Dettagli del programma iraniano di droni, si conferma la necessità di chiederne conto al regime

Dettagli del programma iraniano di droni, si conferma la necessità di chiederne conto al regime

 

Il Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran ha tenuto una conferenza stampa mercoledì 6 presso il suo ufficio di rappresentanza negli Stati Uniti e ha rivelato nuovi dettagli sulla produzione, la diffusione e il dispiegamento di veicoli aerei senza equipaggio utilizzati sia dal regime iraniano che da milizie che agiscono per suo conto nella regione circostante.

Le informazioni in questione sono state ottenute da una rete di intelligence gestita dall’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK). La conferenza stampa ha toccato la lunga storia dello sviluppo da parte di Teheran di scorte di droni e missili come compensazione per l’incapacità di modernizzare la sua forza aerea tradizionale di fronte alle sanzioni internazionali. Tra le diverse strutture evidenziate dal CNRI ce n’è una che era stata fondata come Paravar Pars Company accanto all’aeroporto di Sepehr nel 1995. La conferenza stampa ha rilevato che la struttura è stata associata alle Guardie Rivoluzionarie (IRGC) sin dall’inizio e nel 2005 è stata posta sotto il controllo della Forza Aerospaziale dell’IRGC. Funziona per costruire droni e velivoli ultraleggeri, nonché per installare nuove apparecchiature su veicoli esistenti.

La presentazione del contesto storico da parte del CNRI è stata accompagnata da rivelazioni su recentissimi sviluppi della produzione di droni e della relativa infrastruttura. La conferenza della Resistenza iraniana ha identificato un importante complesso a Semnan che è operativo solo dal 2019. Ciò riflette la crescita dell’importanza percepita dei droni (UAV) tra la leadership militare e paramilitare del regime, che è rappresentata nelle operazioni della struttura. Il complesso di Semnan è un sito di attività congiunta dell’esercito, dell’IRGC, delle forze di sicurezza dello Stato e di una milizia collegata all’IRGC nota come Bassij.

I droni prodotti a Semnan sono stati destinati all’uso nelle regioni di confine. Alcuni dei prodotti della struttura hanno avuto un ruolo nella recente proliferazione della tecnologia dei droni tra le milizie che agiscono per conto del regime appena oltre il confine occidentale dell’Iran, in Iraq. Preoccupazioni su tale proliferazione sono state pubblicamente espresse da ufficiali americani all’inizio di quest’anno, sulla scia di molteplici attacchi di droni contro gli interessi statunitensi nel Paese.

Tra aprile e giugno sono stati registrati almeno sei di questi attacchi, di cui almeno uno contro una struttura segreta, evidenziando la probabile crescita della sofisticazione non solo della tecnologia dei droni dei militanti, ma anche delle loro operazioni di intelligence e della loro infiltrazione nella struttura di potere irachena. Entrambe le categorie di attività sono supportate dalla Forza Quds, la divisione dell’IRGC dedicata alle operazioni fuori dall’Iran. La Forza Quds ha creato gruppi altamente specializzati all’interno della sua struttura militante esistente, inclusi gruppi addestrati all’uso della moderna tecnologia dei droni.

A questi link ulteriori informazioni in proposito:

As Coronavirus Rages, Iran Neglects the People to Finance Drones for Terrorist Proxies

Drones Banned in Tehran, IRGC Concerned of Khamenei’s Security

NCRI’s Latest Revelation Underlines Need for an Assertive Policy Toward Iran’s Regime

Da allora almeno quattro gruppi sciiti iracheni hanno iniziato a fare uso di tale tecnologia. Ciò ha permesso loro di prendere di mira obiettivi specifici. “I droni sono un grosso problema, una delle minacce più significative che le nostre truppe devono affrontare”, ha affermato Michael P. Mulroy, un ex agente della CIA e alto funzionario del Pentagono che si occupa di affari mediorientali, in una conversazione con i giornalisti a maggio.

I militanti iracheni non sono i primi a beneficiare degli investimenti del regime nelle tecnologie dei droni. Hezbollah, il gruppo terroristico libanese, ha iniziato ad operare apertamente con droni basati sul progetto iraniano nel 2004. Nel 2013 le scorte di Hezbollah di tali velivoli erano diventate decine, o forse centinaia. Nel 2017 e nel 2018 è stato scoperto che militanti Houthi dello Yemen stavano penetrando sempre più in profondità nel territorio dell’Arabia Saudita.

Nel gennaio 2018, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha concluso un’analisi dei componenti recuperati da siti in cui i droni erano stati utilizzati in missioni kamikaze in Arabia Saudita e ha comunicato che i droni in questione erano praticamente identici a quelli fabbricati dal regime iraniano. Analisi simili sono state condotte più recentemente con componenti recuperati in Iraq e i risultati sono stati gli stessi.

La diffusa proliferazione di droni di fabbricazione iraniana, così come di droni realizzati altrove sulla base dei progetti del regime, riflette i considerevoli investimenti del regime iraniano. Tali investimenti sono stati effettuati con l’espropriazione di fondi depredati dalla ricchezza nazionale iraniana, anche attraverso pratiche come la confisca dei beni a seguito della reclusione politica.

Il programma di droni del regime rappresenta una minaccia crescente sia per la sicurezza globale che per una popolazione nazionale che soffre di un tasso di povertà dell’80% e di un’epidemia di coronavirus che rimane quasi del tutto fuori controllo. Tuttavia, la comunità mondiale mantiene una posizione troppo morbida di fronte a tali minacce, mentre dovrebbe recidere tutti i legami diplomatici ed economici con il regime iraniano in assenza di seri gesti di conciliazione da parte del regime.

“Qualsiasi rapporto con il regime di Teheran… deve finire”, ha affermato il CNRI in una dichiarazione che ha accompagnato la conferenza stampa. “Deve essere richiesta la cessazione delle attività di produzione, uso e ricerca sui droni e del programma missilistico del regime. Altrimenti, a causa delle sue gravi debolezze interne, il regime clericale porrà maggiore enfasi sulla creazione di instabilità regionale al fine di guadagnare tempo e preservare il suo dominio”.

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