Un’ex-prigionera politica rivela le atrocità  del regime iraniano

Un'ex-prigionera politica rivela le atrocità del regime iraniano
CNRI – Shabnam Madadzadeh, una ex-prigioniera politica, fuggita clandestinamente dall'Iran qualche mese fa, ha rivelato le atrocità commesse dal regime iraniano all'interno delle carceri. Aveva 21 anni quando venne arrestata per le sue attività in una università di Teheran.
Shabnam Madadzadeh ha parlato ad una conferenza che si è tenuta a Parigi sabato 26 Novembre 2016.
Di seguito il testo del suo discorso alla conferenza.
Mi chiamo Shabnam Madadzadeh. Ho lasciato l'Iran qualche mese fa.
Ero una studentessa di 21 anni al terzo anno di scienze informatiche alla Tehran’s Teacher’s Training University. I miei studi si interruppero bruscamente quando gli agenti dell'intelligence del regime iraniano arrestarono me e mio fratello Farzad e ci portarono nel famigerato carcere di Evin.
Ho passato tre mesi in isolamento, subendo alcune delle più brutali forme di tortura fisica e psicologica nella Sezione 209 di Evin. La peggiore di tutte fu quando torturarono mio fratello Farzad di fronte a me.
In seguito sono stata condannata dal regime a cinque anni di carcere ed esiliata nella terrificante prigione di Gohardasht a Karaj.
Sono stata nel carcere di Evin, di Gohardasht e in quello, orribile, di Qarchack Varamin. In diverse occasioni, durate un totale di otto mesi, non mi sono state permesse né visite, né telefonate.
Ma abbiamo trovato sollievo nella fiera resistenza dei residenti di Campo Ashraf. Siamo stati ispirati dalla loro perseveranza e risolutezza persino quando abbiamo dovuto affrontare alcuni dei momenti più difficili della nostra vita, come l'esperienza dell'esecuzione della mia carissima amica e attivista curda Shirin Alam Houli.
Tutta la storia iniziò con due parole.
Queste parole inizialmente erano scritte nei miei libri del liceo e dell'università: Noi “possiamo” e noi “dobbiamo”.
Ogni anno le parole “noi possiamo e noi dobbiamo” erano scritte in maniera sempre più leggibile e più bella nei miei libri.
Queste parole hanno acceso l'ispirazione in me. Si sono trasformate in coraggio, in audacia e in una dichiarazione ferma nel campus, mentre fissavo negli occhi gli agenti della sicurezza del regime.
Si sono trasformate in coraggio quando ho difeso con tutte le mie forze gli ultimi bastioni di libertà, fianco a fianco ai miei colleghi. Queste parole mi hanno dato la capacità di parlare di libertà e del diritto di vivere.
Mi hanno fortificato e mi hanno incoraggiato durante i tremendi attacchi degli agenti alle nostre manifestazioni di protesta all'università.
Queste sono le parole che hanno pervaso tutto il mio essere. Hanno nutrito la fiducia e sono state la chiave della mia perseveranza in cella di isolamento.
“Noi possiamo e noi dobbiamo”, queste parole sono state la fonte della mia forza quando ho dovuto affrontare le grida e la violenza degli inquirenti del regime.
Mi hanno dato la convinzione e la fede mentre sedevo sulla sedia per gli interrogatori e cinque o sei guardie mi giravano attorno parlando di esecuzione e torture.
In ognuno dei mie cinque anni di pena, queste sono state le parole che mi hanno mostrato la promessa della luce e l'arrivo della libertà.
Quando le mura sembravano diventare più alte e quando il filo spinato mi circondava, queste due parole, “possiamo” e “dobbiamo”, erano come ali che mi permettevano di volare in alto.
Sì, Madame Rajavi, ho trovato la forza di farmi crescere la ali e di volare grazie alle sue incoraggianti parole: “Noi possiamo e noi dobbiamo”.
E ora sono ancora qui, che conto sulla sua presenza e la sua leadership, che è il simbolo delle parole “noi possiamo e noi dobbiamo”. Come una goccia di rugiada che arriva dall'oceano dei suoi occhi penetranti, che brillano di certezza e convinzione. Ora mi sono unita all'impetuoso mare dei Mojahedin, così potrò crescere ancora di più.
Madame Rajavi, sono arrivata da lei dalle strade depresse e represse dell'Iran, piene di gru con cui giustiziano la gente.
Mi sono unita a voi con tutto l'enorme peso della sofferenza del popolo iraniano, in particolare delle ragazze e delle donne della nostra patria.
Con i fiori, le ghirlande, i saluti e la speranza offerti dal popolo oppresso dell'Iran.
Sono giunta a voi dalle fila degli attivisti e degli instancabili studenti universitari che le hanno inviato messaggi.
Porto molti messaggi per lei di donne e ragazze innocenti che languiscono nelle carceri di Evin, Gohardasht e Qarchak.
Le stesse innocenti ragazze iraniane che, per usare le sue parole, sono come splendidi fiori che appassiscono senza avere avuto la possibilità prima di sbocciare.
Io ho visto le Reyhaneh, centinaia e centinaia di Reyhaneh. Sono venuta qui per raccontarle le loro storie di sofferenza e le ingiustizie che hanno subito.
Mi hanno detto che non avevano un rifugio sicuro. Mi hanno raccontato di tutte le volte che sono state torturate, di quando sono state detenute in istituti di pena illegali e di quando sono state stuprate dai loro torturatori.
Per anni queste ragazze e queste donne hanno passato la loro vita nelle peggiori situazioni, portando con loro le loro condanne a morte. Stanno sperimentando una morte lenta nelle camere della tortura del regime.
Ho parlato con una donna che era ritornata da un mondo di morte, con ragazze arrestate con accuse false e senza senso, solo per essere trascinate in un mondo di corruzione, di morte e di droghe creato dai mullah.
Ho parlato con una donna di 27 anni che era stata arrestata a 17 per l'assurda accusa creata dai mullah di “relazioni illecite”. Dieci anni dopo era tossicodipendente e aveva già ucciso qualcuno.
Cara Madame Rajavi,
Ho portato tutto questo dolore di fronte al lei perché lo veda e perché lei è l'unica risposta a tutto questo dolore.
Madame Rajavi, per tutti questi anni ho portato tutto questo dolore, tutte le lacrime e le angosce sulle mie spalle e, di conseguenza, ho sempre sentito la gravità della mia responsabilità.
Proseguirò i miei sforzi e la mia lotta fino all'ultimo respiro e prometto di cercare di portarla nella terra del Leone e del Sole, l'Iran.
Cari amici,
Oggi sono qui di fronte a voi per fare da eco alle voci che chiedono giustizia e diritti umani, le voci degli attivisti e dei perseveranti prigionieri politici in Iran, la voce delle donne forti nelle carceri.
La voce della mia cara sorella e mia eroina Maryam Akbari Monfared, una madre innocente di tre bambini che ha passato più di 7 anni nelle carceri del regime.
Quando l'hanno arrestata sua figlia Sara aveva solo quattro anni. Ma anche nei giorni più difficili e bui, Maryam ha rifiutato di arrendersi.
Dal giorno del suo arresto e fino ad ora, ha costantemente sfidato le guardie e gli inquirenti del regime, ha chiesto giustizia per l'omicidio di sua sorella e dei suoi fratelli.
Quando era preoccupata e il cuore le sanguinava perché non poteva abbracciare la sua bambina, parlare o consolare le sue figlie più grandi, mi diceva sempre: “Ora io so quanto dolore provò la mia defunta sorella Roqieh nel 1988, quando la separarono da sua figlia appena nata, ma lei restò ferma e difese la sua causa”.
Mi diceva sempre che se c'era una cosa in cui credeva questa era l'innocenza, l'onestà e la purezza di tutti i martiri del massacro del 1988 e che il PMOI è la sola luce che brilla in un mondo pieno di ingiustizia. Mi diceva che questa è la sola ragione per cui sta perseverando e resistendo.
Devo dire alla mia amica Maryam da questo podio che, come ho detto durante la nostra ultima conversazione, ti prometto di restare sempre al tuo fianco e di fare da eco alla tua voce e alla tua richiesta di giustizia. Prometto di raccontare la sua storia al mondo. Ricordando tutti i momenti, dolci e amari, passati in carcere, io prometto di unirmi al movimento per ottenere giustizia guidato da Madame Rajavi, che ora sta crescendo e si sta espandendo, di modo che possiamo assicurare i brutali mullah alla giustizia per il massacro di migliaia di persone innocenti.
A tutti i paesi europei e alle istituzioni internazionali io dico che dovete ascoltare la voce del popolo iraniano, la voce delle povere madri dei martiri, la voce dei familiari delle vittime del massacro del 1988, la voce dei prigionieri politici in Iran.
Il popolo ha patito troppe sofferenze e troppa repressione per mano dei mullah. Al popolo non importa di nessuna delle loro fazioni. La gente vede un regime, con un colore, il rosso del sangue di migliaia di innocenti.
Il popolo iraniano condanna qualunque forma di relazione o di accordo con il regime e dice che continuare ad avere questi contatti e rimanere in silenzio di fronte alle violazioni del regime, porterà altre forche nelle strade dell'Iran. I vostri accordi hanno un prezzo: il sangue e le vite di altri esseri umani.
Il popolo iraniano è convinto che il regime iraniano, che ha giurato di distruggere gli umani e l'umanità, verrà abbattuto dal PMOI e dal CNRI.
Caro Massoud Rajavi,
Quando entrai nella cella n°15 della sezione 209 di Evin e dopo che la porta d'acciaio venne chiusa il primo giorno, mi ricordai di lei che ripeteva le famose parole dell'Imam Ali che disse “anche se le montagne tremassero, non spostarti di un millimetro”. L'ho scritto in una lunga lettera sul muro della mia cella.
Dear Massoud, quando ero in isolamento ho cercato di ricordare i suoi insegnamenti, così ho potuto rimanere fiera.
Noi prosperiamo alla tua presenza
Noi prosperiamo con i tuoi libri
E in difesa del tuo sorriso
Ora, basandomi sugli insegnamenti di Madame Rajavi, nella lotta contro il regime, io isso la bandiera che una volta tenevano Mahdieh e Akbar e giuro di lavorare duramente per liberare il popolo iraniano e la nostra patria. Io resterò un'attivista del PMOI fino al mio ultimo respiro.

Mahmoud Hakamian
@HakamianMahmoud
iran_resistenza@yahoo.com

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