Pierfranco Bruni
Napoli e il Mediterraneo restano sempre nel suo cuore. A cinque anni dalla scomparsa, moriva appunto nel 2015, di Adriana Mazzarella. Una delle più attente studiose di Carl Gustav Jung. Una maestra di umanità. Ha introdotto il metodo junghiano, con semantiche ancestrali mistiche, nella lettura di Dante e della “Divina Commedia”. Una forte capacità onirica – metafisica che permette di andare oltre la struttura confessionale teologica e chiama nel mosaico dei linguaggi una griglia di archetipi che costituiscono i simboli del viaggio di interazione tra il “mezzo del cammino” e l’uomo di oggi, di sempre.
Adriana Mazzarella era nata a Napoli nel 1925, ma presto la famiglia si trasferisce a Milano, dove il padre aveva trovato lavoro. Laureata in medicina con applicazioni alla pediatria, si dedica a leggere le “sfoglie” della mente degli uomini grazie ad una capacità percettiva singolare. Ma è a Dante che si rivolge dopo essersi rivolto e rimasta fedele per tutta la vita alla psicologia di Jung e ai suoi studi. Jung al centro del viaggio e dentro il viaggio gli occhi e il cammino di Beatrice Il se stesso o l’io di sé e l’altro sé. Non si tratta di parafrasare Jung, ma cercare di comprendere come un testo letterario può essere non tanto letto o interpretato ma accostato. La peggiore interpretazione che si è potuta dare della “Divina Commedia” è stata data da chi prima ha evitato Dante e poi lo ha cercato di recuperare con una “enciclica” addirittura apposita. La “Divina Commedia” non è un viaggio teologico. Non è categoricamente confessionale. Mai stato. È un viaggio mistico-esoterico. Un immaginario di simboli, la cui cifra è nei numeri certamente ma anche nel contesto in cui Dante visse. L’alchimia e il tempo degli archetipi restano fondamentali.
Una proposta straordinaria su Dante e Beatrice era arrivata da una grande studiosa junghiana e maestra di vita qual è stata Adriana Mazzarella con un suo testo basilare (“Alla ricerca di Beatrice. Dante e Jung”, edizione 1991) riferito proprio al rapporto esegetico tra Dante e Jung. Scomparsa cinque anni fa, Adriana, nel 2015, il suo studio è una pietra miliare. Il suo percorso oltre il suo incipit che è la “selva” come caverna dell’essere e del finale come raggiungimento della “rosa mistica”, simboli esoterici di primo impatto, è un viaggiare non solo nell’uomo o nella letteratura ermetica e dei miti singoli o in Dante stesso. Bensì in una ciclicità di nascita morte e rinascita che ha una richiama sensazione eliadiana. Il labirinto o/e il cerchio della prova di Mircea Eliade sono parte integrante di un rosacrocianesimo tra inferno, come fuoco, e il paradiso come luce in un attraversamento delle ombre come purgatorio. Vico ed Eliade sono voci importanti che hanno interpretato la dimensione della “Divina” come mito e come griglia di annodati archetipi che Zolla volle iniettare nella letteratura.
Alla base comunque ci sono sempre Renè Guenon e Maria Zambrano. Chiaro che Dante si presta a diverse scavature ma questa, ormai, diventa imprescindibile. Adriana Mazzarella, come maestra di vita e di ascolto, è riuscita a cogliere questo mondo suggerente, e grazie alla sua intuizione percezione junghiana, è andata oltre. Il viaggio di cui si parlava non è un itinerario. Ma un incontro, mai un conflitto, tra la salita e la discesa. Metafore del destino. Una salita verso la Rosa. Una discesa verso le Ombre. Si applica ciò che Jung disse: “La psiche non è in noi. Noi siamo la psiche”. Archetipi inconsci dei quali la letteratura la poesia la parola si nutrono. Dante a questo puntava. Adriana trasforma la Dimensione cosmica in Visione. Il passaggio comprende una lettura geografica della “Divina” attraverso una Trascendenza che diventa “topografia inconscia della trascendenza”.
Adriana Mazzarella, nel suo studio, riferendosi a Dante chiosa: “Egli ci prende e ci conduce per mano e ci spinge a “frugare” più in profondità nelle “segrete cose”, cioè in quelle parti di noi stessi che ci sono sconosciute: i nostri conflitti, i nostri aspetti antisociali. Con l’incanto estetico della poesia egli ci solleva a contemplare i nostri sentimenti più intimi: il dolore, l’ira, la paura, la violenza, l’odio, l’inerzia, l’abulia; ma anche il piacere, la gioia, la beatitudine, la pace. La psicologia moderna ha iniziato solo nel secolo scorso a occuparsi di questo campo della conoscenza, ma le ‘leggi’ che regolano la psiche – per quel poco che è dato all’uomo di penetrare in questo mistero – erano già presenti all’inizio del Trecento nell’opera di Dante, enunciate con potenti immagini dal suo genio creativo, che è stato il suo destino, la sua gioia, la sua agonia”.
Dante, l’uomo Dante che non bisogna mai separare dal suo contesto e dal suo mondo pre e post esilio (non va dimenticato che la “Divina” nasce in esilio ma inizia in libertà con la “Vita Nova” passando nel “Convivio”, sempre esilio), non è mai scisso dalla sua opera. Egli è stesso è Opera. Vive di una sottile ombra e i suoi personaggi non sono realmente personaggi, ma pretesti e ombre o immaginari – immagini che diventano, però, radicamenti. Ha bisogno non solo di uscire dal buio, cercando un “chiaro di boschi”, ma di capire la oscurità della selva. Ecco l’entrata necessaria negli archetipi che sono misteri e arcani. Ovvero il labirinto si abita con la profezia di toccare metaforicamente, e vederlo, il centro. Ovvero Dio! La Rosa è il Dio impossibile ma anche possibile nel nostro esteriore bisogno di interiorità ancestrale. Il cerchio resta il mistero.
Il limite è ciò che Eliot ha individuato nei due estremi: il Fuoco e la Rosa. La luce del Paradiso è la Aurora dei Beati come direbbe Maria Zambrano. Jung diventa dunque protagonista che permette a Dante di uscire dalla brughiera e dalla selva. Un penetrante metafisico esoterico cammino che Adriana Mazzarella ha chiosato proiettandolo nelle nostre vite. Le nostre vite che sono ricerca. “Facendo il viaggio con Dante e lasciandoci guidare da lui, ci rendiamo conto che il ‘processo di individuazione’ descritto da Jung non solo è presente in Dante, ma è completo nelle sue tappe fondamentali fino all’unione finale cosciente tra l’Io e il Sé”. Non una dilatazione ma un altro da sé, o oltre (da) sé.
La Selva e la Rosa sembrano incontrarsi ma sono “emisferi” che non si vedono. Si avvertano e si avvicinano per distanziarsi. Leggono la Memoria di ciò che sono stati gli Dei e di ciò che hanno rappresentato e rappresentano le figure mitiche in quell’Oriente che Dante ha vissuto come una profezia e una proiezione onirica. La luce la bellezza e l’estesi sono il triangolo della divinità del mito degli archetipi. Sacri, certamente. Ma il sacro non esisterebbero senza il mito. In Dante persiste il mito.
AdrianaMazzarella conduce la ragione a confrontare con il mistero come è giusto che sia in una dichiarazione di fede che è ancillare alla Tradizione. Non si tratta di dedurre un Dante teologico mistico o poetico. Alla fine arrivo alla convinzione e condivisione completa di Adriana Mazzarella: “Il processo dantesco trova i suoi riscontri in processi analoghi della grande tradizione del Vedanta (si veda la Bhagavad Gita), del taoismo, del Kundalini Yoga, del sufismo, dell’ermetismo alchemico, sia pure in forme diverse”. Dante è un profeta e come i profeti seguono la tradizione non per le vie delle convenzioni ma per la testimonianza della profezia. Tutto ha un senso. Come quando Adriana scrisse: “Studiando poi gli scritti di C.G. Jung sul Faust di Goethe, sull’alchimia e sul rapporto tra psicologia e poesia, mi resi conto che anche nella Divina Commedia di Dante erano presenti significati più “sotterranei” e si aprivano dunque nuovi campi di ricerca quali il simbolismo iniziatico, l’alchimia, l’ermetismo, l’astrologia”. Componenti di una esistenza, tra luoghi e permanenze di partenze in un Mediterraneo diffuso, per Mazzarella, e componimenti di una vita in viaggio.