di Giancarlo Elia Valori
President of International World Group
Nel 2019, l’ultimo anno per il quale abbiamo dati completi, l’industria globale dei trasformatori e delle tecnologie similari è stato valutato in 60 miliardi di usd. Il mondo del futuro sarà sempre più elettrificato e, in particolare, l’energia, comunque abbondante, verrà sempre più utilizzata in modo economico, razionale, selettivo.
Ed è qui che le imprese che si occupano di questo settore lavoreranno di più, in futuro: non solo strumenti che utilizzano l’energia elettrica, ma macchine intelligenti che, l’energia elettrica, la risparmiano, la controllano, poi proteggono l’ambiente e anche l’uomo.
Una doppia funzione nello stesso strumento che non si riscontra in altri tipi di energia e di tecnologie del moto e della lavorazione dei prodotti industriali.
L’energia elettrica, cantata spesso ingenuamente dai futuristi, sarà la vera energia del futuro: la domanda globale di elettricità sarà, nel 2050, di 38.700 terawatt per ora, circa il 30% in più dei livelli raggiunti nel 2006.
Un terawatt sono 1012 Watt, e un Watt è un Joule al secondo, ma un joule è il lavoro svolto esercitando la forza di un newton per un metro.
E, infine, il newton è la quantità di forza necessaria per imprimere a un chilogrammo di massa una accelerazione di un metro al secondo quadrato.
Ecco, qualche ricordo di fisica liceale che ci dà l’idea di quanto sia ampia, universale, razionale, efficiente la tecnologia elettromeccanica attuale.
E come sia di gran lunga la più utile, pulita, ragionevole. Certo, c’è la tematica parallela delle fonti dell’energia, ma l’importante, almeno per ora, è che la “fonte” sia rapidamente convertita in energia elettrica.
In Italia, anche per le particolari condizioni riferibili alla pandemia da Covid-19, i consumi di corrente elettrica sono diminuiti del 13%, ma le fonti rinnovabili di energia elettrica hanno già superato il 50%, mentre la domanda petrolifera è caduta del 30% (e questo sarà il principale driver delle trasformazioni geopolitiche mediorientali) e, ancora, quella di metano del 18%, una energia pulita ma non rinnovabile.
Da notare che le importazioni di energia elettrica sono crollate del 70%, per calo dei mercati e maggiore e notevole efficienza dell’uso, con un aumento del 7% dell’importazione anche di energie rinnovabili.
Al netto degli imprevedibili cicli pandemici, l’elettricità, i suoi cicli, i suoi prezzi, le sue tecnologie, è sempre più al centro dei mercati energetici, mentre decade strutturalmente il consumo di fonti non-rinnovabili, legate a un sistema di fabbrica talvolta ancora ottocentesco, ormai arcaico e, spesso, perfino antieconomico.
Ciò vale per l’Ovest ma anche, stiamo attenti, per il cosiddetto Terzo Mondo, che potrebbe, grazie proprio alle tecnologie elettromeccaniche di punta, evitare la fase “manchesteriana” e a massima dispersione energetica, che l’occidente ha sperimentato dalla seconda metà del XIX secolo in poi, fino quasi a oggi.
Da ciò deriva l’attuale ma, soprattutto, futuro aumento della dimensione del mercato dei trasformatori e degli altri sistemi di produzione/trasformazione dell’energia elettrica.
Dall’anello di Pacinotti, scoperto vicino alla Piazza dei Miracoli pisana, alle tecnologie attuali, il tasso di crescita dell’efficienza energetica dei sistemi elettrici è stato, per ogni decennio a partire dal 1950, di oltre il 34%.
Comparato agli altri settori, è un risultato davvero notevole: l’efficienza da non-rinnovabili è cresciuta, in media, del 14%, ma quella delle rinnovabili non-elettriche è salita del 16% a decennio.
Con un livello di investimenti nel petrolifero, peraltro, e parlo solo di tecnologie, che è incomparabilmente superiore al tasso di investimenti in R&D che è stato misurato, sempre dal 1950 in poi, per il settore elettromeccanico.
Da tempo, comunque, gli investimenti in energie rinnovabili hanno superato quelli in non-rinnovabili, peraltro con un tasso di sviluppo delle nuove tecnologie che è maggiore nei Paesi a più recente o bassa industrializzazione. Strano? No. Le condizioni particolari del PVS hanno indotto tutti i governi locali a attente valutazioni del rischio ambientale, energetico, sociale, fiscale.
Supereremo quindi la vecchia idea, colonialista e ormai irreale, di un mondo in Via di Sviluppo che si oppone, fa concorrenza al ribasso dei costi standard o, addirittura, diviene solo un peso per l’Occidente post-industriale, un arcaico concetto da guerra fredda che non ha più fondamento scientifico.
E, in questo caso, il rapporto tra l’energia elettrica, la sua produzione e l’applicazione di essa allo sviluppo economico e sociale sarà centrale.
Innovazioni nei meccanismi produttivi, ben oltre il vecchio sistema-Toyota e le più moderne lavorazioni “a isola”, saranno possibili solo e inevitabilmente utilizzando l’elettricità, che è il più “plastico” dei sistemi energetici e, soprattutto, quello che vale sia per le attività produttive che per quelle comunicative, sociali, di servizi e delle attività non direttamente produttive.
Si può usare ancora il petrolio per far andare avanti una fabbrica, roba da imprenditori suicidi, ma sarebbe ridicolo usarlo ancora oggi per illuminare le case.
L’elettricità vale anche, così com’è, per le fabbriche e gli ospedali, per le auto e i treni come per le TV e i computer.
Massima flessibilità energetica quindi ma, soprattutto, la possibilità di usare le stesse tecnologie di base anche in settori molto differenti tra di loro.
Per i reattori elettrici shunt, essenziale nel mercato elettromeccanico del futuro, si prevede un Tasso di Crescita Annuale Composto (CAGR) del 6,1%, tra il 2020 e il 2025.
Aumento rapido dell’efficienza dei sistemi elettrici, quindi, poi la forte necessità di proteggere le reti dai picchi imprevisti del voltaggio, inoltre la complessità dei nuovi sistemi di trasmissione del movimento e, infine, la facilità del loro controllo continuo.
Tutto fa prevedere che questo mercato avrà, anche dopo il quinquennio citato, un forte sviluppo.
Il mercato dei reattori vale, dati del 2019, 2,9 miliardi di usd.
I drivers di questo settore sono, in primo luogo, la stabile crescita del mercato elettrico, poi la fortissima richiesta, da parte degli utenti, di una maggiore efficienza dei sistemi, ma anche la necessità strutturale di ridurre le perdite nei sistemi di trasmissione, o in quelli di Trasmissione-Distribuzione (T&D) e nella tecnologia delle reti e nei vari sistemi di produzione-uso-controllo delle energie rinnovabili.
Poi, c’è l’espansione degli investimenti (e dello stesso mercato) delle smart grid. Che sarà centrale nelle economie post-Covid-19.
Che sono delle reti elettriche dotate di sensori intelligenti che raccolgono informazioni in tempo reale, ottimizzando, spesso in modo notevolissimo, la distribuzione dell’energia.
Ci sono stati già degli investimenti, per quel che riguarda le sole smart grid, di 200 miliardi di usd, almeno fino a quest’anno e a partire dal 2016, di cui 80 solo in UE, soprattutto nel solo settore della trasmissione, ma la gran parte dei capitali di R&D saranno divisi tra Usa e Cina.
Naturalmente, oltre alle smart grid e alla loro efficienza, si studia molto la questione dei costi di installazione.
Dato che sarà decisivo per la diffusione di queste reti nelle Piccole e Medie Imprese.
Per quel che riguarda la distribuzione dei reattori nucleari, altro argomento chiave ma dimenticato della elettromeccanica, che non è una tecnologia nient’affatto “superata”, ma sempre (ovviamente) da perfezionare e controllare, ma proprio con le nostre reti intelligenti e i meccanismi elettromeccanici che abbiamo sopra rapidamente descritto, sappiamo che gli Usa ne hanno ancora 95 in attività, la Francia 57, eredità della lungimiranza di De Gaulle, la Cina 47, la Spagna 7 e la Germania 7.
Noi niente, ovviamente. Abbiamo lasciato nelle mani di un referendum popolare, pieno di finanziamenti occulti, la principale scelta energetica dei nostri tempi.
Come diceva Gòmez Dàvila, “il popolo non elegge chi lo cura, ma chi lo droga”.
Il mercato della robotica è poi anch’esso in una fase di grandi trasformazioni.
Al 2025, si prevede che il mercato globale dei robot industriali e non sarà di 209,38 miliardi di usd.
L’anno prima, tanto per fare un esempio del tasso di crescita del settore, la previsione era di 165,26 trilioni di usd.
Nel 2019 il mercato mondiale della robotica era di 62,75 miliardi di dollari americani, con peraltro un CAGR colossale, per i nostri tempi di bassi utili, ovvero del 13,5% dal 2020 al 2027.
La robotica è nata, e robot, in lingua ceca “lavoro duro”, ma che deriva da una antica radice slava rabota, che vuol dire “servitù” (le etimologie sono sempre utilissime) come la creazione di automi che imitano-sostituiscono il lavoro umano.
Così come l’Intelligenza Artificiale, altra funzione ad altissimo impatto elettromeccanico, è nata per far imitare a una macchina il pensiero umano. Non è così, in effetti, ma ciò appare agli utenti.
Una idea questa, potremmo dire, “analogica” del rapporto uomo-macchina, mentre prevedo che, tra poco, si potrà immaginare un nesso tra uomo-lavoro e macchina di tipo, sempre per usare la metafora della comunicazione elettrica, di tipo “digitale”.
In altri termini, i robot non imiteranno, con tutta probabilità, il lavoro umano nelle sue forme tradizionali, ma creeranno i loro autonomi sistemi di lavorazione, fuori dal vecchio sistema di fabbrica o da quei meccanismi di lavoro che il marxismo riteneva “alienanti”, ovvero di trasferimento nel prodotto “morto” dell’energia e delle idee “vive” del lavoro umano.
Robot nasce, come idea di base, da un pittore cubista ceco. Non ci si meravigli.
Forse si dovrebbe ancora fare una storia di quanto l’arte contemporanea ha influenzato la tecnologia. Anche e soprattutto nel mito della automazione.
Si qui pensi ai ferrofluidi e alle loro composizioni interne a un campo magnetico…la nascita vera della optical art….ma di questo parleremo in seguito.
La robotica nasce, negli anni ’60 come progetto, ma dopo come realtà industriale, infine come sistema di perfezionamento delle funzioni umane, soprattutto, allora, per quanto riguarda il tempo, ma oggi per quanto riguarda la forma e la funzione del prodotto, oltre al nesso sociale che esso implica.
Se il vecchio sistema di fabbrica implica il meccanismo del lavoro parcellizzato e dipendente, e legato alla catena di produzione, l’attività nuova del robot presuppone, in prospettiva, l’utilizzo della forza-lavoro per funzioni di comando-controllo e non di diretta elaborazione del prodotto finito.
C’è il rischio che, come dicevano il premio Nobel Mike Spence e l’economista di Barack Obama Jason Furman, che la quarta rivoluzione industriale, che prende immediatamente non solo la produzione, ma la vita quotidiana stessa delle persone (l’uso delle app, le banche, etc.) renda in futuro, e rapidamente, la società talmente diseguale da non permettere più la normale rappresentanza democratica e la stessa sopravvivenza delle classi povere.
Rivoluzione 4.0 e globalizzazione possono diventare un cocktail tossico per le società moderne, un mix che le potrebbe portare a dimenticare non solo il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, ma anche i sacri Principi del 1789.
Ci viene in parziale soccorso una non recentissima, ma comunque lucidissima, ricerca del Global Institute della McKinsey, che ha analizzato gli effetti della automazione del lavoro su 46 Paesi, che coprono comunque l’80% della forza-lavoro e, inoltre, su duemila funzioni di lavoro diffuse; ed ecco, il risultato della McKinsey è che le frazioni di lavoro totalmente automatizzabili sarebbe addirittura di meno del 5%.
Ma, e qui in cauda venenum, c’è il 60% delle occupazioni che è costituito da attività che possono essere, magari solo parzialmente, automatizzabili.
E’ questo il vero e reale mercato della robotica per le Piccole e Medie Aziende, non il mito “cubista” di sostituire completamente il lavoro umano nelle grandi imprese.
Nello sviluppo della robotica, quello che farà davvero la differenza sarà però lo hardware che sarà, in futuro, il triplo degli investimenti nel software e otto volte la dimensione dei finanziamenti nel service.
I lavori a basso salario e a bassa qualificazione, come è ben noto, sono quelli maggiormente passibili di robotizzazione. E come sostenere allora queste persone?
Con i sistemi elettronici, ovviamente, e poi AI di riaddestramento a nuove funzioni. Sostenuti in ogni caso da reti energetiche moderne e adatte allo scopo.
Fu Ernesto Rossi, indimenticato economista liberale, allievo e amico di Einaudi, a inventare, quasi ex novo, la Cassa Integrazione Guadagni.
Non un indegno pour boire, ma un vero sostegno, mentre i lavoratori si addestrano alle nuove tecnologie di fabbrica.
I cicli tecnologici, ai tempi di Ernesto Rossi, duravano circa dieci anni. Oggi, a seconda del settore, al massimo due. Ecco il vero problema. Che va risolto con immaginazione pari a quella di Ernesto Rossi.
Detto tra parentesi, invece di chiacchiere sui bonus sarebbe stato necessario questo, e poi non due, ma cinque anni fa.
E qui cambia la società, davvero: tra poco Amazon potrebbe rendere disponibile la sua tecnologia Amazon Go, per cui la vendita al dettaglio sarà possibile solo per pochissimi negozi.
Il Ford F, un furgone per consegne, include oggi un unico robot che porta i pacchi dal veicolo alla porta del recipiente.
ABB ha già installato oltre 400.000 robot industriali, che dovrebbero sostituire, secondo i migliori calcoli, altri 400.000 lavoratori.
Poi ci saranno a breve i baristi robotici, le caffetterie “intelligenti” ma, naturalmente, il barman di qualche albergo in centro avrà sempre la sua clientela.
Qui stiamo parlando del low profile del servizio e della qualità.
Allora Pellizza da Volpedo non funziona più? Vedremo. E chi ripara, aggiorna, pulisce, sistema e organizza i robot? Non assorbiremo del tutto la attuale forza-lavoro espulsa dalle vecchie catene di montaggio manchesteriane e fordiste, ma molto sarà possibile.
Tra tassi di interesse molto bassi, quasi irrazionali, con vasti settori maturi dell’economia, a bassissimo valore aggiunto per lavoratori con compiti ripetitivi, mettendo anche nel conto una massa nuovissima di brevetti in AI (e nelle tecnologie elettromeccaniche) è del tutto ovvio che i capitali di rischio puntino direttamente all’automazione.
I posti di lavoro, e in settori essenziali, che possono essere automatizzati ora sono 50 milioni, n tutto il mondo occidentale, con una quota oggi incalcolabile anche tra i PVS, Paesi in Via di Sviluppo.
Il taglio dei salari previsto potrebbe valere 1,5 trilioni di usd. Altro che incentivi di Stato, qui il capitale va diretto come un treno verso l’automatizzazione, e quindi verso l’elettrificazione intelligente e tecnologicamente sicura delle reti, tra trasformatori, shunt, smart grid e sensori elettrici intelligenti.