di Miriam Di Pasquale
ROMA – Per la Giornata Europea della Cultura Ebraica 2020, che quest’anno avrà come tematica i “Percorsi Ebraici” ed avrà un risvolto particolare prettamente on-line a causa della pandemia Covid-19, abbiamo incontrato nella “sua” Trastevere Alan Davìd Baumann, giornalista ed esperto in comunicazione, che presenterà tre video “emozionali”, come lui stesso li definisce.
Caro direttore (Baumann ha creato e dirige da 15 anni la testata giornalistica on-line “L’ideale” – www.lideale.info -ndr), puoi illustrarci i filmati creati per la Giornata di domenica 6 settembre?
Volentieri e ringrazio da subito coloro che condivideranno questi miei spunti che “legano il tempo”. I Percorsi Ebraici narrano di una storia plurimillenaria sopravvissuta a miriadi di soprusi, discriminazioni, ghetti, olocausti ed alla Shoah. Parte di quella, che sotto una particolare ottica potrebbe essere paragonata ad una “Resistenza”, ha partecipato intrinsecamente alla cultura di ogni luogo fosse stata accolta. Spesso si è trattato di veri itinerari lungo la vita di artisti, di comunicatori: dagli antichi cantastorie che ripercorsero la strada della fuga dalla Grande Inquisizione, raccontando e cantando quanto accaduto principalmente in una nuova lingua chiamata Yiddish, ai sogni romantici di Marc Chagall o alle proteste pittoriche di Frida Kahlo, come ho presentato in un filmato per la Giornata del 2019.
(https://www.youtube.com/watch?v=NgZDcj_1S4k&t=7s).
Ho voluto dedicare un paio di video di quest’anno ai percorsi che mi hanno fatto nascere: persone che grazie alle loro vicissitudini ed all’estro che possedevano, si sono incontrati a Roma all’inizio degli anni ’60.
Sei quindi la combinazione di vari itinerari?
Praticamente sono una sorta di incrocio stradale: i cammini delle loro vite spinsero Eva Fischer ed Alberto Baumann ad arrivare a Roma, congiungendo la loro arte, le emozioni, le loro storie personali. Posso testimoniare che “tutte le strade portano a Roma”. Mia madre Eva era nata nel 1920 nella ex-Jugoslavia. Al termine del 2019 ho iniziato – senza sapere la tematica delle Giornate della Cultura 2020 – a contattare le ambasciate degli stati europei da lei attraversati dapprima per sfuggire ai nazifascisti e successivamente per parlare di arte con i suoi amici dell’epoca. Avrei voluto parlare di un secolo storico-culturale – dal titolo EuropEva 192020 -, attraverso le rappresentanze di Ungheria, Croazia, Serbia, Francia, Svizzera, Germania, Spagna. Purtroppo la pandemia ha fermato bruscamente ogni contatto culturale. Descrivo ora questi suoi itinerari nel video “Le Strade dei Colori” (https://youtu.be/XTkFQXqJLvY).
Mio padre Alberto era invece di Montecatini Terme, figlio di Alessandro – giornalista ungherese prigioniero degli italiani nella Grande Guerra – e della livornese (benché nata a Nizza) Estella Piperno. Durante il periodo dell’occupazione Alberto attraversò il Paese per fuggire alle deportazioni, mentre nel primo dopoguerra si recò a lavorare in Svizzera ed in Germania. Nel 1967 partì per la Guerra dei Sei Giorni e quando tornò propose di creare a Roma un giornale per far conoscere le diverse voci dell’ebraismo al di fuori dalla Comunità. Nacque il mensile “Shalom”. Nel video “I Colori rubati da Alberto Baumann” (https://youtu.be/GKvcvJlMwas), c’è anche una bella testimonianza di Lia Levi, prima direttrice del mensile.
Nulla contro l’omaggio che hai fatto ai tuoi, ma si tratta forse del tuo ego smisurato?
Non prevalentemente. Ho sempre sostenuto di esser nato fortunato e per questo intendo condividere le testimonianze dei miei genitori. Le loro opere d’arte vivranno in eterno, ma vanno trasmessa anche le loro storie di fuga e ricostruzione. Non è detto che le nuove generazioni siano a conoscenza di coloro che riuscirono a scappare agli orrori del XX° secolo. In ambito ebraico, i giovani non sono solo i discendenti di 6 milioni di uccisi, ma anche di coloro che riuscirono a sopravvivere. Credere nella vita è una delle forze insite in ogni ebreo.
Sappiamo che hai anche “varcato” i confini comunitari romani …
Vicino alla Capitale, precisamente poco al di fuori dallo stato Pontificio, esiste un borgo con una sua storia ebraica, tanto da essere chiamato Piccola Gerusalemme. Pitigliano fa storia a sé, pur facendo parte della Comunità livornese. La splendida Sinagoga “cela” un mondo ebraico in estinzione, costituito dal Forno delle azzime, i locali del bagno rituale Mikveh e di dove si faceva la macellazione rituale. Vi è anche un ampia cantina dove si manteneva il vino e tanto altro ancora. Arroccata nel tufo, un’antica comunità è riuscita a vivere ed a condividere con i Gentili le proprie usanze. E’ stata accettata ed aiutata a tramandarsi nel corso dei secoli. Chi fuggiva trovava nella cittadella toscana accoglienza e rispetto. Un percorso obbligato dell’ebraismo italiano.
Diversi sono stati i documentari sulla “Piccola Gerusalemme”. Perché ne hai voluto parlare anche tu?
Oltre trent’anni or sono rimasto incantato da Pitigliano. Ho poi collaborato con il Pitifest che per alcuni anni era riuscito a far rivivere la presenza ebraica fuori dalle consuete sedi museali. Poi lo scorrere del tempo non ha più dato credito a questa importante rassegna culturale. Perfino il locale vino kasher (uno dei primi in Italia) non ha avuto gran seguito. La presenza ebraica si sofferma oggi solo nella signora Elena Servi: suo figlio è l’ultimo israelita nato lì. Con lei, Presidente dell’Associazione “La Piccola Gerusalemme”, abbiamo avuto una piacevole chiacchierata. Aveva finito da poco di scrivere un riassunto storico sulla sua comunità e l’ho pregata di leggermelo. E’ stato un susseguirsi di emozioni, di ricordi. Con rammarico Elena teme che il seguito dell’ebraismo pitiglianese verrà tramandato solo nelle pagine dei libri. Mi sono unito a lei nello sforzo di dare un seguito all’ebraismo locale, almeno nelle attenzioni che dovrebbero essere rivolte verso la sua storia. La storia non va calpestata o dimenticata, ma tramandata. Pitigliano è posto soave e rilassante dove ogni tanto bisognerebbe recarsi, se non altro per lasciare al di fuori le amarezze di questo mondo, attualmente parecchio strano. Per far questo c’è bisogno di aiuti morali e materiali. A mio avviso il nome “Piccola Gerusalemme” non è dovuto solo alla forte presenza ebraica del passato, ma a quell’aria magica che vi si respira, simile a quella della capitale di Israele. E’ possibile vedere parte del mio incontro con la signora Servi in un video (https://youtu.be/2DpU5MBXGLs) che presenterò con lei presso la Sinagoga-Museo di Pitigliano, alle ore 17.00 di domenica 6 settembre.