GIANCARLO ELIA VALORI
Honorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France
Origini dei sensi geopolitici di libertà e difesa nella Repubblica Popolare Democratica della Corea
Prima di leggere assurdità e discettare col barista della minaccia cui il mondo soggiace a causa dell’atomo nordcoreano, è bene porre in chiaro alcune questioni di capitale importanza.
La Penisola coreana è sempre stata il principale campo di battaglia per la competizione geopolitica nel nord-est asiatico. Nella storia della Penisola, i governi che hanno sostanzialmente coperto parte o tutta la Penisola, sin dai tempi antichi hanno formulato il senso della propria libertà.
Essa non è quella liberal-borghese, ossia la possibilità dell’imprenditore di assumere o licenziare a sua volontà, e compensare il suo oggetto col diritto di voto verso partiti avulsi dalla società civile ed estranei alla quotidianità dell’esistenza – bensì la libertà è l’assenza dal suolo patrio dello straniero che aggredisca, invada e occupi il proprio Paese. Per cui la scelta della Repubblica Popolare Democratica della Corea (nord) di mantenere una forza atomica difensiva fa parte di quello schema che tiene lontani con la deterrenza i potenziali aggressori, i quali – come ormai è evidente nonché fallimentare – si appellano a valori politici, ideologici, religiosi ed economici che non hanno nulla da spartire con quei popoli che si cerca di dominare con la violenza di armi e forza.
La Penisola coreana ha svolto spesso un ruolo importante nell’evoluzione dell’ordine politico internazionale nel nord-est asiatico e persino nell’intera Asia orientale. Nel corso dello sviluppo storico, mentre il suddetto Paese si è continuamente consolidato come potenza indipendente, ha anche affrontato diversi grandi shock e sfide dall’esterno della Penisola direttamente legate alla propria sopravvivenza.
In questo processo, le élite politiche della Penisola in diversi periodi hanno adottato molteplici strategie o combinazioni di strategie tra cui equilibrio, moderazione e resistenza, pur cercando di mantenere l’esistenza del Paese come idea e cultura, nonostante l’occupazione nipponica dell’Impero Coreano dal 1910 al 1945.
Dopo essere entrati nel sec. XXI, con lo sviluppo profondo della situazione nella Penisola in termini di complessità e collegamento internazionale, è senza dubbio importante analizzare correttamente l’attuale politica estera coreana, guardando al modo di pensare e alla tradizione spirituale che ha dominato la Corea, e analizzando e cogliendone l’influenza e gli effetti attuali.
È di grande importanza andare avanti e quindi prevedere efficacemente l’evoluzione del modello strategico del nord-est asiatico.
La Penisola coreana situata all’incrocio con il continente asiatico orientale e la posizione strategica del Pacifico occidentale, fa da contraltare all’Europa che – se la vediamo su un mappamondo – è una semplice zona cuscinetto tra l’Atlanticio e la Russia, per cui da lungo tempo la Penisola sta parimenti fungendo da zona cuscinetto tra l’Asia continentale e l’Asia oceanica.
L’importante uomo politico e dittatore militare della Repubblica di Corea (sud), Park Chung-hee (1917-79) ha sottolineato:
«Ogni volta che sorgeva una potente dinastia in Cina, il suo potere si estendeva alla Penisola coreana. Per la dinastia mancese dei Qing, invadere la Penisola sino a sud era naturale, ma lo scopo principale non restava quello di governare una piccola Corea, ma di invadere la Cina continentale, per cui la parte settentrionale della Penisola ne sopporta sempre il peso maggiore. Per lo stesso motivo, lo scopo principale dei russi che cercavano di governare la RPD della Corea era di usarla come un ponte per conquistare l’intero nord-est asiatico. Il Giappone invaderà la RPD della Corea ogni volta che avrà la possibilità di espandersi. Tutto questo poiché l’obiettivo finale di chiunque è governare la Manciuria e di conseguenza tutta la Cina continentale».
Badate: queste parole non le ha pronunciare Kim Il Sung (1912-94), ma il suo acerrimo nemico connazionale Park Chung-hee, completamente al servizio degli Usa, ma di vedute indipendenti, solide e chiare.
Sebbene la Penisola coreana sia di grande valore geopolitico, agli occhi di esperti e strateghi era noto ch’essa avesse (e ha) carenze naturali in termini di area, risorse, popolazione e altro potere e potenziale, rendendo difficile ch’essa potesse allora trovare un equilibrio fra le grandi potenze tellurocratiche e talassocratiche da cui è sempre stata circondata.
Al contrario, per lungo tempo essa è stata circondata e minacciata dalle predette potenti forze che si sono manifestate lungo la storia. Anche in alcuni periodi in cui la Penisola era sostanzialmente unificata e il potere nazionale rafforzato (seconda metà del sec. X, inizio dell’XI e inizio del XIV), il potere più forte risultava vincente nelle controversie interne con una copertura governativa totale del territorio, ma una volta che la Corea si trovava coinvolta in conflitti armati con le altre potenze circostanti (mongoli, cinesi, giapponesi), non era sostanzialmente in grado di fronteggiare tali pericoli, oltre a non poter disporre di un alto grado di resistenza.
Di fronte a questo ambiente circostante ostile, estremamente difficile e pericoloso e alle sue disastrose conseguenze per la sopravvivenza e lo sviluppo del popolo della Penisola, le successive élite politiche e culturali coreane hanno affermato: «La storia della nostra nazione è sempre stata una storia di sofferenza. La storia dell’impoverimento domestico e delle difficoltà estere: una storia di invasioni straniere».
Nel contesto della politica internazionale, una delle tradizioni più importanti nella strategia estera della Penisola sono le «grandi questioni» per cercare la propria sicurezza e sopravvivenza. Questa strategia riconosceva che esistesse un divario irreparabile tra il potere dei governi della Penisola e quello dei potenti vicini, per cui si sosteneva un atteggiamento generale di cooperazione con i Paesi più forti della regione per dichiararsi tributari attraverso l’invio coordinato di truppe e altri metodi che generalmente soddisfacessero le esigenze politiche, finanziarie e persino militari dei Paesi potenti, ottenendo in cambio la tolleranza per poter almeno mantenere un certo grado di autonomia.
Si ritiene generalmente che le «grandi questioni» – quale asse fondamentale delle strategie estere dei vari governi nella storia della Penisola – siano iniziate nel sec. XIV.
La premessa logica della strategia delle «grandi questioni» è riconoscere il divario di potere geopolitico estremamente ampio e irreparabile tra gli attori della zona.
Oltre alle realistiche considerazioni di politica internazionale, questa strategia di sottomissione in cambio di autonomia e sopravvivenza portava ancora molti altri vantaggi significativi, come l’economia (commercio tributario redditizio), la politica (sperando di essere riconosciuta dalle maggiori potenze per la sua legittimità e quindi sopprimere le forze di opposizione interna), la sicurezza (per evitare di diventare bersaglio di attacchi da parte delle grandi potenze, e anche sperare di ricevere assistenza militare da altre potenze in caso di controversie con i Paesi vicini o addirittura invasioni militari).
Però in generale, la strategia delle «grandi questioni» era una posizione di resa verso le potenze vicine per evitare la loro ingerenza diretta e invasione, e mantenere la propria sopravvivenza quali obiettivi fondamentali. Però, in tal caso, la RPD della Corea ha compiuto il grande balzo in avanti di rendersi indipendente dal punto di vista difensivo, mentre la Corea del Sud è una specie di Gran Bretagna, ossia protesa verso interessi extra-continentali.
Gli studiosi coreani hanno riconosciuto che tra le considerazioni di base nella pianificazione e attuazione della strategia delle «grandi questioni», ovviamente, la sicurezza nazionale occupava una posizione più importante, ossia «garantire la sicurezza nazionale e lo spazio autonomo attraverso alleanze politiche con i Paesi egemoni regionali».
Va sottolineato che, rispetto ad altri tipi analoghi, la strategia delle «grandi questioni» manteneva caratteristiche uniche, la più importante delle quali era l’enfasi sui fattori ideologici comuni. Da un punto di vista storico, se il governo della Penisola ha un senso ideologico di vicinanza e appartenenza alle potenze circostanti (come la politica della dinastia coreana Joseon [1392-1897]: identificazione globale dell’élite intellettuale con la cultura cinese), l’intenzione dei governi della Penisola oggi – di perseguire questa strategia verso l’alleato rispettivo più solido – sarà ancora maggiore nei recenti anni.
E lo scopo della partecipazione attiva della RPD della Corea all’ordine cinese «non si basa più solo sul realismo della politica internazionale, ma si approfondisce per cercare l’omogeneità con la Cina, e persino per stabilire una ‘piccola Cina’ seconda solo alla Grande Cina delle pianure centrali».
Oltre alla strategia delle «grandi questioni», l’altra importante tradizione della strategia di sicurezza della Penisola era la «strategia dell’equilibrio». La «strategia dell’equilibrio» utilizzava, innescava e persino intensificava attivamente le contraddizioni potenziali o effettive tra i poteri circostanti e cercava di svolgere un ruolo chiave di «bilancia» tra i poteri, in modo che essi raggiungessero l’equilibrio quale moderazione come sistema di protezione.
Park Chung-hee sottolineava la possibilità di perseguire una tale strategia: «Sebbene la posizione geografica della Corea ne faccia un luogo di sofferenza, la situazione internazionale la rende un campo di battaglia per le potenze straniere». Essa non necessariamente e inevitabilmente diventava vittima di un’aggressione, ma se riusciva a gestire la situazione, poteva diventare una fortezza in mezzo alle tre forze maggiori (Cina, Giappone e Unione Sovietica).
Il caso più tipico della strategia di equilibrio del regime della Penisola si verificò principalmente dal tempo storico successivo alla guerra sino-giapponese del 1894-1895. Durante questo periodo, la Corea, che si vide riconoscere l’indipendenza dalla Cina con il Trattato di Shimonoseki (17 aprile 1895), oscurò l’influenza di Pechino, che sino ad allora considerava la Corea uno Stato cliente. La Corea iniziò a trattare attivamente con altre potenze quali Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, ecc. Ed in particolare con la Russia, per contrastare le ambizioni aggressive del Giappone, tutto questo al fine di cercare forze esterne che equilibrassero la tenuta della Penisola quale soggetto di diritto internazionale.
Quest’equilibrio impedì il predominio del potere giapponese e assicurò la sopravvivenza del Paese. A tal fine, sino al 1904, la Corea iniziò a trasferire consapevolmente una serie di diritti a Stati Uniti d’America, Russia, Gran Bretagna, Francia, Germania, ecc., come la costruzione di ferrovie, l’estrazione di minerali, la gestione doganale e la pesca costiera, al fine di limitare l’influenza dominante del Giappone sulla Penisola. Con il sostegno della Russia, fu istituito un gabinetto filo-russo, e al contempo furono esautorati i consiglieri e gli istruttori militari giapponesi nei dipartimenti del governo. Nell’ottobre 1897 fu proclamata la costituzione del Grande Impero Coreano (Daehan Jeguk), e la «strategia dell’equilibrio» ebbe pieno successo.
In teoria, il successo di un Paese qualsiasi nel perseguire una strategia dell’equilibrio dipende dal soddisfare contemporaneamente due condizioni principali.
In primo luogo, la «strategia dell’equilibrio» deve avere la capacità di impedire che due o più soggetti intervengano singolarmente, soprattutto a scapito di quel popolo.
In secondo luogo è che quando scoppia un conflitto armato diretto – tra gli oggetti che fino a quel momento sono i piatti della bilancia – la parte nel mezzo è costretta a scegliere apertamente una posizione. Però questa parte deve avere forza sufficiente per fornire al più debole dei due contendenti, un’alleanza sostanziale che possa determinare l’esito del conflitto.
Il Grande Impero Coreano alla fine del sec. XIX secolo non poteva realizzare nessuna di queste due condizioni; e a causa della sua debole forza, non poteva impedire a Russia e Giappone di scendere a compromessi per i quali la Penisola fosse danneggiata. L’unica speranza era dichiarare la neutralità, sperando di assumere una posizione attendista in cambio della misericordia del Paese vittorioso.
Il risultato fu che dopo lo scoppio della guerra russo-giapponese, la Corea del Sud fu rapidamente occupata de facto dall’esercito giapponese, divenendo poi un protettorato di quest’ultimo a tutti gli effetti, e alla fine perse la sua indipendenza. La strategia di equilibrio dichiarò un completo fallimento per la ragione di non avere una forza militare o deterrenti consimili che potessero “spaventare” i potenziali avversari.
Ad essere onesti – senza una forza militare valida – che si tratti della dinastia Goryeo (918-1392, da dove deriva il toponimo esterno Corea), o del Grande Impero Coreano (1897-1910), la «strategia dell’equilibrio» è estremamente difficile.
È stato quasi impossibile che i governi indipendenti che si sono succeduti nella Penisola – trovatasi in mezzo a potenze intercontinentali quali la Russia e la Mongolia, e poi la Cina e il Giappone) prendessero l’iniziativa nella competizione geopolitica del Nord-Est asiatico. La ragione fondamentale risiede nel fatto che, a differenza degli “equilibratori” di successo nella storia delle relazioni internazionali (al pari della Gran Bretagna nel sec. XVIII), i governi della Penisola, a causa della sua particolare posizione geografica e della sua debole forza, non potevano reggersi in una posizione relativamente distaccata.
I più deboli stabilivano alleanze per prevenire l’insorgere di una situazione di potere esterno. Tuttavia, l’esiguità territoriale della Penisola, la povertà della gente e il forte ritardo nel ritmo della modernizzazione, resero impossibile una scalata di livello, tale da raggiungere la stabilità dell’indipendenza. Pertanto, la migliore soluzione di questa «strategia dell’equilibrio» attuata dal governo peninsulare alla fine del sec. XIX fu quella di rendersi importante oggetto di scambio nella competizione tra le maggiori potenze, al punto che il suo fallimento portò direttamente alla perdita completa dell’indipendenza (anche formale) per il prima volta nella storia plurimillenaria della Corea.
Con la fine della seconda guerra mondiale, la presenza militare degli Stati Uniti d’America e dell’Unione Sovietica nella Penisola coreana, e l’emergere della guerra fredda mutarono la struttura politica della Penisola. Essa fu divisa per la prima volta nella storia in due parti opposte. Durante la guerra fredda, la RPD della Corea (nord) la Repubblica di Corea (sud) sono state a lungo ostili, sono appartenute a diverse alleanze politiche e militari, e dominate da Stati Uniti d’America (sud) e Unione Sovietica (nord).
Gli Stati Uniti d’America facevano affidamento sulla parte meridionale della Penisola per garantire la sicurezza del Giappone: loro avamposto e cosiddetto «frangiflutti della democrazia in Estremo Oriente», e per impedire alle forze comuniste di entrare nell’Oceano Pacifico Occidentale.
Anche l’Unione Sovietica considerava indispensabile la conservazione dell’avamposto del campo socialista in RPD di Corea, in quanto poteva difendere il passaggio dell’URSS verso la Manciuria meridionale e il Mar Giallo.
Ancora una volta direttamente colpita dagli atteggiamenti politici di queste due superpotenze, la Penisola coreana diventò l’antemurale della guerra fredda in Estremo Oriente, con la nota guerra su cui sorvoliamo.
Durante la guerra del Vietnam, la Corea del Sud prese l’iniziativa di inviare soldati per sostenere gli Stati Uniti d’America e dal 1965 al 1973, le truppe mandate da Seul erano le più numerose straniere dopo le forze armate della Casa Bianca.
Al contempo la RPD di Corea – dopo il ritiro delle forze sovietiche nel 1948 e all’indomani della guerra di Corea (1950-53) – preferì indirizzarsi al sostegno di movimenti di liberazione afro-asiatici.
Dalla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, con l’implosione dell’Unione Sovietica e la cessazione della guerra fredda, la RPD di Corea si ritrovò il già alleato sovietico, e poi russo, indebolito, e al contempo gli Stati Uniti d’America rafforzati anche a sud del confine della Corea Popolare.
Era necessario creare un deterrente che tenesse lontane le potenze ostili e garantisse l’indipendenza del Paese, con alle spalle i fallimenti dei governi coreani precedenti. E questo per non finire, dopo, come le Repubbliche delle Banane e gli Stati-casa-da-gioco, in numero elevato in America centrale e caraibica. L’atomo restava la sola soluzione a quest’alternativa di disfacimento etico-politico.
Per cui gli esperti da bar prima di proferire parole a caso e pronunciare corbellerie, è bene che prima si leggano la storia di Paesi e popoli, onde non ritrovarsi con le mani piene di sangue, versato da terzi.
Giancarlo Elia Valori