Ho posto al Ministro dei Beni Culturali una serie di domande partendo dal caso limite di Tiriolo. Nel piccolo comune del Catanzarese, l’apertura, ad aprile 2016, del parco archeologico urbano di Gianmartino, è stata resa possibile innanzi tutto dall’intuizione dell’archeologo Ricardo Stocco. Dalla mera direzione di uno scavo di qualche mese finanziato con fondi PON-FESR (2015), stante lo straordinario coinvolgimento ‘spontaneo’ della comunità locale nella scoperta di un edificio monumentale di IV-III sec. a.C. con apparati decorativi peculiari, il professionista veneto propose e ottenne di passare ad una valorizzazione condivisa e partecipata, in accordo con il Comune e la Soprintendenza ABAP. Si innescò, allora, un processo virtuoso molto articolato e ricco di implicazioni imprevedibili: basti ricordare che la cooperativa di comunità creata all’uopo ha anche vinto il bando “Cultura Crea” del MiBACT, potendo perciò realizzare la riapertura e rivitalizzazione del preesistente Antiquarium. Ho interpellato Dario Franceschini alla luce delle gravi vessazioni perpetrate dalla Soprintendenza proprio a danno dello Stocco a partire dalla primavera 2017, quando, cioè, l’archeologo cominciò a studiare ciò che era stato rinvenuto, insieme ad un gruppo qualificato di colleghi, a titolo gratuito, sia in vista della consegna della documentazione di scavo al Ministero sia dell’edizione dello scavo stesso. I comportamenti scorretti dell’ufficio territoriale calabrese inducono a chiedersi, ad esempio, se sia ancora possibile consentire alle Soprintendenze, quando la manutenzione di un sito archeologico spetti al Comune, di stabilire chi e quando, oltre che come, la si debba eseguire. Se è lecito, moralmente e non solo, che quando quell’Istituto disattende per decenni alla pubblicazione dei risultati delle proprie ricerche, come nel caso tiriolese, possa poi rivalersi, attuando ritorsioni insopportabili, su chi (qualificato ed autofinanziato) aspiri ad assumersi il compito anche solo per una piccola parte. Se non sia tempo di aprire i depositi archeologici alla visione e al confronto tra gli studiosi. Se non sia urgente, in fine, scardinare la logica perversa che si annida in seno alla gestione dell’archeologia pubblica italiana per cui non si riconoscono prodotto originale dell’intelletto lo studio e gli approfondimenti tecnici indispensabili alla comprensione del contesto oggetto d’indagine e dunque anche alla futura promozione del sito.
Margherita Corrado (M5S Senato – Commissione Cultura)