Il nuovo libro di Eliana Liotta (La Nave di Teseo) in uscita l’8 aprile 2021. In collaborazione con European Institute on Economics and the Environment (EIEE) e con Progetto EAT della Fondazione Gruppo San Donato.
Esiste un cibo che è allo stesso tempo gentile con il corpo e con il pianeta. È un cibo intelligente, adatto all’Antropocene, l’epoca geologica in cui sono gli esseri umani a influenzare gli eventi della terra. Il cibo che ci salverà, come racconta l’autrice best seller Eliana Liotta nel suo nuovo libro, dimostra quanto sia indispensabile una svolta ecologica a tavola per aiutare la terra e la salute.
Per salvare l’ambiente non basta più, anche se aiuta, andare in giro in bici, comprare un’auto ibrida e ricordarsi di spegnere le luci. Non è sufficiente pensare solo a petrolio e carbone, come avverte l’Onu. Il riscaldamento globale non potrà arrestarsi senza modificare il sistema alimentare, da cui dipende un terzo delle emissioni di gas serra, responsabili dell’aumento delle temperature.
Ma l’aspetto straordinario di una svolta ecologica a tavola è che i pranzi e le cene invocati per frenare l’inquinamento e il clima impazzito sono esattamente gli stessi che proteggono la salute e che potenziano il sistema immunitario. Tendiamo a dimenticarcene: siamo parti del tutto. E oggi il cibo rappresenta una via per riformulare un equilibrio tra l’uomo e il pianeta.
Il cibo che ci salverà presenta per la prima volta una riflessione che parte da un approccio scientifico duplice, ecologico e nutrizionale, con la consulenza di due partner d’eccellenza: lo European Institute on Economics and the Environment (EIEE, Istituto europeo per l’economia e l’ambiente) e il Progetto EAT della Fondazione Gruppo San Donato.
Cinque le diete proposte, sia ecocarnivore sia vegetali, capaci al tempo stesso di mitigare le emissioni inquinanti e di migliorare la linea e lo stato di salute. Centinaia le risposte offerte nel saggio alle curiosità sull’impatto degli alimenti, dagli allevamenti intensivi alla pesca, dalla coltivazione dell’avocado ai prototipi di bistecca sintetica.
Siamo quello che mangiamo e quello che mangiamo cambia il mondo.
Perché intervenire sul sistema alimentare: le basi scientifiche
Il riscaldamento globale non potrà arrestarsi se non si provvederà anche a modificare il sistema alimentare, ossia quello che mangiamo, allevamento, agricoltura, lavorazione, imballaggio e spedizione, da cui dipende un terzo delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo (studio su Nature dell’8 marzo 2021).
Per contenere nei prossimi anni il riscaldamento globale entro un grado e mezzo o due al di sopra dei livelli preindustriali, non è più sufficiente puntare solo sull’energia pulita e sulla 1. riduzione dei combustibili fossili nelle industrie e nei trasporti, ma è indispensabile una food revolution (Commissione intergovernativa sul cambiamento climatico dell’Onu, 2019).
Le quantità di gas serra che derivano dal bestiame, nel suo insieme, sono pari più o meno alle emissioni di tutti i camion, le auto, i velivoli e le navi del mondo messi insieme (stime Fao).
L’allevamento di mucche, pecore e capre è il responsabile principale delle emissioni di metano, gas prodotto durante la digestione dei ruminanti ed eruttato dagli animali, con un effetto serra superiore, e di molto, all’anidride carbonica prodotta dai trasporti e dalle industrie.
Si devastano immense aree di foreste per lasciare spazio agli allevamenti intensivi e ai terreni agricoli, spesso destinati alla produzione di soia come mangime per gli animali o di palme da olio per l’ingrediente di merendine e altri cibi ultraprocessati. Almeno tre i pericoli: vengono emesse grandi quantità di carbonio nell’atmosfera quando si abbattono gli alberi delle foreste; si devastano gli habitat naturali aumentando il rischio di insorgenza di nuove epidemie, perché si accorciano le distanze con gli animali selvatici; si eliminano polmoni verdi della terra.
Gli allevamenti intensivi contribuiscono anche alla formazione di polveri sottili, le PM 2,5, le particelle piccolissime in grado di penetrare nei polmoni e di immettersi nel sangue. In Italia, tra il 1990 e il 2018, è diminuito l’inquinamento dovuto ai trasporti su strada, all’industria e alla produzione energetica, ma è aumentata del 10% la quota legata alla zootecnia (indagine Greenpeace).
Se la popolazione dei paesi industrializzati riuscisse a raddoppiare entro il 2050 i consumi di vegetali e dimezzasse quelli di zuccheri, farine raffinate e carni rosse e trasformate, si frenerebbe il riscaldamento globale e si eviterebbero almeno 11 milioni e mezzo di decessi prematuri all’anno dovuti ad abitudini alimentari malsane (Commissione EAT – The Lancet).
La carne rossa fornisce solo l’1% delle calorie alla popolazione della terra, ma rappresenta il 25% di tutte le emissioni che derivano da agricoltura e allevamento (studio su Nature del 27 gennaio 2021). Parallelamente è aumentata la fame nel mondo e tra i fattori chiave ci sono la variabilità climatica e i fenomeni estremi (Fao).
Combattere lo spreco alimentare e puntare sull’innovazione, con un’agricoltura sostenibile o con sperimentazioni come quella sulla carne sintetica, sono tasselli fondamentali di un Antropocene intelligente.
Cinque diete consapevoli
Il tipo di cibo che si mangia è molto più importante del fatto che sia locale o biologico, così come del tipo di sacchetto che si utilizza per portarlo a casa dal negozio. Secondo le valutazioni dell’Onu, sono cinque le diete più note con un potenziale di mitigazione delle emissioni di gas serra e vantaggiose per la salute. Non bisogna rinunciare del tutto alla carne rossa per fare la differenza: si può scegliere di essere ecocarnivori, riducendone il consumo. Ma sono le fonti proteiche vegetali, come legumi, cereali integrali e frutta a guscio, le opzioni più rispettose del clima. In generale, un occidentale medio dovrebbe raddoppiare il consumo di vegetali rispetto ai suoi standard.
Dieta mediterranea: non esclude alcuna categoria alimentare, prevede vegetali in abbondanza, carne rossa solo una volta alla settimana e un consumo moderato di latticini.
Dieta carnivora climatica: all’interno di uno stile onnivoro, almeno il 75% del consumo di carne di ruminanti e di prodotti lattiero-caseari viene sostituito da carne di maiale, coniglio, pollo e tacchino. Difatti manzo, capretto, vitello e agnello hanno l’impatto climatico maggiore per grammo di proteine, mentre i vegetali tendono ad averne il minore. Maiale, molti tipi di pesce e pollame stanno nel mezzo, un po’ più su per impatto di carbonio i formaggi.
Dieta pescetariana: prevede il consumo di pesce ma non di carne e in qualche variante nemmeno di latticini.
Dieta vegetariana: esclude carne e pesce ma non uova, latte e latticini.
Dieta vegana: ammette solo fonti vegetali.
Autrice e partner scientifici
Eliana Liotta è giornalista e autrice di best seller come La Dieta Smartfood, tradotta in oltre 20 Paesi. Per La Nave di Teseo ha pubblicato L’età non è uguale per tutti, Prove di felicità e La rivolta della natura. Nel 2020 ha vinto il premio Montale per la saggistica, il premio Vivere a spreco zero e il premio Giuditta. Sul Corriere della Sera firma due rubriche settimanali: una su Corriere Salute e una su Io Donna. È vicepresidente del Teatro Dal Verme di Milano.
Lo European Institute on Economics and the Environment (EIEE, Istituto europeo per l’economia e l’ambiente) è il frutto della collaborazione tra il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e il think tank statunitense Resources For the Future (RFF). EIEE raccoglie un team internazionale di ricercatori e docenti che abbracciano molte discipline, dall’economia ambientale alla matematica applicata, dalla scienza del clima alla fisica dell’atmosfera. Il direttore è Massimo Tavoni, professore ordinario al Politecnico di Milano e autore di report delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Il Progetto EAT si concentra sull’alimentazione sostenibile, realizzando anche programmi di educazione alimentare nelle scuole, con l’aiuto di medici e nutrizionisti degli ospedali del Gruppo San Donato e dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Nasce all’interno della Fondazione Gruppo San Donato, presieduta da Gilda Gastaldi. L’organizzazione no profit, oltre alle attività di sensibilizzazione, promuove la ricerca biomedica e progetti scientifici d’avanguardia.