“Ad uccidere Attila, il temuto condottiero, padrone del popolo nomade, che aveva terrorizzato per otto anni tutta l’Europa (dal 445 al 453), non era stata una spada, né un silenzioso complotto per il potere: Attila – il “Flagello di Dio”, come lo avrebbero chiamato i cristiani – si arrendeva nel sonno, accanto all’ultima giovane sposa Ildico, sconfitto da un’emorragia. Soffocato dal sangue, il “nettare” di cui si era abbeverato nel suo viaggio terreno.”
Questa la fine del grande Attila, a cui non piaceva che l’erba crescesse sulla terra, che riteneva però di avere diritto al dominio del mondo.
Nel mondo a ben guardare ancora c’è chi crede, nel suo delirio di onnipotenza, di essere il padrone del tempo e nessun pensiero lo distoglie dal voler accumulare denaro e con questo impossessarsi del potere di vita e di morte delle persone.
Ad esempio ancora oggi c’è chi sostiene che le monoculture agricole industriali e gli allevamenti intensivi non siano dannosi all’uomo ed alla natura.
Infatti le istituzioni fanno poco o nulla per la riconversione delle produzioni alimentari in ecosostenibili o biologiche e soprattutto al ritorno ad una agricoltura bioregionale che garantisca la biodiversità.
Similmente ad Attila, che si vantava dicendo che al suo passaggio non sarebbe rimasto nel terreno nemmeno un filo d’erba, si lascia che i nuovi distruttori irrorino i campi con concimi chimici, pesticidi e diserbanti che eliminino tutta l’erba.
Nessuno si pone il problema della possibile desertificazione dei terreni, figurarsi se viene preso in considerazione il fatto che l’uso dei pesticidi e dei concimi di sintesi potrebbe procurare danni irreversibili e forse anche la morte, in primo luogo degli stessi agricoltori e conseguentemente dei consumatori dei loro prodotti. Il dio danaro attira di più e fa passare in secondo ordine la salute. O forse si tratta di ignoranza delle conseguenze di un simile sconsiderato agire?
Così constatiamo i perniciosi danni alla salute e all’ambiente, alle acque di superficie e di falda, all’aria, e con l’avanzare delle monocolture industriali non crescerà più erba né fiori selvatici, come piaceva ad Attila.
Ciò a cui si assiste in questo periodo nel silenzio della stampa e delle istituzioni è di una drammaticità unica.
La gente non fa più danze per la pioggia come nei tempi antichi. Sicuramente però molti hanno pregato perché dal cielo, squarciando le nubi, scendesse la pioggia a mitigare il sollevarsi delle polveri tossiche. I veleni non saranno più nell’aria ma precipiteranno sulla terra ed andranno ad inquinare le acque sotterranee. Dalla padella alla brace…
Possibile che non ci resti altro che pregare e piangere per l’umanità futura?
AICS Ambiente e Rete Bioregionale Italiana
Fonte: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2020/08/basta-veleni-serve-una-biodiversita.html