Dante oltre la Rai. Leggiamolo senza mandare il cervello al macero del conformismo 

Pierfranco Bruni

Qualche sera fa su Rai Uno, rete ammiraglia, come si diceva una volta, é stato  mandato in onda uno Speciale Rai Cultura su Dante. Uno “speciale” veramente speciale per la futilità, le cose scontate, lo scolasticismo antologico dei fatti detti, e raccontati con una prosopopea da far rabbrividire. Quello  detto in Rai sarebbe Dante? No signori miei. Niente di nuovo.  Il ritratto del ritrito, espresso con il linguaggio di un  saputello da primo della classe. L’autore che parlava anche un po’ sopra le rughe, scusate le righe, da accademico sceso a interloquure con il popolo ignorante. Insomma, è stato mandato in onda un cattivo esempio di come approcciarsi a Dante.  Se questo é l’inizio della Rai su Dante siamo proprio scesi nel pensiero che non pensa. Ciò che é stato detto si trova su tutti i canali internet e sugli inutili testi scolastici.  Ma non voglio parlare di questo. Ma di un Dante altro o di  un  altro Dante, ovvero di un Dante pensiero. Punto!

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Dante deve molto a Saffo, soprattutto a Ovidio e ai Cantici. Il resto é da antologia scolastica.

Saffo! Cosa fu Saffo nel mio viaggio di scrittore? Fu la rupe soprattutto. Fu il dubbio. Fu Leucade. Fu, in particolare modo, il frammento del linguaggio. E poi? Non avrei percorso il mio Ovidio e la sua ricerca della bellezza senza l’estasi e la sensualità del veder tramontare la luna. Spesso ho visto la luna tremare al cospetto di un tramonto sul mare. Lì non c’era soltanto il dio e l’universo nei suoi Infiniti. Lì viveva il sublime della solitudine degli amanti, la mia Saffo.

Ovidio fu il racconto delle eroine e fu inevitabilmente l’esilio dei “tristia” che non ebbe mai consolazione. Saffo conobbe l’esilio della morte tra il precipitato delle rocce e le onde sbattute sullo scoglio. Cercò Leopardi. Leopardi si fece incantare recitando l’ultimo canto, ma era troppo razionale per capire il senso dell’esilio dalla vita vera e dalla vita menzogna oblio mistero.

Neppure Dante ci riuscì a capire Saffo, ma Dante non capì neppure Ovidio tanto che lo imitò con il suo navigare nel cammino di mezzo nelle “metamorfosi” del mito. Era troppo teologico, nonostante, il cercatore di mistero che abitava in lui, per apprendere  Saffo dea e tremante notturna. Dante perché pensò di uscire dalla notte per rivedere le stelle? Affidò ciò alla Commedia. Ma lui non vide mai le stelle neppure con l’invenzione di Beatrice. Cercò di essere ironico ma, a volte,  divenne scurrile e poco elegante. Beatrice non avrebbe mai potuto accettare il “trombettare”.

Tra Dante e Ovidio mareggia un abisso. Il secondo fu il vero maestro del primo. Non avrebbe scritto la sua Commedia senza Ovidio. Usò Virgilio non per provocazione ma per compiacersi il teologico Stato pontificio. Nel mezzo del cammino soltanto Ulisse lo poté salvare, ma si sfidarono tanto che il vendicativo Dante lo buttò nell’Inferno.

Omero significa però Ovidio. Omero è un gigante rispetto a Virgilio e Ulisse è il grande capitano di una nave il cui timoniere è Virgilio. E Saffo? Omero è il dominatore dei mari e degli eroi. Saffo inventò il cantico dei cantici.

La “Vita nova” nasce intorno ai Cantici certamente, in un prosimetro che ci conduce ad Abelardo ed  Eloisa e si conclude nei “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese. Saffo è la grecità del vento su Lesbo mentre Ovidio è la contaminazione che vive la sua contraddizione sulle sponde del Mar Nero. Il mare visibile e invisibile. Il mare definito e indefinibile. Il mare del viaggio e della pazienza.

Saffo è, comunque, impaziente pazienza consumata in una morte metafisica in mito. Per amore e inquietudine. La stessa morte che visse Pavese nel bianco – leucò del tempo. Ovidio è il canto degli amores che recitò Dante raccogliendosi nel suo amor che a nulla amato amor perdona.

Dunque. Saffo e Ovidio sono i veri maestri che condussero Dante nello stile oltre il Medioevo. Dante fu realmente Medioevale? Con Saffo e Ovidio non lo fu.  Non lo fu neppure con la trasparenza dei Cantici in vita nova e tanto meno con la poesia proveniente dal mondo arabo. Ma Saffo, Ovidio e la Persia sono la danza e l’amore. Sono non il qui ma l’altrove. Senza il mito e gli archetipi Dante sarebbe morto di oblio e nenie. Il sacro gli ha dato il “Monarchia”, il “Convivio”, il “De vulgari”. Anzi il contrasto con il sacro. Il mistico è la Commedia che è piuttosto un Dramna esoterico alchemico.  Non è la Commedia che diventa Divina. Sono gli archetipi nella griglia simbolica e magica che fanno il dramma e trasformano gli dei nel Dio del mistero.

Saffo, quindi, ebbe la sua importanza oltre il teologico in mito orizzontale e verticale. L’orizzontale è il viaggio di Ulisse. Il verticale è la ricerca della Rosa. Virgilio sembra provvidenziale ma sembra piuttosto il contrasto tra ontologia e metafisica. Il riveder le stelle non è la metafora, ma l’illusione di ciò che ascolteremo nel romantico inevitabile Romanticismo post illuministico di Foscolo.

Saffo, Ovidio e Dante dovremmo considerarli inscindibili. L’Illuminazione li ha divisi. La teologia cattolica li ha distrutti. Saffo e la  rupe e il disperante viaggio verso gli inferi. Ovidio è la tristezza dolente dell’esilio nel quale si spense come in esilio morì Dante.

L’esilio fu l’estremo saluto della malinconia. Per Ovidio tutto imperiale. Per Dante tutto teologico. Per Saffo giunse il superamento di ciò che verrà chiamato disperazione eretica del libero arbitrio. Il tutto per in inganno chiamato libertà.

Saffo! Cosa fu Saffo nel mio viaggio di scrittore? Fu la rupe soprattutto. Fu il dubbio. Fu Leucade. Fu, in particolare modo, il frammento del linguaggio. E poi? Non avrei percorso il mio Ovidio e la sua ricerca della bellezza senza l’estasi e la sensualità del veder tramontare la luna. Spesso ho visto la luna tremare al cospetto di un tramonto sul mare. Lì non c’era soltanto il dio e l’universo nei suoi Infiniti. Lì viveva il sublime della solitudine degli amanti, la mia Saffo.

Ovidio fu il racconto delle eroine e fu inevitabilmente l’esilio dei “tristia” che non ebbe mai consolazione. Saffo conobbe l’esilio della morte tra il precipitato delle rocce e le onde sbattute sullo scoglio. Cercò Leopardi. Leopardi si fece incantare recitando l’ultimo canto, ma era troppo razionale per capire il senso dell’esilio dalla vita vera e dalla vita menzogna oblio mistero.

Neppure Dante ci riuscì a capire Saffo, ma Dante non capì neppure Ovidio tanto che lo imitò con il suo navigare nel cammino di mezzo nelle “metamorfosi” del mito. Era troppo teologico, nonostante, il cercatore di mistero che abitava in lui, per apprendere  Saffo dea e tremante notturna. Dante perché pensò di uscire dalla notte per rivedere le stelle? Affidò ciò alla Commedia. Ma lui non vide mai le stelle neppure con l’invenzione di Beatrice. Cercò di essere ironico ma, a volte,  divenne scurrile e poco elegante. Beatrice non avrebbe mai potuto accettare il “trombettare”.

Tra Dante e Ovidio mareggia un abisso. Il secondo fu il vero maestro del primo. Non avrebbe scritto la sua Commedia senza Ovidio. Usò Virgilio non per provocazione ma per compiacersi il teologico Stato pontificio. Nel mezzo del cammino soltanto Ulisse lo poté salvare, ma si sfidarono tanto che il vendicativo Dante lo buttò nell’Inferno.

Omero significa però Ovidio. Omero è un gigante rispetto a Virgilio e Ulisse è il grande capitano di una nave il cui timoniere è Virgilio. E Saffo? Omero è il dominatore dei mari e degli eroi. Saffo inventò il cantico dei cantici.

La “Vita nova” nasce intorno ai Cantici certamente, in un prosimetro che ci conduce ad Abelardo ed  Eloisa e si conclude nei “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese. Saffo è la grecità del vento su Lesbo mentre Ovidio è la contaminazione che vive la sua contraddizione sulle sponde del Mar Nero. Il mare visibile e invisibile. Il mare definito e indefinibile. Il mare del viaggio e della pazienza.

Saffo è, comunque, impaziente pazienza consumata in una morte metafisica in mito. Per amore e inquietudine. La stessa morte che visse Pavese nel bianco – leucò del tempo. Ovidio è il canto degli amores che recitò Dante raccogliendosi nel suo amor che a nulla amato amor perdona.

Dunque. Saffo e Ovidio sono i veri maestri che condussero Dante nello stile oltre il Medioevo. Dante fu realmente Medioevale? Con Saffo e Ovidio non lo fu.  Non lo fu neppure con la trasparenza dei Cantici in vita nova e tanto meno con la poesia proveniente dal mondo arabo. Ma Saffo, Ovidio e la Persia sono la danza e l’amore. Sono non il qui ma l’altrove. Senza il mito e gli archetipi Dante sarebbe morto di oblio e nenie. Il sacro gli ha dato il “Monarchia”, il “Convivio”, il “De vulgari”. Anzi il contrasto con il sacro. Il mistico è la Commedia che è piuttosto un Dramna esoterico alchemico.  Non è la Commedia che diventa Divina. Sono gli archetipi nella griglia simbolica e magica che fanno il dramma e trasformano gli dei nel Dio del mistero.

Saffo, quindi, ebbe la sua importanza oltre il teologico in mito orizzontale e verticale. L’orizzontale è il viaggio di Ulisse. Il verticale è la ricerca della Rosa. Virgilio sembra provvidenziale ma sembra piuttosto il contrasto tra ontologia e metafisica. Il riveder le stelle non è la metafora, ma l’illusione di ciò che ascolteremo nel romantico inevitabile Romanticismo post illuministico di Foscolo.

Saffo, Ovidio e Dante dovremmo considerarli inscindibili. L’Illuminazione li ha divisi. La teologia cattolica li ha distrutti. Saffo e la  rupe e il disperante viaggio verso gli inferi. Ovidio è la tristezza dolente dell’esilio nel quale si spense come in esilio morì Dante.

L’esilio fu l’estremo saluto della malinconia. Per Ovidio tutto imperiale. Per Dante tutto teologico. Per Saffo giunse il superamento di ciò che verrà chiamato disperazione eretica del libero arbitrio. Il tutto per in inganno chiamato libertà.

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