di Maddalena Celano, responsabile esteri di Convergenza Socialista
Poche ore fa, la piattaforma video online YouTube e la società Google, hanno disabilitato gli account della Cubavisión Internacional, una TV di proprietà statale cubana e il programma televisivo cubano Mesa Redonda, per aver violato i loro standard di servizio.
I due media hanno denunciato che la cancellazione è dovuta a una presunta “violazione delle leggi sull’esportazione” degli Stati Uniti, che sarebbe collegata all’embargo commerciale e finanziario di Washington contro Cuba.
La censura dei media cubani: un atto infamante contro ogni “buon senso”!
In un comunicato pubblicato sul sito ufficiale di Cubadebate, il programma televisivo ha protestato contro “l’arbitrio” di chiudere i profili “senza alcun diritto di protesta”.
Cubavisión Internacional, da parte sua, ha affermato che “alla radice di questi eventi c’è la portata del ‘blocco’ economico, finanziario e commerciale imposto dal governo degli Stati Uniti contro Cuba, più di mezzo secolo fa”.
Divieti statunitensi
Le informazioni di supporto di Google, citate da entrambi i media cubani, affermano che “in conformità con le leggi sull’esportazione degli Stati Uniti, è possibile che il trasferimento di applicazioni Google Play a paesi soggetti a embargo sia vietato”.
Il programma Mesa Redonda, creato dal defunto ex presidente Fidel Castro, più di due decenni fa, ha aperto il suo canale YouTube nel 2009 e ha raccolto più di 19.000 abbonati.
Cubavisión Internacional è la televisione di stato cubana rivolta al mondo, con trasmissioni satellitari e in streaming. Sulla piattaforma video, aveva circa 8.000 follower.
Casi precedenti altrettanto inquietanti
Non è la prima volta che le aziende statunitensi chiudono pagine sui social network dei media cubani e dei funzionari statali.
Nel settembre 2019, Twitter ha sospeso gli account dei principali media cubani, tutti ufficiali, durante un intervento televisivo del presidente del Paese, Miguel Díaz-Canel.
Nel 2011 YouTube ha chiuso il canale Cubadebate, il quale ha riferito che fino a quando la Tavola Rotonda non aprirà un altro profilo sulla piattaforma online, le trasmissioni saranno effettuate attraverso il social network Facebook e il nuovo canale del sito ufficiale su YouTube.
Stati Uniti e Cuba stanno vivendo oggi uno dei momenti peggiori del loro delicato rapporto bilaterale, ristabilito ufficialmente nel 2015 nell’ambito del “disgelo” promosso dagli ex presidenti Barack Obama e Raúl Castro.
Recentemente, poco più di un mese fa, dopo il lockdown causato dalla pandemia COVID-19, a Cuba, è stata diffusa una lista ufficiale di attività per le quali s’iniziava un ritorno graduale alla normalità, annunciando che sarebbero state ulteriormente confermate dalle più alte autorità, nella trasmissione televisiva Mesa Redonda del giorno dopo. Un senso di sollievo e d’aspettativa percorse le menti dei cubani. Ma con l’avanzare delle ore, un messaggio si diffuse con la velocità di un fulmine.
Di cellulare in cellulare, attraverso la rete di messaggeria WhatsApp, cominciò a circolare una lista di misure che mescolavano quelle presentate ufficialmente con altre chiaramente false, alcune pensate per provocare stupore, disagio, disappunto, calunnie e diffamazione verso le autorità cubane.
Tra i gruppi di navigatori delle chats private e viceversa, la portata della lista fake si moltiplicò enormemente. Non si saprà mai esattamente quante persone l’hanno letta e quanti hanno creduto al suo contenuto o hanno potuto riconoscere il linguaggio sospetto, molto distante dai termini abitualmente utilizzati negli ambienti del governo, nel quale si notavano le stonature.
Rapidamente diversi giornalisti dei media ufficiali, per iniziativa personale, hanno allertato dalla loro “home” di Facebook sulla circolazione della falsa lista di misure anti-COVID19. Probabilmente, la maggior parte dei cubani che hanno internet nel cellulare e utilizzano WhatsApp l’avranno già letta. Il giorno dopo, con la Mesa Redonda, è stata dimostrata la sua falsità, ma già la lista aveva realizzato il suo fine.
Creare scontento e disagio nella popolazione.
Come si trattasse di antibiotici che perdono efficacia, nella risposta di fronte all’uso delle reti sociali per la guerra mediatica contro Cuba alla quale partecipano molti attori sociali con ruoli diversi, non è sufficiente contrapporre la vera informazione. Non si tratta già dell’immediatezza del digitale contro il ritmo proprio dei media tradizionali.
Si tratta, principalmente, di intenzionalità.
L’evoluzione della guerra mediatica finanziata dagli Stati Uniti si è mossa dal terreno informativo alla sfera emotiva. E non si tratta di una dinamica di disinformazione contro la vera informazione, ma di emotività contro la razionalità.
Il proposito della lista non era l’effimero disinformare, ma mantenere attive, in segmenti della società cubana, la mancanza di fiducia, il risentimento e l’avversione verso tutto quello che provenga dalla direzione politica dell’Isola. Non importano i risultati raggiunti o se, al momento, si realizzano gli obiettivi proposti.
Non è una guerra di contenuto, ma di spinte emozionali.
Quando le persone fanno scivolare il dito sul loro cellulare o aprono la loro “home” di Facebook, in pochi istanti, passano davanti ai loro occhi immagini e titoli che captano, o meno, la loro attenzione. Un crescente numero di pagine webs controrivoluzionarie basano la loro portata mediatica sulla semplice combinazione di immagini e titoli, con l’effetto della manipolazione che questa produce.
Anche se la persona non apre il contenuto, questo basta per creare un clima di tensione e disagio.
Il semplice uso di titoli e contenuti di lettura rapida si combina con scherzi, fake news e la produzione di video fasulli su YouTube, o la trasmissione in diretta di video via Facebook (magari tutti girati a Miami o in qualche altro paese caraibico, ma certamente non a Cuba).
Gli studi di traffico o lettura, di cui beneficiano i siti digitali dei grandi media, non sono capaci di misurare l’effetto soggettivo che produce emotivamente questo tipo di guerra della comunicazione.
Questa influenza sulle emozioni, nelle reti sociali, è stata efficace per caldeggiare prezzi più bassi per l’accesso a internet, per incrementare l’inquietudine provocata dalla scarsità di alcuni prodotti e dalle code nei negozi, il disgusto di fronte alla cattiva qualità di vari servizi, etc.
Come, tra l’altro, se il problema delle file al supermercato fosse un problema prevalentemente cubano: mentre si tratta di un problema estremamente diffuso in tanti paesi “liberal-capitalisti”, come anche il problema della scarsità di alcuni prodotti, durante il periodo di lockdown.
Costantemente si pongono come «leaders d’opinione»: musicisti, umoristi, attori e ogni tipo di figure pubbliche. Ovviamente le loro pubblicazioni sono abbastanza superficiali per tornare utili a una qualsiasi forma di critica costruttiva ed attendibile. Ottenere la decomposizione di dibattiti legittimi e le critiche necessarie è una missione permanente.
Sequestrare cause sociali e temi come il razzismo, i diritti sessuali o i ruoli di genere, le cui conquiste educative e legislative sono state portate avanti precisamente proprio grazie alla loro integrazione con le istituzioni, come parte dell’agenda di governo e delle trasformazioni che la Rivoluzione ha prodotto, è un altro dei loro obiettivi. Trasformare la sensibilità, su determinati temi sociali, in fanatismi irrazionali, è un modo per attaccare il processo rivoluzionario e i risultati raggiunti (proprio sulle questioni di genere e le libertà sessuali).
Coloro che prima sono stati discriminati, ora si mostrano tanto e più intolleranti contro le stesse istituzioni che difendono apertamente i loro diritti.
Ma a loro importano davvero i diritti sessuali dei cubani? Mi riferisco a coloro che lavorano in queste reti, dietro ai media digitali. Si tratta di gente che beneficia di denaro per versare veleno contro il loro stesso popolo.
Chi lotta maggiormente per questi diritti?
Quelli che perseguitano insultando ed esigendo la censura e l’oscuramento delle azioni positive svolte da Cuba (azioni positive che hanno già portato risultati estremamente incoraggianti ma, per i miracoli, nessuno è ancora attrezzato), o un’istituzione come la ICRT, che per politica dello Stato produce telenovelas (dai contenuti socialmente utili) con messaggi sociali, di sensibilizzazione, ed emette ore di trasmissioni culturali ed educative sul tema?
Si tratta di costruire una specie di «festa virtuale» nella quale vediamo i mercenari al servizio della strategia degli Stati Uniti contro Cuba, come i nostri «amici di Facebook», come se si trattasse dell’attività sociale più naturale del mondo.
Oggi 3,9 milioni di cellulari a Cuba hanno la connessione per dati mobili a internet. Si stima che alla fine di quest’anno saranno 4.2 milioni; questo equivale alla metà della popolazione adulta. Significa che il paese ha più cellulari con connessione che televisori.
Sommando i cubani che si connettono per altre vie, la cifra si eleva a più di sette milioni e continuerà a crescere.
A proposito di questo, il Presidente cubano Miguel Diaz Canel, ha affermato davanti al Consiglio dei Ministri: «Non possiamo continuare ad essere ancorati a forme di comunicazione precedenti all’era digitale e non possiamo burocratizzare i processi ideologici».
Sarebbe doveroso integrare, nelle strutture di base delle organizzazioni politiche, nella loro agenda principale, lo studio del funzionamento mediatico e dei social-network.
Coloro che hanno più esperienza e conoscenza accumulata, sul tema, non sono quelli di maggior età; ciò necessita che tutti siano ricettivi di fronte al fatto di vivere non solo un’epoca di cambiamento, ma anche di un cambiamento d’epoca.