Si parla continuamente dell’importanza del digitale, e di quanto sia necessario trasformare il nostro Paese, ed in particolare le imprese e le pubbliche amministrazioni, verso modelli nuovi basati sulle tecnologie moderne.
In realtà in questo ultimo periodo si è consumata una vera e propria trasformazione digitale della nostra società, e nel bene o nel male siamo tutti coinvolti. È possibile riscontrare questo cambiamento nel momento in cui le libertà analogiche sono diventate essenzialmente esperienze digitali durante lo stato di emergenza e lockdown da COVID-19. Oltre a ciò, perfino una parte sostanziale della nostra identità è ora digitale.
Il lavoro, il divertimento, la comunicazione e le relazioni sociali sono attività che hanno subito un mutamento sostanziale essendo trasferite prevalentemente on-line. Le nostre impronte digitali si sono diffuse e continuano a diffondersi su internet in modo esponenziale e con un disordine solo apparente, che lascia facilmente comprendere, a mani esperte di tecnologie, chi siamo, il nostro carattere, i nostri gusti, le nostre abitudini, etc… Il flusso di dati diffuso on-line da ciascuno di noi, durante la pandemia, ha mobilitato tempestivamente l’interesse di molte imprese e governi, considerato che le nostre interazioni digitali e i relativi dati hanno un valore incalcolabile, e non solo per l’enorme quantità cui si fa riferimento, ma anche per la correlata e prima impensabile qualità delle informazioni rilevate. In pratica il trascorrere ore on-line, per lavoro e per divertimento nonché per azzerare le distanze fisiche con i nostri cari, sta costruendo un importante aggregato di dati e di sfumature sui comportamenti e i pensieri umani, che stanno accelerando i processi di “machine learning” in modo esponenziale.
Questo ormai “infinito database di informazioni personali, caratteriali e comportamentali” tocca, inconsapevolmente, anche aspetti psicologici profondi del nostro vivere quotidiano, e getta le basi affinché l’intelligenza artificiale possa effettivamente svilupparsi, attraverso un addestramento basato su milioni di miliardi di nostre “azioni e pensieri” nella rete. Mai prima d’ora avremmo pensato di aiutare la tecnologia a sapere così tanto su di noi e soprattutto ad imparare da noi e dai nostri modi di fare e di essere.
Ciò sta avvenendo, in un contesto di necessità dovuto all’emergenza pandemica ancora in atto, spesso senza una effettiva consapevolezza dovuta alla scarsa conoscenza e anche alla scarsa trasparenza informativa, che ha consentito anche di superare, in molte circostanze ed anche in modo quasi scontato, uno dei più importanti diritti che l’uomo possa oggi avere: la privacy.
Inoltre cosa che deve far sempre più riflettere è che, in questo momento di emergenza pandemica, mentre da un lato lo Stato dimostra il suo potere analogico fermando (in un certo senso) la realtà e confinando per molto tempo la cittadinanza nelle loro abitazioni, paralizzando inevitabilmente anche l’economia, dall’altro il mondo on-line sembra essersi liberato del controllo e della sovranità dello Stato.
Quindi è emersa una nuova realtà parallela che ha sostituito quella fisica e preso sempre più piede perché ciascuno di noi trascorre sempre più tempo on-line.
Le grandi aziende tecnologiche dominano sempre più questa realtà virtuale, che continua ad espandersi grazie anche alla costante crescita del traffico di dati on-line ed è sempre più difficile per i governi seguire, anticipare e regolamentare i cambiamenti sociali che seguono le innovazioni introdotte dal digitale nei comportamenti dell’uomo.
In questo contesto, uno dei fattori fondamentali su cui prestare attenzione è che, senza il controllo democratico su questo processo di emancipazione tecnologica, si possono correre elevati rischi per la democrazia. È necessario anche effettuare un’analisi approfondita di ciò che sta accadendo a livello di società: immaginando un insieme di nuovi diritti, regole e garanzie che diano forma ad una effettiva e concreta cittadinanza digitale, che sia in grado di conciliare, in modo efficace, la tecnologia con la libertà. Ma questo non basta.
Occorre anche lavorare per diffonderne la relativa cultura in tutti i Paesi, in modo da ridurre le disuguaglianze che, in molti casi e soprattutto nei Paesi più poveri, il digitale contribuisce invece ad aumentare.
In questo senso, è essenziale pensare ad una società in cui il consumo di digitale sia comunque centrato su un’etica per l’umanità.
Andando verso il futuro vi è quindi sempre più la necessità di stabilire le basi per un rinnovato umanesimo. Ed in questo senso è importante dare garanzie normative per quella che è e che sarà sempre più una società digitale, in modo da tutelare ciascun individuo da quelli che possono essere gli effetti negativi di una sempre maggior esposizione dell’uomo alle tecnologie e, al contempo, di una quasi certa ed irrefrenabile ricerca di una “umanizzazione” delle macchine.