In alcuni miei libri ho espresso un pensiero a se stante, maturato nel corso delle diverse situazioni che ha attraversato, nel bene e nel male, il nostro Paese che, a mio giudizio, potrebbe essere invidiato per le sue ricchezze se non fosse perché sia la politica che il sindacato sono molto lontani dalla funzione a loro demandata. Scrivevo, come prefazione :
“Quando la politica, ma anche il sindacato, diventano uno strumento volto a sostituire gli insuccessi del singolo individuo nei vari contesti della vita sociale, o peggio, quando questi strumenti vengono usati per delegittimare gli altri ai fini di un proprio tornaconto, allora anche la democrazia esprime concettualmente ed operativamente il significato nefasto della dittatura conservandone indebitamente il nome…”
Questo pensiero, che ho maturato osservando per molti anni il comportamento di una buona fetta degli Italiani, mi è tornato in mente ascoltando ieri sera il discorso del Capo dello Stato alla vigilia della commemorazione del 2 giugno, Festa della Repubblica, a cui anche il discorso della pandemia ha avuto una sua importante collocazione. “Le sofferenze provocate dalla malattia non vanno brandite gli uni contro gli altri”, frase questa, fra le altre, che mi ha colpito anche per il verbo che il Presidente ha voluto usare facendomi immaginare una clava che si abbatte contro quella democrazia ad opera di personaggi che si inquadrano alla perfezione al senso della mia succitata prefazione.
Infatti, da qualche decennio a questa parte, sia la politica che il sindacato, hanno subìto una tale degenerazione da far “traballare” le stesse Istituzioni per le quali Mattarella ha appunto rinnovato l’invito verso l’unità morale per far ripartire il Paese come nel Dopoguerra, facendo riemergere i valori veri della politica e del lavoro, realtà che non vuol dire sospendere o annullare la dialettica democratica, ma confronto costruttivo fra posizioni diverse, esattamente come è successo in sede di fondazione della Repubblica fra partiti diversi fra loro.
Oggi, la parola chiave è “moralità”, sostantivo piuttosto ossidato in quasi tutti i contesti e che, non è bello a dirsi, sembra avvalersi di una “peste patogena” per far riflettere e ricominciare daccapo.
Non sarà facile certamente tutto ciò, ma, se anche la morte che abbiamo visto di fronte ai nostri occhi, non sarà servita a dare vita ad un minimo di umanesimo sociale che possa rasserenare ed aggregare socialmente questa società assai malata, ripristinando l’essenza della democrazia e degli strumenti volti a proteggere con intelligenza il lavoro, allora si andrà avanti di degenerazione in degenerazione socio-politica, realtà quest’ultima che anche il verbo “brandire”, ma questa volta usato sul serio per colpire tutti coloro che rubano, che evadono il fisco, che ammazzano e che non rispettano le leggi dello Stato, non potrà essere inteso nel senso voluto dal Presidente della Repubblica, malgrado i suoi diversi e condivisibili moniti improntati alla moralità.
Arnaldo De Porti
(Belluno-Feltre)