JOHANNESBURG, 10.11.20 – L’intensificarsi di eventi meteorologici estremi sempre più devastanti – come ondate di calore, inondazioni e pesanti piogge – in molte zone dell’Africa sta minacciando gravemente la salute umana, la sicurezza alimentare, la pace e la biodiversità del continente. È quanto emerge da “Weathering the Storm: Extreme Weather and Climate Change in Africa“, nuovo studio pubblicato da Greenpeace Africa e dall’unità scientifica di Greenpeace.
Il rapporto esplora il legame tra eventi meteorologici estremi e cambiamenti climatici in Africa, e presenta dati scientifici su come la crisi climatica stia andando fuori controllo in tutto il continente.
Lo studio mostra come tutti gli scenari climatici considerati prevedano che le temperature medie future in Africa aumenteranno a un ritmo più veloce della media globale. Se non si interverrà al più presto per ridurre e poi azzerare le emissioni, l’aumento medio della temperatura di gran parte del continente supererà i 2 gradi centigradi, per ricadere nell’intervallo da 3 a 6 gradi centigradi entro la fine del secolo, da due a quattro volte rispetto a quanto consentito dall’Accordo di Parigi. L’aumento delle temperature porterà a morti, migrazioni, conflitti climatici, scarsità di acqua potabile, impatti sulla produzione agricola ed estinzione accelerata di specie endemiche africane.
Nel ventunesimo secolo le condizioni meteorologiche nell’Africa subsahariana sono peggiorate e i climatologi prevedono che questa tendenza proseguirà nei prossimi decenni. Ondate di calore, inondazioni, siccità e cicloni hanno assunto una scala finora sconosciuta. Questi eventi sono ancora più impattanti per le comunità più povere, meno attrezzate per fronteggiare e adattarsi ai cambiamenti climatici.
«La scienza ci dimostra che c’è ben poco di naturale nei disastri che colpiscono il nostro continente», commenta Melita Steele, Direttrice del Programma di Greenpeace Africa. «Una crisi causata dal genere umano richiede soluzioni attuate dal genere umano. L’Africa è la culla dell’umanità e dovrà essere la culla dell’azione climatica per il nostro futuro. La salute, la sicurezza, la pace e la giustizia non si otterranno solo con le preghiere e i sacchi di riso e mais consegnati all’indomani di un disastro. I leader africani devono dichiarare l’emergenza climatica per preservare il nostro futuro collettivo».
Allarme condiviso anche da Hindou Oumarou Ibrahim, direttrice dell’Associazione delle donne e dei popoli indigeni del Ciad (AFPAT). «Negli ultimi 50 anni abbiamo già registrato un surriscaldamento di 1,5 gradi centigradi, ben al di sopra della media mondiale», dichiara. «Nel Sahel il cambiamento climatico ha distrutto i nostri raccolti, le nostre case e le nostre famiglie, costringendole a una migrazione forzata. Ma l’Africa non è solo il palcoscenico in cui si verificheranno i peggiori impatti sul clima: è un continente di milioni di persone decise a fermare il cambiamento climatico, ad abbandonare i combustibili fossili, e a lottare per proteggere le nostre foreste e la nostra biodiversità dall’agricoltura industriale», conclude.
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