L’italiano è la lingua come codice identitario di una antropologia simbolica. Tuteliamo la nostra lingua

Pierfranco Bruni

I miei incontri i miei viaggi alla ricerca del segno italico sono stati e sono simboli per affermare un codice che è quello della lingua. L’italiano come premessa di una affermazione di identità attraverso la letteratura. La bellezza della “bella” parola è  modulo identitario che è appartiene alla mia formazione tra letteratura e antropologia.

La lingua italiana occupa la quarta posizione tra le lingue del mondo. Un fatto non relativo e altamente positivo in un tempo in cui si cerca di recuperare anche la forma dialettale delle lingue, creando delle contaminazioni.
La lingua italiana, nata da un contaminato di linguaggi, diventa un punto fermo all’interno di quei processi culturali in cui la comunicazione del linguaggio è comunicazione antropologica, sociologica, linguistica, arrivando ad occupare un’interrelazione all’interno del contesto mondiale significativo.

Ho attraversato diversi percorsi visitando molti paesi, portando la lingua italiana nel mondo dal Sud America ai Paesi balcanici e mi sono reso conto che c’è stata sempre una forte simpatia e vicinanza non solo alla lingua italiana, ma soprattutto alla cultura italiana. La mia Istanbul è il centro, ovvero Costantinopoli, ovvero Bisanzio, del popolo in lingue nella geopolitica tra Oriente e Occidente.

Ciò significa che il modello greco-latino occidentale, sul piano culturale e linguistico, non solo è conosciuto ma studiato attentamente.
La storia di un popolo, di una civiltà, di una visione identitaria ha permesso di leggere tutta una realtà storica e linguistica. La realtà storica si forma sui processi culturali che, a loro volta,  nascono da visioni e da interpretazioni  linguistiche.

La lingua è comunicazione. Attraversare una lingua significa attraversare e conoscere una cultura.
La conoscenza di una lingua, o l’apparentamento nei confronti di una lingua, ci porta ad approfondire le radici di quella determinata lingua. Le radici della lingua italiana sono all’interno di un processo profondamente occidentale.

La lingua italiana, al di là del dibattito sul “De vulgari eloquentia”, sul Bembo e sulla questione linguaggio – Manzoni, che hanno permesso di sviluppare un percorso tra la lingua latina e la lingua volgare, ha dato il segno tangibile di come una lingua possa svilupparsi all’interno di una dimensione storica.
Il dibattito sulla lingua in Italia ha sempre tracciato e lasciato dei segni indelebili, dal 1200 – 1300 fino al percorso bembiano. Il Rinascimento nasce all’interno di una civiltà delle culture, ma anche attraverso il dibattito di Bembo sulla questione della centralità della lingua.

Un processo che è possibile verificare anche nei secoli successivi. La lingua barocca, che ha avuto origine all’interno del contesto lessicale semantico barocco, ha come dimensione le culture barocche che si sviluppano dal Regno di Napoli fino a tutta l’Europa e in seguito anche in Brasile. Si pensi al barocco brasiliano che parla il linguaggio che era del Regno di Napoli, fino ad arrivare al grande dibattito leopardiano sulla lingua contestualizzata nella temperie tra Leopardi e Manzoni.

Con Manzoni si unifica un concetto di lingua omogenea che non resterà mai tale, perché sono i dialetti che insistono. Ecco perché ho sempre sostenuto che la lingua italiana è il concentrato dei dialetti, quando il dialetto assume l’identità di una comunità. L’attuale discussione sulla lingua italiana come quarta realtà comunicativa del mondo, lascia intendere che questa realtà ha assorbito tutte le dimensioni storiche, politiche di un Occidente che è stato un Occidente Mediterraneo italiano.

Quando Cristoforo Colombo va nelle Americhe si porta dietro il dialetto genovese, il dialetto ligure, il dialetto veneziano e tutto un contesto pre-rinascimentale della cultura umanistica. Quindi, dentro questo rapporto tra cultura umanistica rinascimentale, porta nelle Americhe una storia che è quella della civiltà dell’Occidente e del Mediterraneo italiano.

Oggi si riscopre questa visione della lingua italiana e si riscopre, accanto alla lingua italiana, la cultura italiana. Si pensi alla letteratura. Alle grandi personalità che hanno disegnato la geografia culturale mondiale. Da Dante a Machiavelli. Da Machiavelli a D’Annunzio. Personalità che hanno parlato la lingua italiana pur attraverso le dimensioni del dialetto e si sono innescate all’interno di quelle realtà e nazioni che hanno avuto la volontà, la possibilità e la capacità di approfondire una comparazione o una contaminazioni di culture.
Non mi meraviglio affatto che la lingua italiana sia considerata la “lingua di mezzo”. Anzi, ritengo che possa essere considerata anche la seconda o terza lingua, perché la lingua non viaggia mai da sola, ma sempre accanto a delle definizioni a delle contestualizzazioni culturali.

Dante è studiato in tutto il mondo, esattamente come Manzoni. Queste particolarità sono parti integranti di un processo di civiltà. La cultura latina la troviamo dappertutto. Ovidio, per esempio, è la personalità che ha disegnato una dimensione ben definita all’interno di una visone culturale. Bisogna ragionare su questi aspetti e promuovere sempre più la cultura italiana nel mondo attraverso un investimento sulle culture: dalla letteratura alla scienza.

La lingua della scienza è un simbolo ed ha una materialità numerica attraverso forme ben definite, come ho sottolineato nel mio “Panacea letale”, edito da Ferrari, ma con il linguaggio degli scienziati italiani, come Ettore Majorana, l’identità di una civiltà è diventata il portato di un dialogo sempre più incisivo nei processi di una espressione comunicativa oltre la semantica stessa.

La semantica è non un empirismo ma un sostegno filosofico del dato empirico. Una filosofia. Ciò ha una tradizione precisa che è quella nata nella cultura civiltà appartenenza Greco – Latina.

 

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