La sentenza della Corte di cassazione civile n. 16410/2020 e l’evoluzione giurisprudenziale in materia di diritto di visita dei nonni e ascolto del minore
I diritti dei nonni
L’articolo 317 bis del codice civile sancisce che gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.
L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinchè siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore.
I provvedimenti sono adottati su ricorso al Tribunale per i minorenni competente; il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero; dispone, inoltre, l’ascolto del minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.
Diritto di visita alla nipote: la vicenda
Nel caso in esame i ricorrenti avevano chiesto al tribunale per i minorenni de L’Aquila di veder riconosciuto il loro diritto a poter incontrare la nipote, collocata presso la madre, nel contesto del giudizio di separazione dal marito.
Il tribunale per i minorenni aveva respinto il ricorso osservando che i ricorrenti non avevano mai attenuato l’atteggiamento di aspro conflitto e di aperta denigrazione nei confronti della nuora, e si erano rifiutati di intraprendere un percorso progressivo di riavvicinamento alla nipote attraverso incontri dapprima protetti e poi eventualmente liberi; cosicché i suddetti nonni avevano mostrato di non essere in possesso di adeguate capacità di gestione autonoma dei contatti con la bimba.
I ricorrenti avevano poi impugnato il decreto, eccependone la nullità per mancata previa audizione della minore.
La corte d’appello de L’Aquila rigettava il reclamo ritenendo che la dedotta nullità per omessa audizione della minore fosse insussistente, essendosi trattato di soggetto di appena nove anni e non apparendo comunque l’audizione necessaria una volta appurato che il divieto di incontri era basato sulla mancanza di adeguate capacità educative e affettive in capo ai nonni, e sull’atteggiamento dei medesimi, pregiudizievole per l’equilibrata crescita psicologica della minore.
La Sentenza della Corte di cassazione civile n. 16410/2020
Adita la Corte di Cassazione i ricorrenti denunziavano la nullità del decreto per violazione dell’art. 336 c.c. e art. 102 c.p.c., in quanto non era stata assicurata la partecipazione della minore al giudizio rappresentata da un difensore, e in quanto comunque non si era provveduto all’audizione a causa dell’età.
I principi desumibili dall’art. 8 CEDU, dall’art. 24, comma 2, della Carta di Nizza e dagli artt. 2 e 30 Cost., ci portano ad affermare che esiste nell’ordinamento un vero e proprio diritto degli ascendenti, azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, secondo l’art. 317-bis c.c.; a esso diritto corrisponde uno speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, ai sensi dell’art. 315-bis c.c.
Per tale ragione i provvedimenti che incidono sul diritto degli ascendenti a instaurare e a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni hanno forza di giudicato (seppure rebus sic stantibus), in quanto non sono revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, e definiscono procedimenti che dirimono conflitti tra posizioni soggettive diverse, nei quali il minore è da considerare “parte”.
Secondo parte della Giurisprudenza, la sopra citata constatazione implica che la posizione di “parte” del minore non possa essere pretermessa nel procedimento che lo riguarda; e questo risulterebbe confermato anche dall’inciso di cui all’art. 336 commi 2 e 4, c.c., secondo cui il minore non solo va sentito se ultradodicenne, ovvero anche se infradodicenne ove capace di discernimento, ma deve essere altresì assistito da un difensore.
Gli indirizzi giurisprudenziali
Tuttavia sull’estensione di tale regola si registrano talune non secondarie divergenze tra due contrapposti indirizzi giurisprudenziali.
Il primo tende a sottolineare che il procedimento di cui all’art. 336 c.c. non prevede l’obbligo di difesa tecnica. Tale orientamento, negherebbe di fatto al minore il ruolo di “parte” (in senso proprio) del procedimento.
Al contrario, il secondo indirizzo propende per un’interpretazione quanto più possibile estesa dei principi sopra ricordati.
Si afferma da questa prospettiva che nei giudizi riguardanti l’adozione di provvedimenti limitativi, ablativi o restitutivi della responsabilità genitoriale, riguardanti entrambi i genitori, l’art. 336 comma 4, c.c., richiede la nomina di un curatore speciale, ove non sia stato nominato un tutore provvisorio, sussistendo un conflitto d’interessi verso entrambi i genitori.
In base a tale assunto, il minore sarebbe cioè da considerare sempre come una vera “parte” del giudizio che lo riguarda, al punto che nell’ipotesi in cui non si sia provveduto alla nomina del curatore speciale, “il procedimento deve ritenersi nullo ex art. 354 comma 1, c.p.c., con rimessione della causa al primo giudice perché provveda all’integrazione del contraddittorio” (Cass. Civ. n. 5256- 18).
Questa seconda soluzione non appare convincente, perché è incentrata su una lettura estrema della sentenza n. 1 del 2002 della Corte costituzionale.
In effetti la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2002, ha inteso l’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo – alla stregua di norma integrativa della disciplina codicistica, col fine di configurare, per il minore capace di discernimento, e come tale “parte” del procedimento che lo concerne, la necessità del contraddittorio.
La modalità di gestione di questo contraddittorio è stata lasciata, però, volutamente libera, come emerge dalla formula impiegata allo scopo: “se del caso previa nomina di un curatore speciale”. La formulazione ipotetica (“se del caso”) sta a dire che il previo riferimento al “contraddittorio” non può essere enfatizzato come elemento di validità formale del giudizio, quasi che la relativa violazione importi di per sé le conseguenze tipiche dell’art. 354 c.p.c.
Dalla sentenza della Corte Costituzionale – che ha ritenuto per tale ragione non fondata la questione di legittimità dell’art. 336 comma 2, c.c., sollevata sull’erronea premessa interpretativa che nei procedimenti camerali concernenti la potestà dei genitori, non sia prevista l’audizione del minore ultradodicenne e, se opportuno, anche quello di età inferiore, o altrimenti i suoi genitori o il tutore – si evince fondamentalmente questo: che l’art. 12 della Convenzione, per un verso, ha disposto, al comma 1, che il minore capace di discernimento ha diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa e, per altro verso, ha presupposto, al comma 2, doversi dare al minore, al detto specifico fine, la possibilità di essere ascoltato “in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”.
A tanto si lega la configurazione del minore come “parte” del procedimento, la quale configurazione implica la necessità di assicurarne il contraddittorio come elemento di necessaria interlocuzione, “se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 c.p.c.” .
La lettura razionale della citata decisione induce a valorizzare la necessità di ascolto del minore ai fini del merito, non già la valenza procedimentale dell’incombente.
Per converso un’altra anteriore decisione della stessa Corte costituzionale (la sentenza n. 185 del 1986) ha specificamente considerato nell’oggetto un tale profilo, e in proposito ha in generale condivisibilmente rappresentato che la valutazione relativa al modo e al grado di effettiva tutela in giudizio di determinati interessi spetta al legislatore ordinario, il quale non è vincolato a prevedere la qualità di “parte” per i titolari degli stessi.
Su tale base la Corte costituzionale ha in quell’occasione escluso “che sia costituzionalmente illegittima l’omessa previsione della nomina di un curatore speciale per la rappresentanza in giudizio dei figli minori, nei procedimenti contenziosi relativi allo scioglimento del matrimonio ed alla separazione dei coniugi”; omessa previsione spiegabile, d’altro canto, “per non essere stata ravvisata l’opportunità di istituzionalizzare un conflitto tra genitori e figli minori con l’attribuire ai secondi la qualità di parte, né tantomeno di concedere agli stessi – in quanto non abilitati ad incidere sullo status di coniugi dei genitori – il potere (negato anche al Pubblico Ministero) di impugnare le sentenze concernenti i coniugi medesimi”; con ciò dovendosi ritenere “idonee e sufficienti alla tutela degli interessi dei predetti minori nei procedimenti suindicati, le misure già previste in loro favore (intervento obbligatorio in giudizio del Pubblico Ministero, amplissime facoltà istruttorie del giudice, potere del collegio di decidere, in ordine ai provvedimenti relativi alla prole, ultra petitum), rimanendo per le ipotesi di concreto conflitto tra genitori e figli minori, l’esperibilità dei normali strumenti (compresa la nomina di un curatore speciale, a sua volta prevista nei giudizi attinenti allo status dei minori) contemplati in via generale dagli artt. 320, 321, 330 e 333 c.c.” (così C. Cost. n. 185- 86).
Anche nella fattispecie in esame codesta chiave di lettura va stimata come base dell’orientamento che pone in luce la peculiarità dell’attribuzione ai minori del concetto di “parte” del processo.
Minori “parte” del processo
Tale concetto si concretizza e si esprime non nella necessità di una partecipazione formale (implicata dalla nozione di parte in senso proprio), ma nel diritto del minore di essere ascoltato ai fini del merito, in quanto parte sostanziale: soggetto portatore di interessi comunque diversi (quando non in certi casi anche contrapposti) da quelli dei genitori.
L’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta – come spesso si dice – un adempimento necessario, nelle procedure giudiziarie che li riguardano, e in particolare in quelle relative al loro affidamento, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003, e dell’art. 155-sexies c.c., introdotto dalla L. n. 54 del 2006, salvo che l’ascolto possa essere in contrasto con gli interessi superiori del minore (così Cass. Sez. U. n.
22238- 09). Ma codesto essenziale principio non legittima alcuna conclusione estrema di tipo procedimentale.
Come in certo qual modo evidenziato dalla motivazione della citata sentenza delle sezioni unite, i minori non possono considerarsi parti vere e proprie (formali) del procedimento finché la legittimazione processuale non sia loro attribuita da una specifica disposizione di legge. I minori sono in tal senso portatori di interessi diversi da (o in qualche caso contrapposti a) quelli dei genitori, sia in sede di affidamento sia in sede di disciplina dei diritti correlati, e per tale profilo sono qualificati parti. Lo sono però solo in senso sostanziale, secondo la locuzione fatta propria dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 2002. La finalità del loro ascolto è funzionale alla miglior tutela dei relativi interessi, cosicché il mancato ascolto non determina alcuna nullità (procedimentale), né la regressione del procedimento che ne dovrebbe altrimenti conseguire secondo il disposto ex art. 354 c.p.c.; determina invece la possibilità di impugnare nel merito la decisione finale, in quanto adottata pretermettendo il dato essenziale della valutazione delle opinioni del minore.
In questo senso va affermato il principio di diritto che connota la controversia, alla cui stregua l’attuale motivo di ricorso è infondato nella parte in cui assume che il minore sia “a tutti gli effetti un litisconsorte necessario”, ed è altresì infondato nella parte in cui tende a sostenere che la decisione sia nulla sul piano formale in relazione alla “obbligatoria partecipazione del minore al giudizio (..) tutelata da un difensore”.
La doglianza dei ricorrenti è comunque fondata sulla base della denunziata esistenza di un vizio sostanziale della decisione d’appello.
Infatti la posizione del minore, quale parte in senso sostanziale di ogni procedimento che lo riguarda, deve trovare il punto di tutela proprio nel diritto di essere ascoltato. Cosicché costituisce violazione (in tal limitato senso) del principio del contraddittorio e dei diritti del minore il mancato ascolto che non sia sorretto da un’espressa motivazione sull’assenza di discernimento (v. ancora Cass. Sez. U n.
22238- 09, Cass. n.
13241- 11), che sia tale da giustificarne l’omissione.
La relativa audizione può – cioè – essere omessa, ma solo nel caso in cui, tenuto conto del grado di maturità del minore medesimo, sussistano particolari ragioni che la sconsiglino; ragioni da indicare in modo puntuale e specifico.
È invece da considerare che, nel caso concreto, la corte d’appello ha giustificato il mancato ascolto dicendo semplicemente che la minore “al momento della decisione aveva soli 9 anni” e che l’audizione non era necessaria per l’accertata mancanza di adeguate capacità educative e affettive in capo ai nonni.
Ciò non soddisfa l’onere di motivazione, dal momento che la sottolineata età della minore non implica necessariamente l’incapacità di discernimento, ed egualmente il giudizio sulla capacità educativa e affettiva dei nonni – apodittico come tra un momento si dirà – non giustifica il rifiuto di ascolto della minore, quale soggetto portatore di interessi propri e diversi da quelli dei restanti soggetti coinvolti nel procedimento.
Per tali motivi la Corte ha accolto il ricorso e rinviato alla corte d’appello de L’Aquila.