Nella impostazione di un qualsivoglia lavoro uscire dalla confusione è regola prima che vale per tutti, singolo e collettività, maggiormente poi per quanti si trovano, dietro scelte che potremmo per una serie di combinazioni definire volute o anche semplicemente casuali, a gestire, insieme a una caterva di accoliti, la vita dei più attraverso ordinamenti affastellati che, generando confusione, producono danno. Sistema più o meno diffuso in ogni parte del pianeta, e l’Italia ci sta dentro. Non vogliamo dire che potrebbe essere un trucco politico anche se permane il sospetto che, confondendo, si celi la verità per non attuare la giustizia. Come permane il sospetto che i talk-show, salvo rarissime eccezioni, siano fatti per generare confusione nei telespettatori anche attraverso inurbane alzate di voce annuncianti opinioni spesso sconclusionate o monche, opposte a quelle altrui altrettanto sconclusionate: a subentrare è la nausea non la chiarezza. La confusione generalmente è guadagno per i furbi e acuisce quell’assenza di verità che già tocca in sorte agli esseri umani, per Pier Paolo Pasolini marionette mosse da invisibili fili, costrette a una parte che neppure vorrebbero e non comprendono, e solo al termine della loro esistenza giungono a una qualche percezione di verità. In “Capriccio all’italiana”, film a episodi del 1967, il corto “Che cosa sono le nuvole?” di Pier Paolo Pasolini, rivisitazione dell’”Otello” shakespeariano, nelle sequenze finali con Totò e Ninetto Davoli, illumina, come solo il poeta sa fare, vita e morte dell’essere cui ignota e inspiegabile è la sua stessa sorte, e ne coglie la impossibilità di pervenire alla verità (Otello: Sì, sì, si sente qualcosa che c’è”; Iago: “Quella è la verità. Ma, issh!, non bisogna nominarla, perché appena la nomini non c’è più”), per cui a esistere come verità è solo la “straziante, meravigliosa bellezza del creato” colta alla fine dell’esistenza. La verità oggettiva è ancor più inafferrabile nel progredire della confusione da cui l’umanità è avvolta, particolarmente in determinate fasi della sua storia. Il nostro tempo, a esempio, con la estrema difficoltà di raccapezzarsi a livello mondiale per le molto ingarbugliate situazioni di rapporti tra Stati leader ed emergenti, fra Stati e Multinazionali, tra fondamentalismi e diseguaglianze di ogni sorta in crescita, mostrava già prima della pandemia grandissima difficoltà nella chiarezza. Il Covid 19 è sopraggiunto come fattore di crescita esponenziale della confusione mandando completamente a tappeto ogni barlume di chiarezza: colpevole il pipistrello o l’esperimento di laboratorio? letale per tutti o per l’ottuagenario e oltre? unico rimedio il vaccino oppure può sconfiggersi con un farmaco di poco costo? E poi: colpevole della seconda ondata la distrazione vacanziera o i Governi volti all’insignificante e incuranti delle necessarie tutele? Molti altri ancora gli interrogativi. Intanto, anche per la non messa in moto di una benché minima possibilità di guadagno, nel sottostare alla tristezza di un Natale mai trascorso così, conviene attendere un vaccino affidabile, non perdere la speranza di poter ricominciare a vivere in libertà, mentre ovunque vediamo crescere le discordie ed è ovvio anche che dappertutto le cifre errate non sortiscono cose giuste. Bisogna uscire dalla confusione, porre subito le basi di un piano chiaro, semplice, per la cui realizzazione siano le opposte parti in concordia, pensando a ciò che può essere il bene non del singolo ma della collettività. E, per quanto riguarda l’Italia, ritorniamo alla riflessione di Natalia Ginzburg, risale a un tempo diversamente problematico, pur sempre aderente: “L’Italia è un paese dove tutto funziona male, dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, la confusione. E tuttavia, per strada, si sente circolare l’intelligenza, come vivido sangue… non serve a nulla… non è spesa a beneficio di alcuna istituzione che possa migliorare di poco la condizione umana. Tuttavia scalda il cuore e lo consola, se pure si tratta d’un ingannevole, e forse insensato, conforto”. Non è che, come già pensava Arthur Schopenhauer, è stato introdotto il diritto non del meritevole ma del più furbo per cui le redini vanno in mano a chi sa trovare espedienti ingegnosi per prenderle e non lasciarsele sfuggire?
Antonietta Benagiano