La villa di Livia a Prima Porta, XV municipio di Roma, che le fonti latine chiamano ad gallinas albas e dove nel 1863 fu trovata la statua in marmo di Augusto in abiti militari oggi ai Musei Vaticani, è esemplare dell’esito fallimentare della gestione Franceschini dei beni culturali statali, di cui la capitale vanta una straordinaria concentrazione. L’area archeologica in questione, sita nel parco comunale, non è segnalata esternamente in alcun modo. Da nessuna parte, inoltre, neppure nel minuscolo antiquarium ad essa limitrofo, è presente alcuna riproduzione della celebre scultura del primo imperatore romano (esiste persino un’incisione che rappresenta vividamente il trasporto della statua alla volta di Roma ma a Prima Porta non ce n’è traccia), né un’immagine della consorte Livia Drusilla, alla quale il complesso residenziale affacciato sulla Flaminia appartenne, e neppure delle belle pitture murali raffiguranti un giardino strappate al triclinio semipogeo nel 1951, oggi esposte al Museo Nazionale di Palazzo Massimo.
Un senso di indolente abbandono e di trascuratezza pervade tutta l’area archeologica, il cui straordinario fascino naturale, paradossalmente, ne risulta accentuato. La villa di Livia (e la sua comunicazione sui social) è però ben lontana dagli standard qualitativi richiesti dalla fruizione pubblica dei luoghi della cultura a gestione statale, siano essi ad ingresso gratuito, come questo, o a pagamento, e non può svolgere al meglio, perciò, la funzione di stimolo alla coscienza civile per cui la tutela del patrimonio storico-artistico nazionale è annoverata tra gli interessi costituzionali prioritari. È un gioiello coperto da uno spesso strato di fango. A ridurla così, a spegnere ogni scintilla non è la mancanza di una gestione esternalizzata, come vorrebbe la vulgata filo-franceschiniana, bensì il totale disinteresse del Ministro della Cultura per la propria missione istituzionale, a Prima Porta come altrove. Consentire la riduzione della pianta organica del MiC alla metà, com’è stato fatto, tarpa le ali ad ogni vocazione progettuale e, per carenza di personale più ancora che di fondi, trasforma la mancata manutenzione in mancato restauro e il mancato restauro in ruderizzazione di ritorno.
Roma (e con Roma l’Italia) non può permettersi più a lungo un simile pressappochismo, uno spreco di risorse e di opportunità che, se colte, le varrebbero prestigio, lavoro, turismo, ecc. Ho segnalato alla Soprintendenza responsabile, con una nota di ieri, un lungo elenco di criticità che saltano all’occhio dell’utente medio della straordinaria villa “alle galline bianche” e abbassano la qualità dell’esperienza di visita per i fruitori normotipici – molti disabili, non esclusi espressamente, lo sono di fatto – ma non è accettabile che i cittadini italiani, ai quali beni come quella appartengono a titolo di sovranità, continuino ad assistere alla rovina di tale patrimonio per la scelleratezza di un ministro non solo inadeguato al compito ripetutamente affidatogli ma sempre pronto a compiacere i peggiori avversari di una corretta e proficua gestione dei beni culturali pubblici pur di assecondare le proprie ambizioni personali.
Margherita Corrado (Senato, Gruppo Misto e Candidata a Sindaco di Roma)