Un’idea morale ed un’etica utopica esercitano sovente un grande appeal attrattivo su molti intellettuali. Come tutte le idee aldilà della portata attuativa rischia però di diventare un’altra forma di “ismo”, una ideologia che si prefigge attraverso i suoi propagatori di elevare la coscienza con il solo risultato di contribuire a ulteriormente dividere la società umana in “credenti” e “infedeli”, buoni e cattivi. Insomma una religione che inneggia alla morale ed all’etica manca spesso di capacità attuativa e come tutte le finalità religiose resta un ideale alla portata di pochi “eletti” disgiunti dal contesto umano.
Ritengo personalmente che per andare verso una consapevolezza della comune appartenenza e della pari dignità e complementarietà delle forme vitali e delle reciproche relazioni fra specie, sia importante che vengano innanzitutto riconosciute le differenze per poter allo stesso tempo riconoscere l’eticità naturale nel loro rapporto, senza forzare la natura.
L’astrazione del pensiero trasformato in “morale” non aiuta la manifestazione di una spontanea “compassione” che sorge in un interspecismo maturo. Tutti gli esseri viventi attingono e si originano dalla comune matrice che differenziandosi ha assunto le innumerevoli forme, ognuna complementare e relata alle altre, ognuna con alcuni aspetti evolutivi utili al mantenimento della vita ed alla ulteriore propagazione e fioritura di nuove specie. L’uomo non è l’ultima parola in natura e questo deve essere sempre presente nella considerazione di chi si pone il “problema” del bene collettivo.
“L’uomo che non voglia far parte della massa non ha che da smettere di essere accomodante con se stesso; segua piuttosto la propria coscienza che gli grida: ’sii te stesso! Tu non sei certo ciò che fai, pensi e desideri ora’. Ogni giovane anima sente giorno e notte questo appello e ne trema; infatti presagisce, rivolgendo il pensiero alla sua reale liberazione, la misura di felicità destinata dall’eternità; felicità che non riuscirà mai a raggiungere se incatenata dalle opinioni e dalla paura. E quanto assurda e desolata può divenire l’esistenza senza questa liberazione! Nella natura non c’è creatura più vuota e ripugnante dell’uomo che è sfuggito al suo genio e ora volge di soppiatto lo sguardo a destra e a sinistra, indietro e ovunque. Un tale uomo alla fine non lo si può neppure attaccare: è solo esteriorità senza nucleo, un marcio costume, pitturato e rigonfio, un fantasma agghindato che non può ispirare paura e tanto meno compassione.” (Friedrich Nietzsche)
C’è poi una differenza sostanziale tra la morale e l’etica, che derivano da una catechesi religiosa, ed un giusto comportamento naturalistico. Tanto per cominciare osserviamo che i dettami religiosi, apparentemente utili alla convivenza sociale ed al rispetto per la natura e per i propri simili, hanno una origine chiaramente antropocentrica, non rivolta al miglioramento generale della qualità della vita, in senso fisiologico, bensì all’ottenimento di meriti o demeriti i cui risultati saranno usufruibili in un “post mortem”. Qui soprattutto stiamo parlando degli insegnamenti delle religioni monolatriche di origine giudaica poiché altre “religioni” -soprattutto orientali ma anche quelle di carattere matristico dell’Antica Europa- nelle loro espressioni non riconoscono l’esistenza di un “Dio” personale creatore e giudicante le sue creature, bensì di un evolversi spontaneo dell’esistenza che sempre tende alla crescita coscienziale. Le religioni monolatriche, ebraismo, cristianesimo ed islam, esprimono dettami che soddisfano la presunta volontà del demiurgo adorato, quindi il premio od il castigo sono condizionati dall’aderenza alle norme scritte (per altro da altri uomini autodefinitisi profeti o messia) attraverso le quali ottenere il passaporto per l’aldilà. Prova ne sia che – a parte alcune indicazioni alimentari, essenzialmente dovute a ragioni climatiche- tutti i comandamenti insegnati nella catechesi religiosa hanno una funzione moralistica di controllo sociale.
La convivenza pacifica, la solidarietà fra umani ed animali, il rispetto della natura, non interessano queste religioni, tant’è che leggendo il corano, il vangelo e la bibbia troviamo numerose citazioni che incitano alla “guerra” ed alla distruzione degli “infedeli”. E’ detto che “Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza” forse sarebbe più corretto dire che tali uomini crearono un Dio a loro sembianza e piacimento. E qui parliamo specificatamente di “uomini” nel senso di maschi, maschilisti e dominatori, poiché le donne -come abbiamo visto in altre pubblicazioni- sono considerate esseri inferiori, quasi al livello degli animali. La morale religiosa è misogina e contro natura e se un obbligo viene stabilito ha sempre un risvolto utilitaristico che non tiene conto dell’etica universale.
Faccio un esempio concreto nell’uso prevaricatorio consentito verso i nemici, gli animali e le forme di vita in generale. Il nemico sconfitto diventa succube e schiavo, gli animali sono oggetto di sfruttamento senza limiti, la natura viene considerata serva passiva delle necessità umane –o presunte tali- senza tener conto delle conseguenze. In realtà l’etica “religiosa” non esiste affatto è solo una parvenza poiché non tiene conto del contesto in cui si manifesta, delle diverse situazioni o della universalità nella sua attuazione. Per la bibbia Dio è al disopra di noi e l’uomo è un peccatore senza alcun potere, quindi egli non può evolversi e redimersi se non attraverso l’ubbidienza ai dettami impartiti dai suoi ministri. Da ciò ne consegue che ci sono nella società umana figli e figliastri, o addirittura esseri sub-umani esclusi dal conteggio. Il beneficio della “misericordia” è estensibile -ad esempio- solo a quelli che fanno parte del “popolo eletto”, ai membri della stessa parrocchietta, e non a tutti indistintamente (basterebbe in tal senso leggersi le ingiunzioni della Torah).
Purtroppo questo atteggiamento fariseo è stato in parte ripreso anche dalla scienza in cui si tiene conto del “bene” e dell’utilità di ogni scoperta tesa allo specifica vantaggio dell’uomo, in quanto specie dominante. O peggio ancora dell’uomo in quanto società dominante. Basti vedere la continua ricerca di armi di distruzione di massa portata avanti dalle elites al potere, per questioni di dominio, senza considerare le conseguenze nell’uso di tali “invenzioni”. Vorrei anche portare l’esempio del sistema medico farmaceutico basato sulla vivisezione, introdotta prima negli USA e poi adottata nel resto della società “civilizzata”. La fisiologia di un topo o di un cane è totalmente diversa da quella di un essere umano ma si è fatto obbligo -prima di dichiarare un medicinale adatto all’uso umano- che ne venga testata la validità sugli animali. Ovvero gli animali vengono fatti soffrire volontariamente con il fine “etico” di salvaguardare la salute umana, per altro cosa che la sperimentazione su animali non potrà mai dimostrare poiché basata sugli esperimenti su specie diverse dall’uomo. Volendo restare in questo filone “etico-utilitaristico” possiamo notare che lo sfruttamento del mondo animale per fini voluttuari ha raggiunto livelli assolutamente privi di ogni eticità, forse perché nella bibbia è detto che gli animali possono essere usati a piacimento dell’uomo, questa è la concessione che il demiurgo fece nell’alleanza stipulata con Noè dopo il diluvio universale.
Allora dove può risiedere il vero senso dell’etica? É ovvio che va ricercato in se stessi, nella propria esperienza di vita, nella capacità empatica che sviluppiamo attraverso l’osservazione delle cause ed interazioni del bene e del male e che riconosciamo anche in noi stessi, vedendoli rispecchiati negli altri. Il ruolo della persona etica è proprio quello di saper vivere senza nuocere. Questo riferimento preciso al valore della persona “in quanto depositaria della prima scintilla di Coscienza dalla quale tutto deriva” rientra nell’ambito della Spiritualità Laica e non ha nulla a che vedere con la religione. Se si vuole ottenere chiarezza nella vita, non serve studiare gli insegnamenti religiosi ma approfondire solo una ricerca. Quale? La ricerca di se stessi in se stessi. Perché dentro ognuno di noi ci sono tutte le risposte.
Scrive il celebre pensatore Henry Corbin: “Mancando la persona, assente ciò che ne rende possibile la preminenza, ci troviamo di fronte al nichilismo agnostico: non c’è più nessuno; l’uomo è scomparso”.
Quindi la vera fonte dell’etica universalista risiede nell’esperienza e nel riconoscimento della comune appartenenza e del pari valore che ogni fenomeno o ogni altro essere condivide con noi, attraverso il nostro rapporto empatico. La libera crescita della coscienza non è descrivibile od etichettabile, come potrebbe esserlo la mente od il corpo, è il risultato di un approfondimento evolutivo nella conoscenza di sé e del nostro prossimo. Ne deriva una capacità di guardare ai diversi modi espressivi della vita con comprensione ed accettazione. Infatti, l’adesione ad una specifica credenza, ad una scuola, ecc., non ha valore quale supporto legittimo per diventare fonte di danno per sé e per gli altri. Notiamo che il senso etico prevalente nel mondo in cui viviamo è il risultato di un simile errore perpetrato soprattutto dalle tre principali religioni monoteistiche.
Ovviamente nella ricerca del proprio Sé non possiamo fermarci alla conoscenza della “persona”. La persona ci consente di apprendere i vari modi espressivi della mente, comuni a tutti, e quindi di poter rispettare gli altri come noi stessi, ma il passo successivo di un’etica matura deve indirizzarsi verso il “transpersonale”, da qui sorge un distacco, una consapevolezza del significato dei miti, riconoscendoli simbolicamente, ed è a questo punto che irrompono gli archetipi primordiali ed il vuoto al limite della mente. Questo stato viene descritto da Gurdjeff come “negatività purgatoriale” una condizione preliminare alla perdita della fissità individuale e foriera dell’assorbimento nel Sé. Questa consapevolezza-testimonianza, chiamatela se volete “essenza sottile”, è come un aroma che emana dalla materia, dal che se ne deduce che non può esserci separazione fra la materia e lo spirito. Nemmeno può esserci vantaggio personale a scapito altrui, poiché siamo in un unicum.
Non si pensi però che lo stato di totale empatia possa essere raggiunto attraverso uno studio od una comprensione intellettuale poiché l’intento è un aspetto della mente, mentre la consapevolezza – che è pura coscienza – consente il manifestarsi di tutti i processi che appaiono nella mente ma non ne è toccata. In verità questo stato di assoluta libertà è già presente e connaturato in noi, ma è stato oscurato da una mole di credenze e false nozioni su noi stessi e sul mondo percepito come separato da noi. Questa separazione è fonte di angoscia ed è proprio per questa ragione che le filosofie orientali, in particolare il buddismo, si sono indirizzate verso il superamento della sofferenza. Per ottenere ciò dobbiamo compiere una rivoluzione a 180 gradi. Per essere in armonia con noi stessi e con tutto ciò che ci circonda occorre ribaltare il concetto egoico antropocentrico che ha generato negli ultimi millenni carneficine inimmaginabili, desertificazioni immense, saccheggi di luoghi incontaminati e indifesi. Jean-Paul Sartre diceva che dal mancato incontro con l’altro derivano le sofferenze e il dolore che gli uomini si infliggono l’un l’altro.
Nel non credere alle norme precostituite, alle abitudini del mondo, c’è la chiave per la liberazione. “Non credere in quello che dico. Non prendere dogmi o libri come infallibili. Non credere agli altri e non credete nemmeno ai maestri. Non credere a nessuno e questo è il mio unico vero insegnamento che ti darò. Non credere mai!” (Buddha)
Nelle forme più raffinate del buddismo, come ad esempio nella sistema Zen, molta importanza si da all’empatia che si sviluppa attraverso i rapporti interpersonali. Godendo e soffrendo assieme agli altri. Il vero altruismo è però un’arte che occorre sviluppare, poiché se è facile condividere la gioia risulta più difficile condividere la sofferenza. In tal senso l’adepto zen “assisterà” il sofferente invitandolo a superare il dolore nel modo giusto. Gli suggerirà di non aspettarsi consolazioni o che sia il tempo a portare la guarigione, gli farà capire che potrà vincere il suo dolore solo accettandolo come parte del suo destino. Chi è capace di tanto riesce a sopportare la propria sofferenza e se ne libera. Questa liberazione porta alla guarigione tanto più sicuramente quanto più sinceramente si partecipa al dolore altrui, cioè quanto più sensibili si diventa verso il dolore di chiunque. Il sofferente, reso cosciente da questa radiografia del suo stato d’animo, percepisce direttamente che a liberarlo dal dolore non è il rifiuto dello stesso né la fuga dall’esistenza. Questa è una genuina forma di etica altruistica.
Ma ora vediamo più in dettaglio come viene affrontato il concetto di “etica” in altre filosofie orientali. Questo concetto, ad esempio, non è contemplato nel taoismo, poiché l’etica appartiene al ragionamento e quindi al cervello logico. Ovvero è una costruzione mentale speculativa e preordinata. Una sorta di condizionamento che subentra in seguito all’accettazione di regole comportamentali. Nel taoismo non vi sono regole codificate, tutto l’agire avviene nella spontaneità e nell’idoneità di rispondere alla situazione corrente. L’etica viene considerata una sorta di calmieratore per regolamentare i rapporti interpersonali nella società, ciò comporta il predominio della coscienza razionalista, la parte giudicativa della mente prende così il sopravvento nel funzionamento e da qui l’insorgere delle religioni, del sistema gerarchico e della arroganza dell’uso nei confronti delle altre creature e della natura. Da una parte si opprime considerandolo un proprio diritto e dall’altra si difende in considerazione della propria “superiorità” ideologica (etica).
Nel Hua Hu Ching è detto: “Agli altri esseri comuni spesso si richiede tolleranza. Per gli esseri integrali non esiste una cosa come la tolleranza, perché non esiste nessuna cosa come le altre. Essi hanno rinunciato a tutte le idee di individualità e ampliato la loro buona volontà senza pregiudizi in qualunque direzione. Non odiando, non resistendo, non contestando. Amare, odiare, avere aspettative: tutti questi sono attaccamenti. L’attaccamento impedisce la crescita del proprio vero essere. Pertanto l’essere integrale non è attaccato a nulla e può relazionarsi a tutti con una attitudine non strutturata.”
Nel taoismo, che propriamente è una forma di naturalismo vissuto senza enfasi, si indica l’astenersi dagli eccessi, sia in positivo che in negativo, come un naturale atteggiamento di vita. Si comprende il bene ed il male ma non si predilige né l’uno né l’altro. Il bene (Yang) ed il male (Yin) sono i due aspetti del manifestarsi della esistenza su questa terra. Ed è per questa ragione che i taoisti irridevano il buon Confucio che da razionalista convinto spingeva per un’etica sociale e politica, mentre essi si limitavano a permanere nella propria natura originale. Rispettando le propensioni naturali, non governandole quindi per convenienza utilitaristica. Occorre superare il distacco che ha portato quasi a radicalizzare il conflitto tra spontaneità e retorica, e ciò senza voler efficientemente promuovere ed affermare e ri-pensare la verità della propria natura originaria in quanto risultato di una concezione “etica”.
In definitiva secondo il taoismo etica e morale son due pensieri cangianti e relativi, due qualità utili semplicemente alla convenienza sociale, due forme ipocrite di asservimento alle consuetudini. Infatti la morale e l’etica sono state usate da tutte le religioni come bandierine simboliche per giustificare il “bene” programmato a sistema.
Paolo D’Arpini – spiritolaico@gmail.com
Testo Inglese:
A moral idea and a utopian ethics often exert a great attractive appeal on many intellectuals. Like all ideas beyond the scope of implementation, however, it risks becoming another form of “ism”, an ideology that aims to raise awareness through its propagators with the sole result of helping to further divide human society into “believers” and “infidels”, good and bad. In short, a religion that praises morals and ethics often lacks implementation capacity and like all religious purposes it remains an ideal within the reach of a few “chosen” people who are separated from the human context.
I personally feel that in order to move towards an awareness of the common belonging and of the equal dignity and complementarity of the vital forms and of the reciprocal relationships between species, it is important that the differences are first of all recognized in order to be able at the same time to recognize the natural ethics in their relationship, without force nature.
The abstraction of thought transformed into “morality” does not help the manifestation of a spontaneous “compassion” that arises in a mature interspecism. All living beings draw on and originate from the common matrix that differentiating itself has taken on innumerable forms, each complementary and related to the others, each with some evolutionary aspects useful for the maintenance of life and the further propagation and flowering of new species. Man is not the last word in nature and this must always be present in the consideration of those who pose the “problem” of the collective good.
“The man who does not want to be part of the crowd has only to stop being accommodating to himself; rather, follow your conscience that shouts at you: be yourself! You are not sure what you do, think and desire now. ” Every young soul hears this call day and night and trembles with it; in fact foreshadows, turning the thought to its real liberation, the measure of happiness destined for eternity; happiness that will never be able to achieve if chained by opinions and fear. And how absurd and desolate existence can become without this liberation! In nature there is no more empty and repulsive creature than man who has escaped his genius and now turns his eyes to stealthily to the right and left, back and everywhere. In the end, such a man cannot even be attacked: it is only a nucleusless exterior, a rotten costume, painted and swollen, a dressed-up ghost who cannot inspire fear, much less compassion. ” (Friedrich Nietzsche)
Then there is a substantial difference between morality and ethics, which derive from a religious catechesis, and a just naturalistic behavior. To begin with, we observe that religious dictates, apparently useful for social coexistence and respect for nature and for one’s fellowmen, have a clearly anthropocentric origin, not aimed at the general improvement of the quality of life, in a physiological sense, but at obtaining of merits or demerits whose results will be available in a “post mortem”. Here above all we are talking about the teachings of monolatric religions of Judaic origin since other “religions” – especially oriental but also those of a matristic character of Ancient Europe – in their expressions do not recognize the existence of a personal “God” creator and judging his creatures, but rather of a spontaneous evolution of existence that always tends to conscious growth. The monolatric religions, Judaism, Christianity and Islam, express dictates that satisfy the presumed will of the worshiped demiurge, therefore the reward or the punishment are conditioned by the adherence to the written norms (on the other hand by other men self-defined prophets or messiahs) through which to obtain passport to the afterlife. Proof of this is that – apart from some food indications, essentially due to climatic reasons – all the commandments taught in religious catechesis have a moralistic function of social control.
Peaceful coexistence, solidarity between humans and animals, respect for nature do not affect these religions, so much so that reading the Koran, the Gospel and the Bible we find numerous quotes that incite “war” and the destruction of “infidels” . It is said that “God created man in his image and likeness” perhaps it would be more correct to say that such men created a God in their liking and liking. And here we speak specifically of “men” in the sense of males, male chauvinists and dominators, since women – as we have seen in other publications – are considered inferior beings, almost at the level of animals. Religious morality is misogynistic and unnatural and if an obligation is established it always has a utilitarian aspect that does not take universal ethics into account.
I give a concrete example in the prevaricatory use allowed towards enemies, animals and animals to succubus and slave, animals are exploited without limits, nature is considered passive servant of human needs – or presumed such – without taking into account the consequences. In reality, “religious” ethics does not exist at all, it is only a semblance since it does not take into account the context in which it occurs, the different situations or the universality in its implementation. For the Bible, God is above us and man is a sinner without any power, therefore he cannot evolve and redeem himself except through obedience to the dictates imparted by his ministers. From this it follows that there are children and stepchildren in human society, or even sub-human beings excluded from counting. The benefit of “mercy” is extensible – for example – only to those who are part of the “chosen people”, to the members of the same parish, and not to everyone without distinction (in this sense it would be enough to read the injunctions of the Torah).
Unfortunately, this Pharisee attitude has also been partially taken up by science in which the “good” and usefulness of any discovery aimed at the specific advantage of man, as a dominant species, is taken into account. Or even worse than man as a dominant society. Suffice it to see the continuous search for weapons of mass destruction carried out by the elites in power, for reasons of domination, without considering the consequences in the use of these “inventions”. I would also like to take the example of the vivisection-based medical pharmaceutical system, first introduced in the USA and then adopted in the rest of “civilized” society. The physiology of a mouse or dog is totally different from that of a human being, but it was mandatory – before declaring a medicine suitable for human use – that its validity is tested on animals. That is, animals are made to suffer voluntarily with the “ethical” aim of safeguarding human health, for another thing that animal experimentation will never prove because it is based on experiments on species other than humans. Wanting to remain in this “ethical-utilitarian” strand we can note that the exploitation of the animal world for voluptuous purposes has reached levels absolutely devoid of any ethics, perhaps because in the bible it is said that animals can be used at will of man, this is the concession that the demiurge made in the covenant made with Noah after the universal flood.
So where can the true sense of ethics reside? It is obvious that it must be sought in oneself, in one’s life experience, in the empathic ability that we develop through the observation of the causes and interactions of good and evil and which we also recognize in ourselves, seeing them mirrored in others. The role of the ethical person is precisely that of knowing how to live without harming. This precise reference to the value of the person “as the custodian of the first spark of Consciousness from which everything derives” falls within the sphere of secular spirituality and has nothing to do with religion. If one wants to obtain clarity in life, it is not necessary to study religious teachings but to deepen only research. Which? The search for oneself in oneself. Because inside each of us there are all the answers.
The famous thinker Henry Corbin writes: “Lacking the person, absent what makes his pre-eminence possible, we are faced with agnostic nihilism: there is no one else; man has disappeared. “
So the real source of universalist ethics lies in the experience and recognition of the common belonging and the equal value that every phenomenon or every other being shares with us, through our empathic relationship. The free growth of consciousness cannot be described or labeled, as the mind or body could be, it is the result of an evolutionary deepening in the knowledge of oneself and our neighbor. The result is an ability to look at the different expressive ways of life with understanding and acceptance. In fact, adherence to a specific belief, to a school, etc., has no value as a legitimate support to become a source of damage for oneself and for others. We note that the ethical sense prevalent in the world in which we live is the result of a similar error perpetrated above all by the three main monotheistic religions.
Obviously in the search for one’s self we cannot stop at the knowledge of the “person”. The person allows us to learn the various expressive ways of the mind, common to all, and therefore to be able to respect others as ourselves, but the next step of a mature ethics must be directed towards the “transpersonal”, hence a detachment , an awareness of the meaning of myths, recognizing them symbolically, and it is at this point that the primordial archetypes and the void at the limit of the mind break in. This state is described by Gurdjeff as “purgatorial negativity” a preliminary condition to loss of individual fixation and harbinger of absorption in the Self. This awareness-testimony, call it if you want “subtle essence”, is like an aroma that emanates from matter, from which it is deduced that there can be no separation between matter and spirit. There can be no personal advantage at the expense of others, since we are in a unicum.
However, do not think that the state of total empathy can be achieved through study or intellectual understanding since intent is an aspect of the mind, while awareness – which is pure consciousness – allows the manifestation of all the processes that appear in the mind. but it is not affected. In truth this state of absolute freedom is already present and innate in us, but it has been obscured by a mass of beliefs and false notions about ourselves and the world perceived as separate from us. This separation is a source of anguish and it is precisely for this reason that Eastern philosophies, in particular Buddhism, have turned towards overcoming suffering. To achieve this we must make a 180 degree revolution. To be in harmony with ourselves and with everything around us, the anthropocentric ego concept that has generated unimaginable carnage, immense desertifications, plundering of pristine and defenseless places has to be reversed. Jean-Paul Sartre said that from the failure to meet the other, the sufferings and pain that men inflict on each other result.
In not believing in the pre-established norms, in the habits of the world, there is the key to liberation. “Don’t believe what I’m saying. Don’t take dogmas or books as foolproof. Do not believe in others and do not believe in masters either. Do not believe anyone and this is my only true teaching that I will give you. Never believe! ” (Buddha)
In the more refined forms of Buddhism, such as in the Zen system, much importance is given to empathy that develops through interpersonal relationships. Enjoying and suffering together with others. However, true altruism is an art that needs to be developed, because if it is easy to share joy, it is more difficult to share suffering. In this sense, the Zen adept will “assist” the sufferer by inviting him to overcome the pain in the right way. He will suggest that he does not expect consolations or that time will bring healing, he will make him understand that he can overcome his pain only by accepting it as part of his destiny. Those who are capable of much can endure their suffering and get rid of it. This release leads to healing all the more surely the more sincerely you participate in the pain of others, that is, the more sensitive you become towards anyone’s pain. The sufferer, made aware by this x-ray of his state of mind, perceives directly that to free him from pain is not his refusal or his escape from existence. This is a genuine form of altruistic ethics.
But now let’s see in more detail how the concept of “ethics” is addressed in other Eastern philosophies. This concept, for example, is not contemplated in Taoism, since ethics belongs to reasoning and therefore to the logical brain. That is, it is a speculative and preordained mental construction. A sort of conditioning that takes over following the acceptance of behavioral rules. In Taoism there are no codified rules, all action takes place in spontaneity and in the ability to respond to the current situation. Ethics is considered a sort of calmer to regulate interpersonal relationships in society, this involves the predominance of rationalist consciousness, the judicial part of the mind thus takes over in functioning and hence the rise of religions, the hierarchical system and arrogance of use towards other creatures and nature. On the one hand it oppresses it by considering it its own right and on the other it defends itself in consideration of its ideological (ethical) “superiority”.
In Hua Hu Ching it is said: “Tolerance is often required of other common beings. For integral beings there is no such thing as tolerance, because there is no such thing as the others. They renounced all ideas of individuality and expanded their goodwill without prejudice in any direction. Not hating, not resisting, not contesting. To love, to hate, to have expectations: all these are attachments. Attachment prevents the growth of one’s true being. Therefore being integral is not attached to anything and can relate to everyone with an unstructured attitude. “
In Taoism, which properly is a form of naturalism lived without emphasis, refraining from excesses, both positive and negative, is indicated as a natural attitude of life. Good and evil are understood but neither is preferred. The good (Yang) and the bad (Yin) are the two aspects of the manifestation legs of existence on this earth. And it is for this reason that the Taoists mocked the good Confucius who, as a convinced rationalist, pushed for a social and political ethics, while they simply remained in their original nature. Respecting the natural propensities, therefore not governing them for utilitarian convenience. It is necessary to overcome the detachment that has led almost to radicalize the conflict between spontaneity and rhetoric, and this without wanting to efficiently promote and affirm and re-think the truth of one’s original nature as a result of an “ethical” conception.
Ultimately, according to ethical and moral Taoism, they are two iridescent and relative thoughts, two qualities useful simply for social convenience, two hypocritical forms of enslavement to customs. In fact, morality and ethics have been used by all religions as symbolic flags to justify the “good” programmed in the system.
Paolo D’Arpini – spiritolaico@gmail.com
“Discard all traditional standards. Leave them to the hypocrites. Only what liberates you from desire and fear and wrong ideas is good. As long as you worry about sin and virtue you will have no peace.” (Nisargadatta Maharaj)