Con l’interrogazione 4-04526, pubblicata dal Senato il 26 novembre (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/Sindisp/0/1185202/index.html), abbiamo chiesto ai Ministri dei Beni Culturali e dell’Università e Ricerca “se e quali iniziative di competenza intendano assumere per permettere che l’attività professionale di ricerca nel settore umanistico non rimanga ferma più a lungo e possa riprendere, nell’ovvio rispetto dei protocolli già fissati in occasione della riapertura dell’estate-autunno 2020 e di ogni eventuale misura ritenuta necessaria per garantire la sicurezza del personale e degli utenti”. Sulla base del DPCM 3 novembre 2020, infatti, le mostre e i servizi di apertura al pubblico di musei, archivi, biblioteche, aree archeologiche e complessi monumentali di cui all’art. 101 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” sono stati di nuovo sospesi; non così le biblioteche universitarie, sia in quanto afferenti al dicastero dell’Università e della Ricerca invece che al MiBACT, sia in quanto funzionali all’attività didattica. Quelle biblioteche però, sono largamente insufficienti alla prosecuzione delle attività di ricerca nel Paese. Ne deriva che figure professionali analoghe hanno oggi destini diversi in relazione al campo in cui operano: a docenti, ricercatori, dottorandi e liberi professionisti di area umanistica, nell’impossibilità di implementare il lavoro agile, è negato l’accesso ai luoghi in cui svolgere attività di ricerca, e quindi totalmente impedita la stessa. Per le analoghe strutture ad uso delle medesime figure professionali di area, però, tecnico-scientifica, il DPCM non prevede invece chiusure, fatti salvi il rispetto dei protocolli di sicurezza e la preferenza per il lavoro agile. È così che il principio di uguaglianza come sancito al comma 2 dell’art. 3 della Costituzione sembra poter essere leso. Le misure adottate per fare fronte alla seconda ondata pandemica rischiano di rappresentare un ulteriore colpo al presente e al futuro di un settore già messo a dura prova, soprattutto per i giovani, che vivono di contratti a breve scadenza e legati alla qualità delle loro ricerche. Limita fortemente e potrebbe danneggiare, inoltre, quanti devono consultare con cadenza quotidiana fonti storiche e bibliografiche per assicurare la tutela (e la valorizzazione) di beni di rilevanza culturale. Specialmente incomprensibile, e perciò odioso, è in fine il caso di luoghi solitamente aperti anche ad un pubblico vasto e generalista, come i musei, ma che sono innanzi tutto teatro di ricerca scientifica specialistica per una platea assai ristretta e selezionata, ad oggi penalizzata al pari dei visitatori occasionali, senza distinzione alcuna.
Margherita Corrado (M5S Senato – Commissione Cultura)