Sommario: GENTE DI LAGO – UMBRIA: IL TEMPORALE CHE DIVENTA UN CICLONE! – NUOVO OSPEDALE NEL VCO: RIFLESSIONE (SERIA?!) SULLA SANITA’ NELA NOSTRA PROVINCIA
Un nuovo libro: GENTE DI LAGO
E’ uscito un mio nuovo libro “ GENTE DI LAGO: storie e racconti del Lago Maggiore”
In 164 pagine – tutte a colori – ricordi, personaggi, storie e curiosità della zona del Lago Maggiore e delle sue valli, insieme ad oltre un centinaio di foto storiche, quasi tutte inedite. Una testimonianza interessante della vita sulle rive del Verbano in tempi quasi dimenticati, un omaggio a chi è venuto prima di noi.
Il volume è firmato anche da Carlo Alessandro Pisoni, Ivan Spadoni e altri autori locali che con quest’opera hanno voluto riprendere il successo di “NELLE RETI DEL TEMPO”, una raccolta di foto e testi storici uscita oltre 10 anni fa ed oggi introvabile.
GENTE DI LAGO è in vendita al pubblico a 18 euro, ma i lettori de IL PUNTO possono richiedermi direttamente il libro – se lo desiderano con dedica! – al prezzo ridotto di 16 euro (spese di spedizione comprese) o di 15 euro ciascuna se verranno richieste almeno 2 copie.
Il volume va richiesto direttamente a marco.zacchera@libero.it ricordando di comunicare sempre il proprio INDIRIZZO POSTALE PER LA SPEDIZIONE.
Un bel regalo, per esempio, in vista del prossimo Natale…
UMBRIA: IL TEMPORALE DIVENTA UN CICLONE
Si pensava che le elezioni in Umbria potessero diventare un brutto temporale per il governo, ma si sono rilevate un autentico ciclone visto che raramente l’elettorato è mai stato così chiaro, netto e categorico e – soprattutto – è ritornato a votare in massa pur di poter esprimere il proprio pensiero.
Certo l’Umbria non è tutto il Paese, ma i sondaggi sono chiari (e confermati) anche a livello nazionale: questo governo rappresenta una maggioranza parlamentare che non ha assolutamente una maggioranza popolare.
Non so quanto durerà il Conte 2, certo che più i giallorossi perdono più si attaccano ancora di più al loro potere ben sapendo che quando si voterà lo perderanno nettamente.
Oltretutto Conte è stato di una ingenuità disarmante trasformando una campagna elettorale regionale in “nazionale” e la foto di venerdì scorso con la maggioranza schierata è diventata il simbolo della loro sconfitta.
“Una genialata” – ha commentato ironicamente Matteo Renzi – e per una volta devo dargli pienamente ragione.
SANITA’ NEL VCO: SI PUO’ PARLARNE SERIAMENTE?
Il fatto di non ricoprire più alcuna carica pubblica elettiva mi dà la possibilità di esprimermi liberamente sul problema della SANITA’ NEL VCO o, meglio, sulla sua futura rete ospedaliera oggetto da sempre di infinite discussioni.
Tutti dobbiamo sentirci coinvolti per l’attuale situazione, ma credo che gli errori commessi in passato dovrebbero servire a evitarne in futuro e non a perpetuare polemiche politiche e territoriali assolutamente divisive e sostanzialmente sterili.
Proverei a fissare tre punti fermi.
Innanzitutto che noi ci sentiamo “speciali” come territorio e geograficamente lo siamo, ma che la sanità moderna deve tener conto di realtà economiche ed organizzative senza le quali non può sopravvivere, soprattutto se si vuole assicurare un servizio qualitativamente valido.
Il secondo aspetto è quello della responsabilità: tutti ne portiamo o ne abbiamo portate. La mia è di non aver avuto più coraggio intorno al 2000 per tirare dritto a sostenere ancora con più forza l’ospedale unico provinciale che – ma a determinate condizioni – era ed è l’unica cosa seria che si possa fare
La terza è che la memoria dovrebbe farci ricordare come fu un errore l’atteggiamento di chi (PD, Lega e i vari “Comitati”) nel 2005 promossero un referendum “contro” che bloccò tutto, con il risultato di mantenere due semi-strutture piene di problemi e infatti – 15 anni dopo – si è ancora sostanzialmente allo stesso punto.
Tutto ciò premesso, guardiamo anche ai meriti.
Innanzitutto in questi anni le varie giunte regionali hanno comunque “tamponato” la situazione che per alcuni reparti forniscono un buon livello di assistenza per le nostre dimensioni (neurologia, otorino, oncologia ecc.). L’aver ora trovato un potenziale finanziatore nell’INAIL per costruire un nuovo ospedale è un merito per chi ci è riuscito (se il finanziamento venisse confermato) mentre l’attuale proposta Cirio – bisogna avere la correttezza di dirlo – destinerebbe alla nostra provincia fondi complessivi molto ingenti, sicuramente altissimi in rapporto alla popolazione e ben superiori a quelli investiti in passato.
Il mio approccio è che la cosa più importante non è “dove” si va a farsi curare ma “come” si viene curati e questo per tutto ciò che è programmabile e non urgente, mentre il fattore che ti salva la vita è essere curato bene e “subito” nelle emergenze.
Qui scatta il problema: pur piccoli di territorio ci vuole troppo tempo per raggiungere un unico punto “salvavita” se non è baricentrico e – nel localizzarlo – non basta la carta geografica, ma va tenuto conto della localizzazione della popolazione residente e che varia anche nel corso dell’anno per l’incidenza turistica.
Non solo: tutti parliamo di ospedali ma la vera, quotidiana esperienza è come sia insufficiente la sanità “fuori” dalle strutture ospedaliere. Mancano posti letto attrezzati per anziani, una rete di assistenza territoriale, le “case della salute” sono ancora piccole realtà insufficienti ed incompiute.
Negli anni prossimi l’incidenza della popolazione anziana sarà sempre più alta e non ci preoccupiamo per questo. La conseguenza è quella che potete vedere ogni giorno nei 2 DEA attuali: strutture troppo piccole, intasamenti, ritardi negli interventi, limiti di personale, folla in attesa, nessun “filtro” preventivo e – dimessi – i pazienti, soprattutto se anziani, non sanno in pratica dove andare.
L’80% di chi oggi corre al DEA lì non dovrebbe andarci rivolgendosi invece ad una rete di primo livello esterna all’ospedale.
Il mio sommesso parere è che dobbiamo quindi separare l’emergenza dalla degenza e se vogliamo affrontare in modo conveniente l’emergenza o manteniamo 2 DEA ben (meglio) strutturati o – se si decide di averne uno solo per motivi economici – deve allora essere veramente di alto livello e obiettivamente baricentrico rispetto al numero dei potenziali pazienti e quindi non ha senso sia localizzato nella piana di Domodossola, ma molto più a valle.
Il fatto nuovo e positivo che ho colto nella proposta attuale della Regione è che in “cambio” di un spostamento a nord del nuovo ospedale non si chiuderebbe più Verbania mantenendo una struttura abbastanza importante: rispetto a quando si voleva chiudere il “Castelli” mi sembra ci sia un notevole passo avanti che va sottolineato, mentre incerto a questo punto mi sembra il futuro del San Biagio.
Questa logica introduce una variabile da approfondire con il possibile mantenimento dei due ospedali attuali per le sole degenze “ordinarie”, i post ricoveri acuti, i letti di sollievo, i pronto soccorso per i codici “bianchi” e verdi” H 24 (ricordiamoci anche di Omegna!) con concentramento in un ospedale provinciale unico, snello, relativamente con pochi letti per le acuzie e baricentrico per le emergenze gravi con i relativi reparti salvavita.
Era il nocciolo della proposta di 20 anni fa, oggi è ancora più necessario.
Se poi si riescono a tenere aperte alcune delle attuali strutture “doppie” – soprattutto perché negli anni la day-surgery è molto avanzata – meglio ancora, perché risolverebbe la gran parte dei problemi ai cittadini per le cure ordinarie, gli ambulatori, i piccoli interventi, le cure specialistiche.
Mantenendo ma razionalizzando e comunque riducendo i due ospedali attuali in cambio di quello nuovo c’è spazio a Verbania per mantenere tanti servizi, ma anche per attuare delle convenzioni pubblico-privato perché è più facile avere mobilità attiva da altre zone che non a Domodossola (si parla di nomi importanti di aziende sanitarie del milanese che potrebbero “scommettere” sul lago: va verificato) replicando il successo di Omegna.
Allo stesso modo sarebbe assurdo chiudere le parti “nuove” del San Biagio e la piastra che si prestano ad ospitare alcuni reparti, permettendo però l’abbandono delle vecchie strutture “storiche” ormai fatiscenti.
Ricordiamoci anche, ragionando in termini di “mobilità passiva”, che più l’ospedale “nuovo” è a nord, maggiore è la fuga dei pazienti verso sud e la Lombardia a tutto danno dei conti dell’ASL e della stessa Regione Piemonte.
Quelli che espongo mi sembrano principi logici su cui si dovrebbe discutere e che non vanno letti con campanilismo ma con obiettività, anche perché c’è una grande novità, ovvero che solo recentemente sono venuti meno i motivi alla base dell’ipotesi di costruire un ospedale ad Ornavasso in altura, con ben maggiori costi e complessità nei collegamenti: una ipotesi che secondo me non è mai stata in piedi, ma che ci ha fatto perdere anni.
La piana di Ornavasso è ora difesa dal punto di vista idrogeologico ed è la migliore per ospitare una nuova struttura da tutti i punti di vista, se la qualità del nuovo nosocomio garantisse vantaggi di qualità a tutti, “alto-ossolani” compresi.
Posizionarlo a Gravellona sarebbe anche meglio (dove ne era stata proposta la localizzazione dai primi studi tecnici regionali, poi sommersi delle polemiche) ma Ornavasso è comunque in Ossola, molto più velocemente raggiungibile dal Cusio e dal Verbano e soprattutto più “vicino” a Novara dove bisogna e bisognerà comunque correre per le patologie particolarmente gravi.
Ma vi immaginate un incidentato o un infartuato che dal Lago d’Orta o dalla SS 34 del Lago Maggiore sia trasferito fino a Domodossola e da qui venga poi ritrasferito a Novara?
Il finale è personale, perché per me è ancora una ferita aperta.
Vi ricordate quando otto anni fa fu deciso “provvisoriamente” di portare emodinamica a Domodossola dopo che TUTTE le ipotesi, le statistiche, i numeri ecc. propendevano per Verbania? Allora ero sindaco, lanciai l’allarme, chiesi mobilitazione ma a sinistra quasi nessuno risposte. Mentre in Ossola ci si mobilitava, solo 13 sindaci (su 42) risposero al mio appello ed Emodinamica salì a Domo portandosi dietro – fatalmente – tutte le strutture collegate.
Era come la goccia d’acqua che – cadendo sulla vetta di una montagna- deve scegliere l’uno o l’altro versante perché poi – quando l’acqua scorre – non torna più indietro, ma pochi sembrava l’avessero capito.
Con uno snello ospedale nuovo baricentrico e il mantenimento delle strutture di base in entrambi gli attuali ospedali tutti questi problemi sarebbero risolti.
In conclusione credo che, anziché costruire barricate per facili consensi, sia meglio cercare di ragionare, riflettere e cogliere il positivo (e i fondi) che si intravedono nel nuovo “piano Cirio” per lavorare seriamente superando i campanili.
Un saluto e buona settimana a tutti Marco Zacchera