Lettera

Rispetto alle edizioni precedenti, la Festa delle donna 2021 si è sostanzialmente caratterizzata per la “preghiera” laica di abolire l’iva sugli assorbenti. Attualità a parte, la mitologia femminista ha tramandato per decenni il racconto che la data dell’8 marzo fu scelta alla seconda Conferenza internazionale di donne socialiste a Copenhagen, nel 1910, per commemorare la carneficina di oltre cento operaie di una camiceria di New York, intrappolate in un incendio appiccato dal padrone della fabbrica per vendicarsi di uno sciopero. Qualche anno fa si scoprì che, l’incendio non era riconducibile né a scioperi, né a serrate, che fece vittime anche fra gli uomini, e che soprattutto avvenne nel 1911, cioè un anno dopo Copenhagen. In realtà, l’istituzione dell’8 marzo come Festa della donna risale alla III Internazionale comunista, svoltasi a Mosca nel 1921, dove fu lanciata da Lenin come “Festa internazionale delle operaie”, in onore della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo. Il racconto di un 8 marzo istituito in memoria di un massacro frutto di odio classista e capitalista fu opera del Partito Comunista Italiano, che nel 1952, in piena Guerra Fredda, pubblicò la cronaca di questo incendio vero, ma manipolato in chiave anti-americana. La versione fu ripresa dall’Unione Donne Italiane, il settore femminile della Cgil, per organizzare quell’anno la festa dell’8 marzo, e poi dalla Cgil stessa, che vi ricamò ulteriormente, aggiungendo altri personaggi al racconto due anni dopo. La vicenda è indicativa dell’egemonia cercata, e alla lunga ottenuta, dalla sinistra italiana sulle false istanze delle donne. Se questa è la verità, ha senso festeggiare un’invenzione ideologica il cui unico scopo  è rottamare la tradizione del patriarcato e  ridurre al silenzio il genere maschile la cui unica colpa è essere nati maschi?

Gianni Toffali

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