Avverto, a chi si accinge a leggere questa mia breve riflessione, che la titolazione non è altro che una palese metafora per rendere al meglio tutta la significanza dell’ennesimo tentativo di edificare un partito politico dietro alle tendenze congiunturali dell’evoluzione umana.
Lungi da me perciò l’idea che una formazione politica possa essere rappresentativa del pensiero e del magistero papale nelle sue applicazioni di concreto governo della comunità sociale.
Sarebbe come voler accreditare in un riduzionismo supponente l’ampiezza universale del messaggio di tanto Magistero.
Ma siccome è nel fondamento laico e pluralista che quei supremi moniti sulla tutela della vita e della dignità umana, un sistema politico moderno e democratico non deve perdere mai di vista, se non vuole mettere a rischio la funzione di coesione sociale e civile e di progresso che qualunque espressione governativa deve perseguire nel servire un paese è pur legittimo che essi ne siano linfa e valori primari di una forza politica.
Una premessa che mi consente di introdurre brevi chiose su un dibattito che tiene viva da mesi la nuova sfida dei tanti protagonisti, riuniti in un primo conclave, a Saint Vincent, dal fantasioso Rotondi, che da buon “navigatore politico”,dal fiuto impeccabile, è riuscito a radunare tanti piccoli aspiranti centristi delle più disparate matrici culturali e politiche.
Vi erano anche tanti epigoni dell’accordo federativo dei Democratici cristiani, battezzato nell’anniversario del centenario dell’appello di don Sturzo e la nascita del partito popolare, e in pochi mesi affossato dalla proterva azione di chi anziché vivificarsi nel nome e nel simbolo di quell’intesa, prodromica ad un comune cammino, se n’è avvalso per perpetuare con proprio nome e simbolo, un’esperienza politica divenuta evanescente, lasciando inaridire le promesse e gli impegni assunti collegialmente.
Una condotta politica nettamente stigmatizzata dal Segretario politico DC, che non ha mancato di rilevare “ Il crescente malessere per la gestione politica della Federazione dei democristiani e dei popolari nella fase di preparazione di definizione delle liste e delle iniziative politiche per le elezioni regionali e comunali”.
Insomma un esperimento fallimentare ove è emersa tutta la fragilità dell’accordo e l’inaffidabilità’ di chi voleva strumentalizzare l’organismo per accreditarsi, velleitariamente, come forza trainante e egemone.
Un disegno dal respiro troppo corto, attuato attraverso accordi di lista ibridi, dove si mischiavano esperienze politiche poco conciliabili nei valori di fondo,perché potessero ammaliare gli elettori che ovviamente ne hanno decretato il pieno fallimento.
A dimostrazione che, in questo quadro politico così accidentato, senza un serio percorso riorganizzativo e progettuale non è praticabile inerpicarsi in una così ardua impresa.
Questo mi pare essere il chiaro messaggio degli elettori, sebbene si siano pronunciati in occasione di una tornata elettorale che ha coinvolto solo alcune parti, anche se significative,del territorio del Paese.
Ma va colto come segno della profonda diffidenza che ha pervaso buona parte di quell elettorato più attento, che non crede più nelle formazioni politiche dove le progettualità sono in funzione di una sopravvivenza all’ombra ed al traino di egemonie culturali e di ideali poco compatibili con l’idea di paese che trasmette un simbolo storico, come lo scudo crociato.
Ben altro lavoro si richiederebbe a tutto campo nel territorio, mentre le coscienze di quanti, disaffezionati da una lunga stagione politica che ha accentuato divisioni sociali e accresciuto diseguaglianze, attendono che quel prezioso portato di ideali e valori con cui si ricostruì l’Italia del secondo dopoguerra, si riproponga in nuova chiave di lettura con le attuali dinamiche sociali nella prospettiva di un nuovo umanesimo per dare al paese credibili e rassicuranti orizzonti e un nuovo processo di sviluppo economico e civile.
Valori ed ideali che furono alla base dell’impegno politico di don Sturzo con il partito popolare e poi di De Gasperi con l’esperienza cinquantennale della DC.
E che a ragione di tanto consenso ne caratterizzarono il cammino di quell’opera politica con tutto il portato di lealtà e coerenza verso gli impegni presi con gli elettori.
Oggi le dinamiche della politica hanno fatto strame dei posizionamenti geometrici con cui eravamo soliti identificare le collocazioni di ciascuna partito nell’emiciclo parlamentare.
Così da apparire ormai insignificante leggere la realtà politica secondo le tradizionali categorie di destra, sinistra e centro.
Ne sono prova le tante ibride e trasversali azioni governative degli esecutivi di questo nuovo secolo, i cui progetti di governo talora sono sembrati mutuati da obiettivi che ne erano il cavallo di battaglia delle opposte parti politiche( Job act e Buona scuola, governo Renzi) e viceversa.
E qui che la scommessa che tanti han fatto nel credere che questo sia il momento giusto perché la DC possa trovare rinnovata espressione politica, non può giocarsi sul versante del vagheggiamento di un nuovo partito.
Rimettere in campo la Democrazia Cristiana è cosa diversa che fare un partito nuovo, pur richiamandosi a quei valori.
Un nuovo partito non ha radici, deve farsele ed è questo il punto.
Trovare linfa per una crescita in questa fase politica, dove fa fatica a diradarsi una tendenza a polarizzare le forze e le progettualità politiche, non sarà facile
Peraltro in una contingenza dove ancora non si vede una sicura via d’uscita dalla terribile emergenza sanitaria, dagli effetti assai devastanti anche sul sistema economico e sui rapporti sociali e sulle libertà fondamentali.
Mentre sono ormai abituali repentini mutamenti dell’opinione pubblica, specchio di un elettorato “liquido” sempre più incline a suggestioni e proposte che sovente risultano ingannevoli, e come in un circolo vizioso,accentuano ulteriormente reattività istintive e irrazionali, facile anticamera a derive autoritarie.
Una ragione che rende più responsabilmente ragionevole, nell’edificare una forza politica che abbia l’ambizione di rinverdire un’opera politico istituzionale sull’esempio di protagonisti di grande spessore, muoversi sulla scia di un’esperienza politica consolidata da cinquant’anni di governo del paese e da una forte storia identitaria.
Circostanza non da poco che aiuta a trovare la giusta forza per riaccendere nelle tante coscienze obnubilate da politiche divisive e strillate che privilegiano la parte istintuale della persona, le speranze su un progetto politico credibile.
Un new deal economico e sociale che tanta parte del ceto imprenditoriale, del mondo del lavoro, dei giovani e delle famiglie si aspettano attraverso un diverso approccio nel governare le complessità del paese, semplificando le intermediazioni burocratiche e l’eccessiva invasività della pressione fiscale nel sistema produttivo,la primaria esigenza di tutela della dignità della persona, la cura del suolo e dell’ecosistema, una scuola più aderente alle repentine versatilità che oggi richiede il mondo del lavoro e un sistema di giustizia più celere accentuando le procedure di mediazione – ma in primo luogo un diverso rapporto Stato-comunità.
E poi c’è la tutela della famiglia.
Qui il discorso si fa insidioso.
L’inaspettata apertura di Papa Francesco al riconoscimento delle unioni civili è davvero di un inimmaginabile forza eversiva nella Chiesa e disorienta i fedeli.
Una svolta epocale, che va comunque letta in linea con la personalità di Papa Bergoglio, assai più secolarizzato nelle sue comprensioni paternalistiche riguardo la debolezza e le fragilità della coscienza umana.
Ma un’autentica scossa tellurica per la Chiesa, sicuramente non pronta a questo salto su una entità naturale e non negoziabile, quale è sempre stata definita la famiglia da una dottrina mai scalfita.
E non solo questo jato, perché se andiamo a leggere le sue ultime Encicliche Egli parla di “società aperta’ vedendo in prospettiva la dissoluzione di istituti come proprietà privata, mercato e libertà individuali di scelta, in un quadro di ridefinizione del governo dell’umanità, teso ad una “società fraterna”.
Davvero un ambiziosa e rivoluzionaria utopia, dove viene meno la dimensione economica e politica della vita.
E nella sua attenzione alla proprietà privata il Papa afferma che tale diritto si può considerare solo come naturale, secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati.
Posizioni molto forti e coraggiose che, pur in una diversa declinazione di pensiero ci riportano all’idea della Città ideale di Platone, dominata da un forte senso di comunità e di giustizia sociale.
Che non è facile confutare con la semplicistica risposta del fallimento del Comunismo, che abolì la proprietà privata al prezzo di una disumana dittatura.
Qui, invece, viene messo al centro il bene comune oltre alle necessità, come presidio primario della condizione umana, e vi è una dimensione finalistica che non era del Comunismo.
Tuttavia non può non concordarsi con quanto ha messo in evidenza il prof. Infantino, in una recente intervista a Piero Di Muccio su l’Opinione, a proposito del concetto di società aperta nell’Enciclica Fratelli tutti, che “Le vicende storiche mostrano che tutti i tentativi finalizzati a tale obiettivo hanno prodotto esiti disumani e disastrosi”.
Questo mi pare il crinale su cui dovrà necessariamente misurarsi il partito che ambisce ,in questo terzo millennio, a proporsi artefice di nuove politiche epocali, che minacce pandemiche, sempre più frequenti, endemiche inettitudini riguardo al territorio e una ampia digitalizzazione del paese e del sistema industriale (4.0), richiedono indifferibilmente.
Ove galoppa l’impoverimento di tanti ceti sociali, aggravato considerevolmente dallo shock pandemico che sta decimando il sistema produttivo, mutando obiettivi e relazioni in tutto il contesto geopolitico.
In questo preoccupante cornice non vediamo i presupposti che una tale agglomerazione politica, nata, come Minerva dalla testa di Giove, che abbia in mente di rappresentare quell’area di centro, possegga le giuste credenziali per rappresentare una nuova cultura politica nel solco di una semplice lontana radice democristiana.
Perché appare errato il presupposto ,che quella esperienza è da ritenersi superata ed oramai non più riproponibile, e molto probabile il rischio di ritrovarsi in una dimensione ancillare come lo sono state l’UdC e il partito di Rotondi.
E poi non è detto che tale tentativo,potrà superare sul nascere le aspre dinamiche delle mediazioni, non tra modalità e declinazione di medesimi ideali( un po’ la vecchia dimensione correntizia)ma tra visioni e ideali talora assai diversi.
E nessuno può al momento prevedere chi avrà la meglio in questo terreno di scontro delle tante anime, liberali, liberiste,cattoliche, popolari e riformiste, che propiziano tanta nobile iniziativa.
Matrici culturali e di pensiero che hanno coabitato nell’esperienza berlusconiana ( ma non a caso più di un osservatore politico ha sostenuto la particolare natura di quel partito,”di plastica”,dove decide tutto il Capo)e che adesso, in una inarrestabile fase discendente, più di un esponente sarebbe pronto a proiettarsi in quest’esperimento di nuova formazione centrista, nel tentativo di riempire un vuoto politico che fa gola a tanti.
In questa tensione mi pare iscriversi il nobile proposito del presidente del Comitato scientifico della fondazione DC,Giannone, che ritiene di incarnare nel manifesto della propria proposta formativa i cardini del pensiero ecumenico espresso, nelle tante encicliche dalla Rerum novarum di Leone XIII fino a Papa Francesco.
Pur se il presidente della fondazione DC non si nasconde quanto grande ed impegnativa debba essere l’opera di testimonianza culturale prima che politica (luogo di mediazione tra istanze complesse e talora opposte) e il decisivo ruolo che giocherà il retroterra e l’identità del soggetto politico che scenderà in campo.
Tuttavia appare assai difficile che una qualsivoglia altra identità potrà mai surrogare o rappresentare la storia politica ed un così illustre patrimonio politico che fu della DC con quel nome e quel simbolo.
22.10.2020
Luigi Rapisarda