Il Dante di Pierfranco Bruni nel suo “Raggio divino” è una lettura coraggiosa

Annarita Miglietta*

L’opera del sommo poeta «patrimonio universale», oggi, viene ripercorsa nel coraggioso libro dal titolo “Raggio divino” di Pierfranco Bruni, edito, in bella veste, dalla casa editrice Pellegrini. La chiave tematica dell’intero volume, come è ben evidente fin dal titolo, è “Dante. Raggio divino”. Il poeta fiorentino, che illumina la tradizione linguistico-letteraria, in particolare, ma anche quella artistico-culturale, in generale, italiane e straniere, a partire dai suoi esordi fino ai nostri giorni. Dante, l’autore dell’imponente opera, che Bruni suggerisce: «Potrebbe chiamarsi soltanto Divina. Non legare la Commedia al divino. Oltre tutto è il tragico che si intaglia nella Commedia. Tragedia divina? Forse sì. Anche se le stelle sono la luce di ogni chiesa e il cielo stellato sopperisce il cielo nero. Ma all’interno è il tragico che domina».
L’articolazione complessa del volume affronta tematiche care all’Alighieri, viste anche attraverso gli studi condotti in Spagna, in special modo a partire dal secolo scorso. Infatti, sostiene Rossend Arqués (2011): «La ricezione di Dante in Spagna registra una forte impennata nei periodi relativi ai due anniversari del XX secolo, quello del 1921 e quello del 1965, se non altro nel campo delle edizioni della Commedia e della Vita nuova, ivi comprese le riedizioni di vecchie quanto apprezzabili traduzioni ottocentesche»  Ma non solo. Perché, anche la critica dantesca spagnola ha fatto scuola, per esempio, con il “saggio di MiguelAsín Palacios (1871-1944), La escatología musulmana en la Divina Comedia (del 1919, ma pubblicato nel 1943 insieme alla Historia y crítica de una polémica) che fino a pochi anni fa era considerato lo studio più importante del dantismo spagnolo contemporaneo. Esso ha generato, al di là delle critiche ricevute e del silenzio posteriore da cui è stato avvolto, un nuovo approccio alla Commedia che qualche decennio fa è stato riscoperto in Italia, suscitando l’interessamento di filologi come Maria Corti, in quanto paradigma “multiculturale” di cui servirsi nell’interpretazione della Commedia e dei testi medievali; e l’interessamento della filosofa María Zambrano…» .
Tra questi oggi  va annoverato certamente Bruni. L’autore infatti nei suoi saggi ripercorre, abbracciandola, l’esegesi di Maria Zambrano, la filosofa che accomuna l’esperienza d’esilio di Dante alla sua. Un’esperienza di peregrinazione che non è soltanto condizione personale, ma anche, e soprattutto, metafora della dimensione esistenziale dell’uomo. Perché Dante è visto, dalla filosofa spagnola, come «specchio umano» in quanto trait d’union tra «tutte le cose esistenti» ed espressione massima della condizione umana. Dice del sommo poeta Elena Laurenzi: «fin qui può abbassarsi l’uomo, fin lì può ascendere (…). L’uomo riflette nel suo cuore la divinità»  e grazie alla ragione può peregrinare attraverso mondi trascendenti ed immanenti. Ed è proprio attraverso la peregrinazione, l’esilio – che per il suo alimentarsi di silenzio può ben essere paragonato al misticismo – che l’uomo raggiunge la conoscenza e approda in luoghi dove l’essere si disvela. Un peregrinare quello dell’esilio che non è soltanto del corpo, ma anche del cuore e della mente. «Quel peregrinare iniziò fin dal giorno in cui, avendo poco più di nove anni, vide Beatrice che ne aveva nove. E quello della sua stessa patria, l’Italia pellegrina che non trova sede né assetto, esiliata da se stessa. Questo triplice peregrinare, quello del suo esilio, quello del suo cuore in cerca di un alimento adeguato e nutriente, vivificante, che trovò solo nelle sue visioni di amore-conoscenza, il peregrinare dell’Italia nella sua storia, gli dette libertà e animo, ma anche la solitudine e il distacco necessari per votarsi alla sua opera» . In un viaggio misterico ed esoterico che coniuga cristianesimo e islamismo, tema anche questo caro alla filosofa spagnola, che, ravvisando fonti musulmane nell’escatologia della Divina Commedia, interpreta il cammino dantesco come un percorso che porta verso l’aurora, la rinascita, in una sorta di rituale iniziatico, dove la figura di Beatrice è fondamentale. Infatti, ancora Zambrano ricorda che già ne La ‘Vita Nuova’ «appaiono parole rivelatrici del fatto che l’amore lo condusse fino ai confini estremi della vita, che si tratta di un amore che trasforma, che di un semplice uomo quale era Dante fa un uomo nuovo; un amore che lo portò a morire e rinascere», e «Beatrice manifesta e veglia a un tempo un’esperienza di conoscenza amorosa che secoli dopo si sarebbe detta mistica» .
Un Dante, dunque, riletto in chiave differente da quelle proposte dalla critica canonica. Un Dante riscattato così dalla filosofia aristotelica medievale, inserito in uno spazio e in una nuova dimensione che passa attraverso la lettura de ‘L’esoterismo di Dante’ di René Guénon (1925). Dante che «indica in modo molto esplicito che nella sua opera vi è un senso nascosto, propriamente dottrinale, di cui il senso esteriore e apparente è soltanto un velo, e che deve essere ricercato da coloro i quali sono capaci di penetrarlo.»  Ed il senso esoterico, quello più profondo rispetto agli altri tre – il letterale, il filosofico-teologico ed il politico-sociale – Guénon esplora nel suo scritto, «poiché esso è come il loro principio, nel quale la loro molteplicità si coordina e si unifica». Ricorda con saggezza Bruni: «L’ermetico – alchemico – esoterico di Guénon al quale, non volendo, fa riferimento anche il Pascoli della poesia».
Proprio percorrendo queste interpretazioni, sulla scia di queste prospettive, si muove Pierfranco Bruni che le fa sue, andando oltre, avanzando nuovi proposte di lettura, illuminato da nuove intuizioni.
Per esempio, se Zambrano aveva riscontrato analogie tra la Beatrice dantesca e la Dulcinea di Cevartes, con un volo pindarico Bruni approda a Raffaello. L’Urbinate, quello «delle madonne che diventano donne o delle donne che diventano madonne». Raffaello che ne La Velata riprende la Beatrice velata dantesca, in quelle contaminazioni culturali care, così come dice Bruni, a Dante e rivisitate dall’Urbinate: «Perché, se in Dante c‘è questa visione di un Oriente persiano, in Raffaello c’è il recupero di una teologia che supera l’immaginario stesso dell’Oriente, anche se i colori in Raffaello restano profondamente marcati all’interno di un percorso onirico che è quello degli Orienti».
Bruni si sofferma anche su alcune manifestazioni poetico-letterarie del nostro Novecento, quello per esempio di Pascoli e di D’Annunzio, i cui moduli stilistico-contenutistico vanno oltre Dante e la donna angelicata stilnovista di Guinizzelli, al quale è dedicato anche un intero capitolo. Guinizzelli ricordato, con le parole di Rossi, come colui che ha rinverdito «un topos ben noto alla tradizione occitana, quello della dama che rischiara il buio con la sua aurea»  e che ha lasciato un’importante eredità che giunge sino all’intreccio post ermetico di Ungaretti, dimostrando «che nel Novecento la testimonianza di Ungaretti è una testimonianza che conta, non soltanto sul piano del linguaggio (non ci si dovrebbe mai stancare di ripeterlo), ma anche sul piano dei valori. La sua “terra promessa” è una terra che domanda, che chiede, che pone interrogativi ma mai illude».
Nel suo fluire vorticoso di riflessioni critiche, l’autore ragiona non soltanto di letteratura, ma anche di arte, di pittura. Scrive per esempio di Tiziano, di El Greco: il Cristo di quest’ultimo «è il pensiero dominante di una dimensione cosmica. In una tale dimensione il viaggio escatologico di Dante si mostra tutto proprio attraverso la figura-personaggio di Beatrice». Bruni, con continue suggestioni, dettate dal suo animo di fervente critico ci porta, quindi, a riflettere su San Francesco, il capostipite della letteratura novecentesca (quella di Rebora, Onofri e Ungaretti, ma anche di Comi, Fallacara, Betocchi, Luzi, Grisi, Turoldo, Testori) che ne ha vissuto il messaggio e condiviso idee e valori. Il poverello d’Assisi che con Chiara è riferimento d’amore. “Sono (Chiara e Francesco) amanti della pietà delle misericordia e della bellezza. Gli amanti dei Cantici sono il cuore dell’amore. Ovvero, ecco Dante!”.
Ma l’opera di Bruni non si ferma qui, arrivando al Ventunesimo secolo. L’analisi in questi saggi bruniani è motivo di riflessione delle abusate pratiche antologiche, tante care ad una scuola che non fa vivere l’ampio respiro, la vasta portata di movimenti letterari, prediligendo sterili lezioni su “frammenti” riduttivi e mortificanti di opere imponenti, meritevoli di ben altri approcci. Così, l’autore chiede: «Ai docenti di non attraversare le antologie, ma di leggere gli scrittori e i poeti direttamente e agli antologizzanti di rivedere le loro posizioni di ogni genere o di ogni struttura». E tante altre riflessioni che tra lingua, stile e contenuti portano a scandagliare le più remote realtà del nostro inesauribile patrimonio letterario, attraverso ragionamenti complessi e di ampio respiro.
Insomma un testo di saggi coraggiosi, alimentati dalla penna appassionata e al limite, in certi passaggi, della provocazione (valga per tutti Dante e i pontefici del Novecento), in cui viene affrontata ed indagata l’opera dantesca nella sua trasversalità, con spunti intellettuali stimolanti per ricerche future.
Il volume dopo la riproposizione di alcuni testi di Conoscenze e di eresia di Ernst Jünger, Verso l’immortalità Rimbaud Arthur, si chiude con alcuni versi di De André tratti da Preghiera in gennaio (1967) e Tre madri (1970), quasi a suggellare il percorso critico di Bruni che, in altra sede, osservava come «con Dante De André [recuperi] tutta la ballata provenzale, Cecco Angiolieri sino al tardo Medioevo. Letteratura e musica sono un linguaggio non dell’oltre (ovvero che va al di là del quotidiano) ma del profondo. Ci sono in questo linguaggio, per restare  alla letteratura e alla musica, delle memorie sommerse che catturano metafore e realtà, luoghi e un sentire attraverso scenari che creano ombre e maschere, appartenenze e dimensioni oniriche. C’è uno speciale incontro tra due personaggi che hanno realizzato dei riferimenti unici ma nello stesso momento universali». Dante è anche questo.

*Annarita Miglietta, Docente Unisalento Lecce

 

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