di Maddalena Celano, responsabile esteri di Convergenza Socialista
Cuba è una nazione povera, con un’economia disfunzionale e sottoposta ad un crudele embargo che dura da circa 60 anni.
Nonostante ciò, nella sanità Cuba è un’eccellenza e, gli Stati Uniti, dovrebbero apprendere da questa piccola isola dei Caraibi.
Secondo le statistiche ufficiali (che, come vedremo, hanno scatenato dibattiti), il tasso di mortalità infantile a Cuba è di soli 4,0 decessi per ogni mille nascite. Negli Stati Uniti, è di 5.9 decessi ogni mille nascite.
In altre parole, secondo le statistiche ufficiali, un bambino statunitense ha quasi il 50% in più di probabilità di morire rispetto a un bambino cubano.
Secondo i miei calcoli, ciò significa che 7.500 bambini statunitensi muoiono, ogni anno, perché il tasso di mortalità infantile degli Stati Uniti non è incoraggiante. Percentuali e dati riscontrabili su Cia World Factbook e Intex Mundi, Tasso di Mortalità Infantile, su www.indexmundi.com
Com’è possibile?
Bene, la percentuale potrebbe non essere del tutto corretta.
Le cifre dovrebbero essere considerate con una dose di scetticismo.
Tuttavia, non vi è dubbio che uno dei punti di forza più importanti del sistema cubano è proprio una sanità garantita universalmente.
Cuba ha il ” Medicare per tutti”, un servizio che molti statunitensi bramano.
“L’esempio che Cuba rappresenta è importante poiché lì il concetto di assistenza medica per tutti è stato più di una parola d’ordine per decenni”, ha affermato Paul Farmer, il leggendario globetrotter che ha fondato Partners in Health. “Le famiglie cubane non sono abbandonate alla rovina finanziaria a causa di malattie o lesioni fisiche gravi, come spesso accade altrove nel continente”.
Va notato che Cuba registra eccellenti risultati sanitari, nonostante l’embargo commerciale e finanziario degli Stati Uniti che influisce gravemente sull’economia e limita l’accesso alle attrezzature mediche.
Nel corso di una gravidanza comune, una donna cubana ha diritto a ricevere dieci visite mediche e riceverne almeno otto a casa. Trentaquattro visite, o addirittura diciotto, possono essere un’esagerazione, ma sono certamente preferibili all’assistenza sanitaria media in Texas, ad esempio, dove un terzo delle donne in gravidanza non riceve un singolo controllo prenatale, durante il primo trimestre.
A Cuba, è molto meno probabile partorire senza un controllo prenatale, grazie a un sistema di cliniche di assistenza primaria, noto come “stanze di consulenza”.
Queste cliniche, gestite solo da un medico e un’infermiera, sono generalmente malandate e poco attrezzate, ma rendono le cure mediche prontamente disponibili a tutte/i: i medici cubani sono disponibili anche al di fuori dell’orario di lavoro o in caso di emergenza.
Cuba aiuta a formare più medici
La Scuola di medicina cubana accoglie giovani appassionati, dai paesi in via di sviluppo, e li riporta a casa formati come medici.
La vice rettore della Scuola di Medicina Latinoamericana (ELAM), de La Habana, è la prof.ssa Midalys Castilla. Alla fine di febbraio, ELAM ha laureato 557 studenti di 27 paesi che avevano viaggiato fino a Port-au-Prince, per incrementare le fila delle squadre che gestiranno strutture sanitarie pubbliche, al termine delle fasi di emergenza. “Il motivo per cui è stata creata la nostra scuola è stato quello di formare medici disposti ad andare nei luoghi in cui sono più necessari, per tutto il tempo necessario”, afferma la prof.ssa Castilla, vice rettore e fondatrice della scuola, scuola creata dopo un uragano che ha devastato la regione, più di dieci anni fa.
Nel 1998, centinaia di medici cubani furono inviati in Guatemala, Haiti, Honduras, Nicaragua e Repubblica Dominicana, sulla scia di due devastanti uragani. Hanno fornito servizi in luoghi di difficile accesso e, la loro presenza, ha sollevato la questione di cosa sarebbe successo quando sarebbero andati via da lì.
Il dilemma sulla “sostenibilità” ha motivato la decisione di istituire ELAM, il cui campus principale si trova nella zona occidentale de La Habana. I primi studenti centroamericani sono arrivati nel febbraio 1999 e si sono laureati dopo sei anni, nel 2005. Da allora, la scuola ha formato 7.248 medici provenienti da 45 paesi. Attualmente sono iscritti 9362 studenti provenienti da 100 paesi, principalmente da America, Medio Oriente, Africa, Asia e Isole del Pacifico.
ELAM si distingue non solo per le sue dimensioni, ma perché coincide con una manciata di istituzioni simili, in tutto il mondo, che sono state espressamente fondate per affrontare le disuguaglianze nell’accesso alle cure mediche. Diverse scuole di medicina in Australia, Canada, Filippine, Repubblica Bolivariana del Venezuela e Sudafrica hanno approvato la premessa della “responsabilità sociale”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la responsabilità sociale delle scuole mediche come l’obbligo di indirizzare le loro attività di formazione, ricerca e servizio verso il soddisfacimento delle esigenze sanitarie prioritarie della comunità, della regione o del paese in cui hanno l’obbligo di servire.
Lo scopo di ELAM è quello di formare i medici principalmente per fornire servizio pubblico nelle comunità urbane e rurali svantaggiate, acquisendo competenze nell’assistenza primaria completa, che vanno dalla promozione della salute al trattamento e alla riabilitazione. In cambio della promessa non vincolante, di esercitarsi in aree svantaggiate, gli studenti ricevono una borsa di studio completa e un piccolo stipendio e, quando si diplomano, non hanno debiti scolastici.
Il modo in cui ELAM recluta gli studenti varia da paese a paese, in cui gli amministratori scolastici possono coinvolgere rappresentanti dell’ Ambasciata Cubana, della società civile locale, delle organizzazioni di comunità o del governo, nel processo di selezione. I candidati devono aver completato il liceo, riportare una buona votazione, possedere competenze e superare l’esame di ammissione. Il numero di candidati può essere enorme; Javier Montero, uno studente del terzo anno del sud del Cile, ricorda che l’anno in cui ha presentato le candidature, vi erano 600 candidati per occupare 60 posti.
La preferenza viene data ai candidati a basso reddito, che altrimenti non potrebbero permettersi studi medici. “Di conseguenza, il 75% degli studenti proviene dal tipo di comunità che necessitano di medici, in particolare da un’ampia varietà di minoranze etniche e popolazioni indigene”, spiega la prof.ssa Castilla. Ad esempio, la famiglia dello studente Alfredo Cayul è un mapuce che pratica l’agricoltura di sussistenza in Cile. La madre giamaicana di Shereka Lewis è una segretaria e il suo patrigno è un falegname; Joyce Let’sela del Lesotho, madre di Keitumetse, è un’insegnante vedova; e Vanessa Avila, della California, fa parte della prima generazione americana di una famiglia di immigrati messicani, in cui il padre è un giardiniere e la madre è una casalinga.
Entrando nella scuola, gli studenti trascorrono, dai tre ai sei mesi, in un corso pre-medico che mira a metterli tutti allo stesso livello educativo. Chi non parla spagnolo deve impararlo, poiché è lingua di insegnamento. I due anni seguenti, si concentrano sulle scienze di base, integrate in una nuova cattedra chiamata “morfofisiologia del corpo umano”, che comprende anatomia, fisiologia, embriologia, istologia e patologia. “Ciò consente allo studente di acquisire maggiori conoscenze olistiche”, afferma la dott.ssa Castilla. Le materie scientifiche sono integrate con il contatto precoce con i pazienti, principalmente negli uffici della comunità, al fine di dare maggiore importanza alla pratica clinica, nella realtà.
I tre anni seguenti, gli studenti vengono distribuiti nelle14 scuole di medicina cubane che, insieme, hanno un’iscrizione di 32.000 studenti cubani. Lì, la medicina clinica – in particolare il rapporto con i pazienti – si fonde con la salute pubblica, per creare la capacità di soddisfare le esigenze di salute della comunità e degli individui.
Questi sono gli anni più difficili ma anche quelli più stimolanti, affermano gli studenti, perché già, dal terzo anno, vengono loro assegnati pazienti di cui devono farsi carico.
Fonte: Bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
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