel grembo della madre, alterare il patrimonio genetico delle persone, fabbricare mostri per metà uomini e per metà animali (chimere), etc… Nasce una nuova politica, la biopolitica, che interpella la coscienza cristiana così come nell’Ottocento la aveva interpellata la questione sociale.
Viene messo in questione il senso della femminilità e della virilità e quindi della famiglia. Esplode, insomma, la questione antropologica. Negli anni ’90 crescono ondate migratorie che cambiano parzialmente la composizione demografica di antiche nazioni europee. Una parte degli immigranti sono di religione islamica ed in questi anni cresce anche un integralismo islamico virulentemente antiebraico ed anticristiano. Le nazioni dell’Europa sono costrette a porsi il problema della loro identità culturale e della relazione di questa identità con il cristianesimo.
Tutto questo interpella naturalmente la coscienza dei credenti in quanto cittadini. Agli inizi del nuovo millennio il card. Joseph Ratzinger ha fornito, con due documenti della Congregazione della Dottrina della Fede, un orientamento metodologico di straordinaria importanza per i politici cristiani. Questo orientamento spiega in un certo senso il significato della proclamazione, fatta da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo, di S. Tommaso Moro a protettore dei politici cattolici. S. Tommaso Moro era uomo di mediazione e cercò in ogni modo di raggiungere i compromessi possibili che salvassero la pace del Regno (ed anche la sua testa). Egli sapeva bene, però, che esiste un limite al compromesso oltre il quale non si può andare, ed oltre il quale il compromesso diventa cedimento e complicità con il male. Portato a questo limite e costretto a scegliere fra l’opportunità politica e la coscienza morale, S. Tommaso scelse per la coscienza e pagò il prezzo non solo della sconfitta politica ma anche della sua stessa vita.
I due documenti Ratzinger sono in fondo una illustrazione ed una spiegazione della lezione contenuta nella testimonianza di S. Tommaso Moro. La politica – ci dice Ratzinger – è necessariamente arte del compromesso, ricerca della mediazione. Esiste però un nocciolo irrinunciabile che non può essere ulteriormente mediato. Esistono cose che sono intrinsecamente malvagie e non è possibile rendersi responsabili di complicità con esse.
Gli ambiti che vengono indicati nei due documenti sono (in modo esemplificativo ma non esaustivo) la vita, la famiglia e l’educazione. Il politico cristiano non può approvare leggi che negano il diritto alla vita; non può approvare leggi che violano i diritti naturali della famiglia e ne sfigurano la fisionomia fondamentale; non può accettare la violazione del diritto della famiglia alla educazione dei figli. Su questi temi non vi è spazio per compromessi, è necessario accettare serenamente uno scontro democratico. Si può perdere ma non rendersi complici della violazione dei diritti fondamentali. E se si perde, il bello della democrazia è che nessuna sconfitta (e, peraltro, anche nessuna vittoria) è mai definitiva. Resta sempre aperta la possibilità di lavorare per informare meglio il popolo sovrano e cambiarne i convincimenti per arrivare infine a nuove regole di legge più rispettose della persona umana e della sua essenziale dignità.
La mediazione politica deve comunque tutelare e difendere un insieme di principi non negoziabili. La politica dei cristiani deve essere una politica di testimonianza e di mediazione e non c’è mediazione efficace senza testimonianza. La testimonianza implica la disponibilità a sostenere anche lo scontro politico più duro se questo è necessario per non tradire la verità sulla persona umana.
Oggi tutte le forze politiche sono chiamate a scegliere ed a riposizionarsi davanti alle questioni nuove imposte dal relativismo etico, dalla biopolitica e dalla ridefinizione in corso delle identità nazionali. Questi sono i nuovi fronti sui quali si articola il dibattito politico nel corso del secolo che è appena iniziato.
Questo cambiamento pone nuovi problemi alle forze politiche di ispirazione cristiana o, anche, impone di confrontarsi con le forme nuove che assumono antichi problemi. Ci si era abituati a prendere posizione in un sistema politico in cui la discriminante fondamentale era la posizione davanti ai problemi del lavoro. Una parte importante ha giocato, per più di una generazione, la questione operaia e lo sforzo di riguadagnare alla fede, attraverso un’attenzione intransigente per la giustizia sociale, le masse operaie alienate dal modo di produzione capitalistico o, almeno, dal modo in cui esso si è concretamente configurato nella maggior parte delle nazioni industrializzate. Oggi, le economie dei paesi avanzati sono entrate in una fase postindustriale in cui il riferimento tradizionale alla classe operaia perde di forza in un mondo del lavoro articolato e anzi frammentato in una pluralità di mestieri e di figure professionali. Contemporaneamente acquistano forza le nuove questioni della identità delle nazioni, della biopolitica e del fondamento etico delle democrazie. Si impone la questione antropologica.
In questo contesto nuovo siamo tutti chiamati a riformulare i principi della lotta per la difesa della dignità della persona umana in un tempo storico che è cambiato.

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