Iran: Inaugurazione di Raisi: L’inizio una nuova era di crescente oppressione

Iran: Inaugurazione di Raisi: L’inizio una nuova era di crescente oppressione

Questo giovedì è stato il giorno dell’inaugurazione del nuovo presidente del regime iraniano, Ebrahim Raisi. Arriva in un momento in cui innumerevoli iraniani sia all’interno dell’Iran che in tutto il mondo stanno ricordando le 30.000 persone uccise tra luglio e settembre del 1988, molte delle quali su ordine di Raisi. Il coincidere di questi eventi rafforza il messaggio che è stato presentato alla comunità internazionale da vari gruppi per i diritti umani e dalla Resistenza iraniana subito dopo l’ “elezione” di Raisi il 18 giugno: Promuovendo i suoi peggiori violatori dei diritti umani, il regime iraniano sta dimostrando la sua fiducia di ottenere impunità di fronte a tutte le sue attività maligne.

L’ascesa di Raisi alla presidenza fa parte di una lunga serie di casi in cui funzionari del regime ricevano incarichi sempre più influente nel governo e nell’industria, nonostante il loro coinvolgimento nel massacro del 1988 o proprio a causa di esso. Prima di essere presentato come il candidato preselezionato nelle recenti elezioni presidenziali fasulle, Raisi è stato nominato capo della magistratura dal leader supremo del regime Ali Khamenei. Se ci fosse qualche dubbio sull’intenzione dietro la scelta di un tale individuo come capo della parte del governo che è responsabile del suo sistema giuridico, dovrebbe essere dissipato dal fatto che entrambi gli uomini che hanno servito come ministro della giustizia nell’amministrazione dell’ex presidente del regime Hassan Rouhani erano anche ben noti partecipanti al massacro del 1988. Raisi, Macellaio del massacro del 1988 in Iran.

Uno di loro, Mostafa Pourmohammadi, ha rilasciato interviste ai media statali verso la fine del suo mandato e ha difeso apertamente quel massacro, arrivando persino a dichiarare che era orgoglioso di aver contribuito a eseguire “il comando di Dio”. Quell’ordine, secondo Pourmohammadi e altri funzionari attuali ed ex, ha portato all’esecuzione sistematica di persone affiliate al principale gruppo di opposizione pro-democrazia, l’Organizzazione Mojahedin del Popolo dell’Iran. Riflette direttamente la fatwa che ha incitato il massacro, in cui il fondatore del regime, Ruhollah Khomeini, ha dichiarato che tutti i membri del MEK e altri oppositori del sistema teocratico erano colpevoli di “inimicizia contro Dio”.

Questa sentenza prevede la pena di morte, ed è stata applicata in innumerevoli occasioni nei 33 anni successivi per giustificare l’esecuzione di chiunque mostri la minima simpatia per il PMOI, anche solo distribuendo la sua letteratura o donando soldi alla rete televisiva satellitare dell’opposizione. Non c’è dubbio che l’applicazione di tali sentenze si accelererà nell’era che è iniziata giovedì con l’insediamento di Raisi.

Già, come capo della magistratura, ha supervisionato una maggiore applicazione della pena di morte in un paese rinomato per il suo tasso di esecuzioni pro capite leader nel mondo. E quando i residenti di quasi 200 città e paesi iraniani hanno inscenato una rivolta nazionale nel novembre 2019, Raisi ha giocato un ruolo di primo piano nella conseguente repressione, che ha visto 1.500 persone uccise e migliaia di altre sottoposte a tortura dopo arresti di massa. La sua promozione alla seconda carica più alta del regime dà a Raisi ancora più potere per dirigere le autorità verso risultati che ricordano in modo agghiacciante il 1988.

Inoltre, il nuovo presidente del regime avrà ampie giustificazioni per esercitare questo potere, dal momento che l’Iran è stato scosso da nuovi disordini nel periodo prima del suo insediamento ed è all’apice di un’altra rivolta molto simile a quella che ha avuto luogo meno di due anni fa. Alcuni di questi disordini hanno avuto luogo il giorno stesso dopo “l’elezione” di Raisi e hanno messo in chiaro la condanna pubblica della sua candidatura che ha anche trovato sfogo in un boicottaggio di massa delle urne. Meno del dieci per cento della popolazione iraniana ha partecipato alla votazione strettamente controllata. Rifiutando di votare, molti di loro hanno implicitamente approvato il messaggio delle “Unità di resistenza” del PMOI che hanno promosso il boicottaggio come un mezzo per “votare per il cambio di regime”.

l sostegno al cambio di regime era già stato reso esplicito nella rivolta del novembre 2019 e in una precedente rivolta del gennaio 2018. In entrambi i casi, i partecipanti di tutti i ceti sociali hanno cantato “morte al dittatore” e hanno chiesto un’alternativa al “gioco” politico che le fazioni politiche principali dell’Iran hanno giocato per gran parte degli ultimi 40 anni. In alcune delle più recenti proteste, scatenate dalla carenza d’acqua nella provincia di Khuzestan, la gente ha ribadito ed elaborato questo sentimento, spesso affermando chiaramente: “Non vogliamo la Repubblica Islamica”.

La presidente eletta dell’opposizione iraniana, Maryam Rajavi, ha recentemente sottolineato che l’era Raisi sarà caratterizzata da un aumento senza precedenti di “ostilità e inimicizia tra il regime iraniano e la società”. Gli inizi di questa tendenza si vedono oggi nel Khuzestan e in più di una dozzina di altre province, ma la comunità internazionale deve riconoscere che viene accompagnato da una tendenza di repressione violenta da parte dei funzionari iraniani. Almeno una dozzina di partecipanti alle proteste in corso sono già stati uccisi, e gli arresti di massa che li accompagnano sollevano fondate preoccupazioni che l’intero regime aiuterà presto Raisi ad aggravare il retaggio  della sua condotta nel 2019 e forse anche nel 1988.

Gli ultimi anni hanno dimostrato in modo molto chiaro che il popolo iraniano si opporrà a tale repressione e molto probabilmente la userà per alimentare ancora più disordini e rivolte.

Ma questa non è una giustificazione che permette le potenze occidentali a stare a guardare mentre Teheran uccide le persone che gridano per la libertà e premia le persone che hanno perpetrato crimini violenti contro l’umanità per conto del regime. La comunità internazionale deve indagare formalmente su quei crimini e valutare la possibilità di perseguire i loro autori, se non altro per mettere in chiaro che una condotta simile non sarà trascurata in questa era che è appena iniziata.

 

 

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